18 Novembre 2005
Legalità, il compromesso pratico
Autore: Carlo Federico Grosso
Fonte: La Stampa
SI afferma comunemente che il diritto penale è il diritto forte per eccellenza. Quando viene commesso un reato, il suo autore deve essere necessariamente punito. Ad imporlo è il principio di legalità: nessuno può essere punito se il fatto non è previsto dalla legge come reato, ma quando un reato è stato commesso il suo autore deve essere processato e condannato alle pene previste dalla legge. Così stabiliscono i codici penali, così stabilisce la stessa Costituzione.
Nei fatti anche il diritto penale rivela tuttavia, sovente, alcune crepe, e si trasforma in un diritto debole. In alcuni casi tale fenomeno costituisce riflesso fisiologico della venatura classista della società, poiché anche nell’esercizio della giurisdizione è più facile essere forti con gli emarginati piuttosto che con i potenti. Molte volte si tratta invece di un limite oggettivo dovuto alla impossibilità pratica di realizzare la repressione penale sempre e dovunque.
Vi sono due esempi emblematici di tale limite oggettivo alla applicazione del diritto penale. Il numero eccessivo dei processi pendenti davanti agli uffici giudiziari rispetto a quelli che essi sono in grado di smaltire. I delitti incidenti sull’ordine e la sicurezza pubblica che si manifestano come reati «di massa».
Nel primo caso, con appropriate riforme della legislazione penale e della organizzazione degli uffici giudiziari, non sarebbe impossibile (legge ex Cirielli permettendo) circoscrivere il problema entro confini accettabili. Il secondo caso costituisce invece nodo assolutamente problematico.
Se mille persone occupano una stazione, una strada ferrata o un’autostrada opponendo resistenza alla pubblica autorità, se altrettante persone durante una manifestazione reagiscono con violenza contro le forze dell’ordine, se scoppia una rivolta ed i negozi vengono saccheggiati o le automobili bruciate, se interi quartieri sono dominati dal traffico della droga e dalla delinquenza di strada e i cittadini hanno addirittura paura di uscire di casa, sarebbe insensato pensare che tutti i manifestanti o i rivoltosi autori di reati, o tutti i delinquenti, possano essere denunciati, arrestati, sottoposti a processo e condannati.
Ed infatti ciò non accade. Facendo tesoro della ragion pratica e della forza delle cose, si realizza normalmente quella che potremmo definire una «repressione selettiva».
Sociologi e psicologi nei casi menzionati sono soliti approfondire le ragioni sociali e psicologiche dei fenomeni. E cercano di suggerire i rimedi sociali e politici appropriati nei diversi contesti.
Il giurista deve riflettere su tutt’altro. Deve spiegare su quale base teorica ed in quale misura gli spazi di illegalità, tollerati per necessità pratica quando il fenomeno criminale diventa di massa, possono conciliarsi con il rispetto della legalità al quale nessuna società bene ordinata può e deve rinunciare.
Se si ragiona sui principi codificati non sembra esistere soluzione. La violazione della legge è illegalità e basta, ed è illegale che chi delinque non venga perseguito. A questa nozione si potrebbe tuttavia affiancare una nozione di legalità «di obbiettivo»: riassumibile nel concetto secondo cui, quando, a causa delle dimensioni o delle modalità dell’illecito, la sanzione non può essere di fatto applicata a tutti coloro che hanno partecipato al reato, è comunque importante che, attraverso il giusto dosaggio fra il livello della repressione e quello della tolleranza, si consegua il risultato di ripristinare la legalità e l’ordine violato.
Mi rendo conto che per un penalista si è al confine della eresia. Ma non credo che vi sia altra strada per cercare di coniugare, per quanto possibile, la irrinunciabilità ai principi dello stato di diritto con la realtà sovente imposta dalle emergenze. Se si condivide questa prospettiva, sono d’altronde poste le premesse per spiegare in termini abbastanza razionali, anche sul terreno giuridico, i problemi dell’ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini: le rivolte no global, le iniziative bolognesi di un sindaco coraggioso soprattutto considerando la sua storia personale e la sua collocazione politica, la protesta apparentemente cieca e senza sbocchi degli emarginati etnici delle periferie francesi, i quartieri metropolitani dominati dalla delinquenza.
Ha ragione Cofferati nel porre con forza il tema del rispetto della legalità. Hanno ragione coloro che parlano di necessità di proteggere con inflessibilità persone e beni minacciati dalle rivolte. Hanno ragione i cittadini che pretendono il risanamento dei quartieri a rischio criminale. Hanno ragione, tuttavia, anche coloro che, rifacendosi al concetto del «compromesso pratico», mettono in evidenza la necessità di interpretare nella sostanza, e non soltanto nella forma, la esigenza di legalità e ordine.
Altra cosa è il problema, pure oggetto di un dibattito fin troppo vivace nelle ultime settimane, del diritto delle popolazioni locali, o delle corporazioni, ad opporsi ai progetti di interesse nazionale approvati ai livelli decisionali previsti dalla legge. Qui non si tratta di questione di legalità, bensì di modo di intendere la democrazia. Può diventare problema di legalità soltanto nel caso in cui dovessero manifestarsi episodi di violenza o di resistenza illecita.