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29 Novembre 2006

L’incognita di Santa Sofia

Autore: Guido Rampoldi
Fonte: La Repubblica

Istanbul – S´inginocchierà, si farà il segno della croce? Profitterà dell´occasione per benedire i mosaici cristiani e le volte grandiose che per un millennio fecero da fondale alle incoronazioni degli imperatori bizantini? Riconsacrerà in segreto ciò che Stato turco ha sconsacrato?
Il viaggio pontificio è cominciato sotto i migliori auspici ma davanti al Papa resta la tappa più insidiosa, la visita a Santa Sofia. Così imponente da intimidire perfino Mehmet il Conquistatore, l´ex basilica cristiana, oggi museo, sembra quasi predestinata a dilatare i gesti più insignificanti con la vastità dei suoi vuoti. In quelle penombre sono nate infinite alchimie tra la storia e il sacro, e domani, quando vi entrerà, Benedetto XVI avrà addosso gli sguardi di milioni di rivoluzionari pan-islamici.Dal Cairo a Teheran quella platea mondiale attende un pretesto anche minimo per attribuire al papa piani di rivincita. Tutti i professionisti del vittimismo islamico griderebbero in coro: la maschera è caduta!, questo non è un uomo di pace ma un crociato!, è il messo d´un Occidente cristiano che non s´è rassegnato alla caduta di Costantinopoli!
Perfino nell´europea Turchia non mancano masse disposte a credere che il papa voglia «ristabilire l´impero bizantino», come sostiene non solo il leader storico del fondamentalismo locale, Necmettin Erbakan, ma anche parte del nazionalismo laico, e adesso pure il libro d´un Fallaci turco, `Il codice europeo´, appena pubblicato. Ma se era prevedibile che la scuola del sospetto trovasse un seguito in un Paese che si sente tradito dall´Occidente, meno scontata è la circospezione della Turchia moderata. Ha stimato Roncalli, ha voluto bene a Wojtyla, ma di Ratzinger ancora non si fida.
Ieri ne ha apprezzato le dimostrazioni d´amicizia ma non ha rinunciato a domandarsi perché il papa due mesi fa sottolineasse con vigore quel che divide l´islam dal cristianesimo. La stampa liberale teme che l´idea d´una diversità islamica sia funzionale ai suoi disegni. Nel calcolo che gli si attribuisce, un´Europa incapace di definire la propria essenza storica non potrebbe arrivare alla (ri)scoperta dell´identità se non per negazione. E cioè finirebbe per scoprirsi cristiana soltanto dopo aver stabilito quel che non è: non è musulmana. Una volta riconosciuta l´alterità dell´islam, quell´Europa fiacca e inconsapevole potrebbe finalmente ritrovarsi per contrasto come civiltà cristiana, fondata sui valori di cui sarebbe custode il clero. Quella civiltà deve essere grossomodo univoca: tanto più diventa necessario al papa riannodare la trama disfatta otto secoli fa dalla divisione tra cattolici e ortodossi.
Questa percezione di Benedetto XVI appare meno ingenua di quella che in Europa lo vuole teologo impolitico, perso nelle nuvole e ignaro che i suoi strumenti (idee, simboli, allegorie) non sono politicamente neutri; ma finisce per rovesciarglisi in un eccesso opposto, nell´immagine d´un Ratzinger tutto politico che gli fa torto. Quale che sia il Ratzinger autentico, se vuole aprire un dialogo autentico con l´islam egli non può limitarsi ad uscire indenne dal percorso ad ostacoli rappresentato dal suo viaggio in Turchia. Deve convincere della propria sincerità almeno l´islam moderato, ieri però già più incline a credergli. E soprattutto deve congedare lo spettro che lo accompagna da settembre, anche in questo viaggio.
Il fantasma di Manuel II Paleologo, terz´ultimo imperatore bizantino, se si può riconoscere tale titolo ad un vassallo del sultano. Non è rimasta traccia a Istanbul di quel re infelice che governò i resti dell´impero, cioè non molto più di Costantinopoli, dal 1391 al 1425; cercò invano aiuti e solidarietà in Europa; per salvare trono e sudditi mise il proprio braccio al servizio degli ottomani; e infine, ormai rassegnato alla sconfitta bizantina, si fece monaco e morì in un convento. Per alcuni versi somigliava a Ratzinger. Era un uomo di grande cultura, perspicace, versato nella scrittura. Come Ratzinger prese i voti, sia pure sul finire della propria vita. Anch´egli un papa (in quanto basileus, o re bizantino, era capo della cristianità ortodossa), e un papa ansioso di riunificare la cristianità, quantomeno per una necessità strategica, fare fronte comune contro gli invasori musulmani.
Dell´islam Manuel II aveva un´opinione pessima, coerente con la propria esperienza. Costretto a frequentare la corte del sultano, ne conosceva bene lo spirito guerriero, la crudeltà capricciosa, l´assolutismo indifferente alla razionalità della Legge. Comprensibile che abbia scritto in una lettera: «Mostrami quel che Maometto ha portato di nuovo e troverai solo cose malvagie e inumane, come il comandamento di diffondere con la spada la fede che egli predicava». E´ il passaggio che il papa ha citato nel discorso di Ratisbona lo scorso settembre. Ne sono seguite un uragano di proteste islamiche, quindi le precisazione di Benedetto XVI: non intendevo far mio quel giudizio.
