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24 Agosto 2005

L’intervista Amato: per le riforme non serve il centro ma l’unità tra i moderati dei poli è possibile

Autore: Gianna Fregonara
Fonte: Corriere della Sera

ROMA – «E’ vero che l’Italia ha bisogno di riforme e di cambiamenti ma non è detto che la formula giusta per farle sia il centro». Giuliano Amato non ritiene che la discussione intorno al possibile ritorno (e alla necessità) di un Centro che si faccia carico di governare e riformare il Paese possa portare a breve ad immaginare nuovi scenari. Ma lui, che di centro non si è mai sentito ma riformista lo è da sempre, contesta la confusione di termini sulle parole di Mario Monti.


Sarà anche che il Centro non è la formula giusta per governare. Ma per Monti, per Standard & Poor’s e persino per i «centristi» dell’Udc di Casini e Follini non lo sono neppure l’attuale centrodestra né l’Unione.

«Io credo che il problema che viene posto sia un altro. Da diversi punti di vista S&P e Monti dicono una cosa che riprende anche Follini: il bipolarismo in Italia fino ad ora non è riuscito a “biodegradare” le diversità tra le forze, riformiste e antagoniste, che compongono i due schieramenti. Ma la soluzione del problema è tornare al centrismo? Penso che questo sia opinabile. Il centrismo in Italia è stato corroso fino a diventare minoritario dalla sua incapacità a rispondere alle spinte delle ali che stavano al di fuori. Io nel 1992 sono stato l’ultimo presidente del Consiglio di un Pentapartito che è stato sull’orlo della minoranza».


Per via di Tangentopoli.

«La Dc, questa è storia, è stata svuotata dalla Lega. Dunque non è detto che lasciando fuori le estreme, queste non siano meno condizionanti che se stanno all’interno. Voglio fare un esempio citando un uomo e un partito di fronte ai quali dobbiamo tutti levarci tanto di cappello: Wolfgang Schüssel e i suoi popolari».


Che in Austria portarono al governo Haider?

«Avrebbero potuto continuare con la tradizione del loro Paese e riproporre la Grande coalizione contro Haider. Schüssel si è invece preso il rischio, sfidando anche l’avvio di una procedura dell’Unione Europea per sospetta violazione dei valori comuni. Ma così facendo ha “biodegradato” il partito di Haider che infatti è entrato in crisi, si è diviso e ha generato ministri moderati».


In Austria sì, in Italia no, il bipolarismo non ottiene gli stessi risultati: nell’Unione invece della lista unitaria oggi ci sono più partiti che nel 2001, il centrodestra si contorce senza riuscire a immaginare il suo futuro.

«L’esempio austriaco dimostra che un bipolarismo che parte come quello italiano può, dopo alcuni anni, produrre un sistema diverso. Dimostra che la soluzione non è l’abbandono del sistema. Cominciai a scrivere di questo nei tardi anni Settanta vedendo la paralisi del centrismo e immaginando allora le possibili evoluzioni con un saggio dal titolo Per l’alternativa . Oggi penso che una sincera opzione bipolare accompagnata da un maggioritario a due turni avrebbe garantito il passaggio a coalizioni più coese. Detto questo, il problema è politico».


Come dice Angelo Panebianco sul Corriere bisogna rafforzare le ali centriste, senza che queste poi pensino a operazioni trasformiste? Ma poi come si fanno le riforme mettendo insieme sostenitori del libero mercato con comunisti e no global?

«Il problema delle riforme esiste. C’è il mercato, che va liberato dalle rendite, ma c’è anche una politica industriale, di cui esso ha bisogno. Insomma, il programma dovremo vederlo nel suo insieme e nella sua coerenza. Giustamente passa attraverso le primarie perchè così è poi nella coalizione più facile ai perdenti accettare il programma di chi vince».


Lei è sicuro che sarà così?

«La contesa è democratica e consente che lo sia. Certo poi c’è anche chi ha in testa altro».


Quale prospettiva?

«Può darsi che dopo le prossime elezioni e non prima, a prescindere dalle parole di Monti o dalle discussioni astratte sulle formule, si determini una situazione che faccia sì che, volenti o nolenti, parte dei moderati del centrodestra e del centrosinistra appaiano come due mezze mele in attesa di congiungersi».


Il centro di Casini e Rutelli?

«Così se ne parla, facendo una ingiusta violenza ai sinceri intendimenti che essi manifestano. Ma il problema può nascere dai fatti, ed è un problema che per alcuni è un sogno e per altri è un incubo e che è quello – mi sbaglierò – che viene ricollegato alle parole di Monti. Partiamo da una nostra vittoria alle elezioni. C’è chi pensa che una sua conseguenza sarebbe il distacco per disaffezione di Berlusconi dalla guida del centrodestra. Si dice infatti che non sia interessato ad una nuova traversata del deserto di cinque anni. In sua assenza, ed essendo lui il collante del centrodestra, il Polo si dividerebbe in due tronconi con una parte di Forza Italia e la Lega da una parte e dall’altra un troncone più moderato, che apparirebbe come la metà di una mela che ha l’altra metà nel centrosinistra. Poi si aggiunge che se il centrosinistra trovasse qualche difficoltà nel fare le riforme, scatterebbe la molla per mettere insieme le due mezze mele».


E lei non ci crede.

«Io penso alle riforme e alla idoneità a farle. Nel corso della scorsa legislatura, quella del centrosinistra, i diessini, che non si possono iscrivere al centro, sono stati sostenitori tra i più forti delle politiche di liberalizzazione».


Che però poi si sono fermate…

«La riforma del mercato elettrico si è fermata perché il contesto Ue era sfavorevole, quanto a quella delle professioni la colpa non si può dare certo a Bertinotti. Verso le professioni (e la loro riforma è forse la prima a cui Monti pensa) sono in genere i partiti di centro i più teneri, perché sono quelli che le rappresentano di più. Se guardiamo le cose dal punto di vista della sostanza e non parlando politichese si fa più chiarezza».


Ma le divergenze non si riducono.

«Se parliamo del fatto che sulla politica internazionale ci sono linee diverse nel centrosinistra, è chiaro che abbiamo bisogno di una messa a punto complessiva. O sulle fonti di energia, i problemi sorgono perché nascosta dietro gli alberi c’è la questione del nucleare, che è controversa. Qui dobbiamo uscire con impostazioni chiare. Ma non pensi che per una coalizione centrista sarebbe molto più facile. Lo ricorda l’Iraq?»