Il faraone e i beduini. Alla vigilia dell´invasione dell´Iraq il
presidente egiziano Mubarak emise una condivisibile profezia: «Da
questo nasceranno cento, mille Osama Bin Laden». Evitò, però, di
prendere provvedimenti per neutralizzarli. Pensò bastassero le
consuete, liberticide misure di polizia e una inedita, ma rivelatasi
fasulla, apertura democratica. Nella stessa settimana le tessere della
speranza sono cadute in un domino rovinoso: la corsa presidenziale è
stata delegittimata dal ritiro di concorrenti significativi e la
sicurezza è stata spazzata via dall´attentato di Sharm, considerata
fortezza inattaccabile.
Quel che è avvenuto nel Sinai è, anche, l´effetto di un errore del
regime. Dopo l´attentato a Taba, indicò come esecutori materiali alcuni
beduini. Per risposta ne mise a ferro e fuoco l´intero villaggio,
incarcerando e torturando (lo rivelò un rapporto di Human Rights Watch
ripreso su queste pagine) quasi tremila persone, tra cui donne e
anziani. Non si rendeva conto, la polizia di Mubarak, che stava creando
altri cento piccoli Osama Bin Laden? Che chi non era coinvolto
nell´attentato di Taba sarebbe stato disposto a divenirlo, come è
accaduto, nel successivo? Che la cosa più pericolosa è l´allargamento
della base di potenziali kamikaze?
Sharm e Taba sono tragedie, certo, ma
rientrano nel primo livello di operatività di Al Qaeda, quello che
richiede progetto, materiali, carne da martirio. Ancor più terribile è
che in una famiglia ci sia un uomo che si lancia contro i turisti in
coda al museo egizio, mentre la sorella e la fidanzata sparano a un
autobus. Senza organizzazione strategica, né base ideologica, fuori
persino da quel franchising che è Al Qaeda, un´associazione orizzontale
che fornisce il know how, la materia prima e gli obiettivi, poi resta
ad aspettare i risultati. È il secondo livello, quello diffuso, che
agisce e colpirà sempre di più. Non è strutturato e non ha solidi
fondamenti di pensiero. Avrebbe potuto essere conquistato alla causa
della convivenza civile da autentiche concessioni democratiche, dalla
rinuncia allo Stato di polizia. È stato regalato agli avversari. Non
hanno nemmeno avuto bisogno di reclutarli. Agiscono e muoiono da soli.
Non hanno letto il padre spirituale del dottor Zawahiri, l´egiziano
Qutb che esorta “un´avanguardia di puri ad affermare i principi
dell´Islam cominciando dalla conquista di alcuni paesi musulmani”.
Hanno semplicemente visto l´esempio del vicino di casa torturato dalla
polizia politica e reagito. Non hanno un´alternativa a cui votarsi
perché questo non accada più. Si offrono all´unica disponibile. In una
spirale senza fine ora cercheranno di stroncarli, terrorizzando altri
villaggi beduini. Il 7 settembre l´Egitto vota per la rielezione di
Mubarak contro avversari-ombra. La primavera è finita molto prima di
Sharm.
Un messaggio a Beirut. Ancora più di quella egiziana aveva generato
illusioni la “primavera libanese”, culminata nel ritiro delle truppe
siriane. L´ordigno scoppiato accanto a un edificio studentesco la
settimana scorsa è un chiaro avvertimento: il vecchio potere è pronto a
scatenare il caos piuttosto che abbandonare e per farlo smetterà di
colpire obiettivi mirati, passando alle stragi di massa, come fa il
terrorismo di Stato. I leader della primavera libanese o l´hanno
dichiarata morta (come Jumblatt) o sono morti (come Kassir). Il nuovo
governo è un´alleanza di troppi che non accontenta nessuno. La
conclusione dell´indagine Onu sull´omicidio di Hariri è una bomba a
orologeria che i colpevoli cercano di disinnescare mettendone altre,
che ne coprano il ticchettio con il fragore. In questo vuoto, nel sud
del paese, Hezbollah cerca d´imporre una svolta fondamentalista nei
costumi di vita, irrigidendo la disciplina, fortificando uno Stato
nello Stato, pronto alla separazione più che all´autonomia. In
apparenza è un dettaglio: si prepara a decretare il venerdì, sacro
all´Islam, come giorno festivo al posto della domenica, valevole in
tutto il Libano. Attenzione, non è esagerato pensare che il giorno il
cui il gran muftì di Beirut chiederà il venerdì festivo, sarà il
segnale della nuova guerra civile. È nell´interesse di chi non vuole un
Libano nuovo e stabile. Sono gli stessi che hanno agevolato la
guerriglia in Iraq, scommettendo sui vantaggi che avrebbero potuto
trarre dal caos e dagli intoppi del progetto americano. I vecchi regimi
hanno legato la loro sopravvivenza al fallimento di quel progetto,
senza contare che, per riuscirci, stavano e stanno fortificando il loro
principale nemico, quell´avanguardia niente affatto pura che si sta
diffondendo e non esita a colpire chiunque, fosse anche arabo, venga a
patti con l´avversario infedele, si tratti di un diplomatico
accreditato a Bagdad o di un lavoratore salariato a Sharm.
Non è difficile prevedere un´escalation verticale della tensione in
Egitto e in Libano e un allargamento ad altri paesi fin qui sotto
controllo. La nuova gestione americana in Iraq ha dato a chi la
precedette spacciando ottimismo il soprannome di “illusionisti”.
Raccontava l´uomo d´affari libanese che a Washington ora si considera
un modello da indicare la Libia dell´eterno Gheddafi. È allora davvero
arrivata la stagione dei saldi.