Ma quale che sia il giudizio del papa sull´islam, Ratzinger e Manuel sembrano condividere la convinzione che ciascuna religione sia in sostanza un nucleo di idee immutabili, sotto qualsiasi cielo e in qualsiasi epoca. Il cristianesimo sarebbe questo, l´islam quest´altro, nei secoli dei secoli e ovunque. Ma se domani per incanto Manuel, il suo patriarca e la sua corte riapparissero nel buio di Aya Sofya per rispondere alle domande dei giornalisti, non pochi rifiuterebbero l´idea che cattolici e ortodossi appartengano alla stessa civiltà. Ai loro occhi i cattolici, da essi conosciuti come i Latini, non apparivano affatto fratelli nella fede, ma mortali nemici. Barbari. Più feroci dei musulmani.
Quando le astute manovre del doge Enrico Dandolo trasformarono la quarta crociata in una spedizione punitiva contro l´impero bizantino da cui quest´ultimo mai più si rimise, un testimone del sacco di Costantinopoli, cominciato il 13 aprile 1204 e durato tre giorni spaventosi, scrisse: «Perfino i saraceni sembrano gentili e misericordiosi» in confronto alla bestialità di questi guerrieri cattolici. È vero che in precedenza in bizantini avevano massacrato Latini a Costantinopoli. Ma nei due secoli successivi quasi ogni flotta o esercito Latino cercò un regno o un bottino nelle terre di Bisanzio. Di quello scontro inter-cristiano sporco e duro, in cui nessuna parte esitò ad allearsi con il Sultano, è rimasta memoria nelle lingue colte della Slavia ortodossa, dove latino sta per infido, falso, e nel rancore forsennato con cui parte del clero ortodosso, soprattutto greco e russo, guarda al papa dei cattolici. Ratzinger conosce questo passato e certo non ignora la storia triste dell´imperatore che ha evocato, Manuel II. Si direbbe anzi che l´abbia chiamato in scena, alla vigilia d´un viaggio in Turchia che ha per scopo principale il dialogo non con i musulmani ma con i cristiano-ortodossi, proprio per segnalare a questi ultimi l´urgenza di superare le antiche divisioni. Manuel tentò affannosamente di costruire un´alleanza strategica con i Latini. Fallì, e il suo fiasco consegnò definitivamente i resti dell´impero al sultano.
Ora non pochi teologi cattolici sono convinti che l´Europa sia di nuovo minacciata da un´invasione islamica. Scrive il più influente di loro, padre R. J. Neuhaus: «Attraverso il terrorismo e l´immigrazione di musulmani in Europa, gli jihadisti stanno premendo per ribaltare l´esito militare del 1683», l´anno in cui le armate ottomane cinsero d´assedio Vienna ma furono respinti. «Questo è il contesto – prosegue Neuhaus – in cui Benedetto XVI a Ratisbona ha cercato di allargare il discorso. (Lì) ha riconosciuto che nel comprendere la relazione tra fede e coercizione i cristiani hanno avuto qualche volta problemi, e ha suggerito che i musulmani tuttora ne hanno». Se il papa condivide queste tesi certo non può proclamarlo. Però la visita ad Aya Sofia potrebbe suggerirgli alcune riflessioni sulla questione sollevata a Ratisbona, il rapporto tra islam e violenza. Su quelle pareti altissime vedrà meravigliosi mosaici che prima l´impero bizantino, poi l´impero ottomano, sottrassero agli scalpelli dei movimenti iconoclasti. Questi ultimi volevano distruggere le immagini sacre perché espressamente proibite dalle Scritture (Esodo 20: 4; Corano, sura 16).
Per opporsi, i teologi imperiali interpretarono diversamente quei testi. In qualche modo relativizzarono la Parola. La Chiesa cattolica s´è liberata della terribile violenza di cui fu capace anche distinguendo, nei testi sacri, il senso profondo dal senso letterale. Alcuni settori della teologia islamica si muovono in quella direzione; i più audaci, ancorché minuscoli, contestualizzano la predicazione di Maometto e distinguono quel che appartiene al profeta, ed è immutabile, da quel che non lo è perché appartiene al condottiero, al politico, insomma alla storia. Ma se questo è vero allora il relativismo non è soltanto, come afferma la Chiesa, il male che corrode l´Occidente, ma in una misura saggia anche l´antidoto alla violenza illimitata che alligna dentro il sacro: dentro qualsiasi assoluto, non solo nell´islam. Finché questo non sarà riconosciuto, ciascuna fede continuerà a vedere la violenza come problema altrui. E sarà inevitabile che gli uni scambino un vecchio papa per un restauratore dell´impero bizantino e gli altri gli immigranti musulmani per vendicatori dello scacco ottomano nell´assedio di Vienna. Ma per vedere tutto questo nella penombra di Santa Sofia, o nel buio dei secoli, forse servirebbe meno teologia e più compassione.