10 Ottobre 2005
L’economia liberata e i suoi vantaggi
Autore: Francesco Giavazzi
Fonte: Corriere della Sera
Due anni fa il Cile liberalizzò la grande distribuzione. Aprì il mercato domestico a Wal- Mart, la catena che grazie a una straordinaria organizzazione riesce a vendere i propri prodotti a prezzi stracciati. Poi liberalizzò le farmacie, consentendo ai supermercati di assumere farmacisti.
Il governo cileno permise ai supermercati di aprire punti di vendita al proprio interno, consentendo l’esposizione di tutti i farmaci da banco sugli scaffali. L’effetto di queste liberalizzazioni sui prezzi fu straordinario: l’inflazione, che correva al 4 per cento l’anno, in pochi mesi si arrestò. All’inizio del 2004 i prezzi scendevano e anche la crescita dei salari si era arrestata, ma non il loro potere di acquisto che grazie alla caduta dei prezzi aumentò. Con salari fermi migliorò anche la competitività delle imprese cilene, e con essa esportazioni e investimenti. Alla fine ci guadagnarono tutti, consumatori, imprese, lavoratori: tutti tranne quei ricchi farmacisti e negozianti che videro svanire le loro rendite.
Le banche in Israele hanno molti dei difetti delle banche italiane: sono poche, con scarsa concorrenza e controllano il risparmio delle famiglie poiché possiedono tutti i fondi di investimento. La scarsa concorrenza danneggia le imprese; la concentrazione negli stessi soggetti dell’attività di impiego e gestione del risparmio impedisce una salutare interazione tra interessi contrapposti, con potenziale pregiudizio per i risparmiatori (vedi Cirio e Parmalat). Stanley Fischer, il nuovo governatore della banca centrale (dopo essere stato per 10 anni il numero due del Fondo monetario internazionale), arrivato a Gerusalemme all’inizio di quest’anno, ha obbligato le banche a vendere i loro fondi.
Apriti cielo! Ma anziché dar loro ascolto Ariel Sharon, il primo ministro, ha sostenuto il suo governatore. Oggi i risparmiatori israeliani sono più tutelati, e le banche hanno perso un po’ delle loro ricche rendite. L’aumento del prezzo del petrolio (in un anno è quasi raddoppiato) comporta un grande trasferimento di ricchezza dai Paesi che lo consumano a quelli che lo producono.
In Europa la Banca centrale europea si preoccupa perché il naturale tentativo dei sindacati di impedire che siano i lavoratori dipendenti i soli a pagare – attraverso una caduta del loro potere d’acquisto – rischia di provocare maggiore disoccupazione e maggiore inflazione. A quel punto la banca dovrebbe aumentare i tassi di interesse, accentuando il rallentamento dell’economia. Ma perché devono essere lavoratori e imprese a pagare? Non sarebbe meglio prelevare la ricchezza che deve essere trasferita a chi vive di comode rendite, dalle banche ai rentiers del settore immobiliare, ai farmacisti?
Alan Greenspan, il presidente della Federal Reserve, non è invece preoccupato dal petrolio. Da tempo ha smesso di fidarsi delle statistiche macroeconomiche: ogni mattina chiede che cosa hanno fatto durante la notte i cinque aerei che la Federal Express fa volare vuoti nel cielo degli Stati Uniti, pronti ad atterrare là dove il numero di pacchi da trasportare fosse maggiore del previsto e gli aerei locali non bastassero. In queste settimane, proprio in previsione di un rallentamento delle vendite nel periodo natalizio, Wal-Mart ha già abbassato i prezzi e raramente i cinque aerei della Federal Express attendono vuoti il sorgere dell’alba.