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2 Marzo 2006

Le promesse sul Titanic

Autore: Massimo Riva
Fonte: la Repubblica

I PRIMI consuntivi dell´Istat confermano i pronostici più neri. A fine 2005 la crescita del prodotto interno lordo è stata pari a zero: si è tornati, quindi, al peggiore degli ultimi anni, il 2003. Con una seria aggravante: allora l´occupazione, magari in forme precarie, era salita.

Viceversa, nel 2005 si sono persi centomila posti di lavoro. È possibile che le cifre definitive sul Pil possano risultare un poco meno negative con un più 0,1 per cento di aumento.


Ma questa correzione decimale ci lascerà in coda ai paesi industrializzati e non modificherà anche il dato pesante sul mercato del lavoro: segnale inequivocabile di un´economia senza ossigeno. Quanto alla finanza pubblica, di male in peggio.


Non cresce il Pil, ma la spesa corrente galoppa: nel 2005 ­ a dispetto delle vanterie che il premier ostenta nelle sue esibizioni televisive ­ essa è aumentata del 3,5 per cento sull´anno precedente.


Cosicché il bilancio del quinquennio berlusconiano in proposito segna un passaggio dal 43,9 del 2001 al 44,6 per cento dello scorso esercizio.

Vero è che c´è stato anche un calo della pressione fiscale, sebbene nell´ordine di un quasi impercettibile 0,1 per cento.

Ma il combinato disposto di questi due andamenti sottintende la notizia peggiore: continua la corsa suicida verso l´azzeramento dell´avanzo primario ­ il saldo fra entrate e uscite dello Stato al netto degli interessi sul debito ­ che costituisce l´indicatore fondamentale sullo stato di salute dei conti pubblici. Soprattutto, in un paese paurosamente indebitato come l´Italia.


Qual è la prima cosa che dovrebbe fare un normale padre di famiglia alle prese con un pesante debito domestico? La risposta è ovvia: vigilare affinché le entrate superino le spese ordinarie in modo da reggere l´onere degli interessi da versare alle banche.


Ebbene il buon papà Berlusconi ha fatto l´esatto contrario: anno dopo anno dal 2001 al 2005 ha sperperato l´eredità ricevuta e da un avanzo prossimo al 4 per cento siamo ora allo 0,5.

Dato che proietta sull´anno in corso la minaccia di un ritorno al sorpasso delle uscite sulle entrate.

In questa cornice, con un tocco di comicità involontaria, il ministro Tremonti, ha trovato motivo di compiacersi perché l´indebitamento netto ­ variante del deficit agli effetti dell´Europa ­ ha segnato un meno 4,1 per cento anziché 4,3 come pronosticato finora dal governo.

Magnifico: è come se qualcuno, precipitando dal ventesimo piano, si mettesse a gioire perché la sua caduta risulta un poco meno veloce di quanto aveva previsto.


Ciò che oggi sgomenta, infatti, non sono soltanto i pur pessimi dati Istat, ma il clima politico nel quale essi cadono.

Quello di una campagna elettorale nella quale la cattiva moneta demagogica del presidente del Consiglio sembra avere ormai infettato anche l´opposizione.

Berlusconi promette che porterà a un minimo di 800 euro tutte le pensioni, Prodi che garantirà un assegno di 2.500 euro per i giovani fino al diciottesimo anno.

Il Cavaliere insiste nell´assicurare consistenti riduzioni delle imposte sul reddito, il Professore annuncia che taglierà di cinque punti il cuneo fiscale su stipendi e salari e magari renderà esenti da tassazione anche i Bot. E così via inseguendosi sul terreno delle blandizie verso il corpo elettorale.


Può benissimo darsi che queste attraenti promesse si fondino su seri calcoli di copertura finanziaria, come insiste a dire Prodi e in verità molto meno Berlusconi.

Ma, dopo i dati di ieri, tanto al Cavaliere quanto al Professore sembra necessario porre una domanda: mancano meno di quaranta giorni al voto, quando ­ di grazia ­ vorrete parlarci anche del risanamento della finanza pubblica?

Capisco che siamo in campagna elettorale e che un recente sondaggio ha indicato fra i temi meno appetiti dall´elettorato proprio quello del bilancio dello Stato.

Ma questa indifferenza per una questione cruciale non è proprio il peggiore lascito della campagna berlusconiana di manipolazione della gerarchia dei problemi? Passi che Berlusconi preferisca parlare d´altro, ma Prodi?


Ieri, fra i dati Istat ne mancava uno fondamentale: quello relativo al debito pubblico, che sarà reso noto fra un paio di settimane.

Alla luce della crescita zero, non è temerario presagire che si sta tornando indietro, verso un rapporto prossimo al 110 per cento del Pil.

Ciò significa che oggi ciascun neonato, appena uscito dal grembo della madre, si trova sulle spalle una quota capitaria di debito sui 27mila euro, oltre 50 milioni delle vecchie lire.

Un´ipoteca schiacciante per l´avvenire proprio e dell´intero paese: sulla quale i programmi di entrambe le coalizioni dicono cose quanto mai generiche.

È troppo chiedere ai contendenti che il nodo del risanamento finanziario sia rimesso al centro della competizione elettorale?