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22 Marzo 2006

Le paure del Quirinale

Autore: Edmondo Berselli
Fonte: la Repubblica


Gli esponenti del centrosinistra non possiedono neppure il lessico per descrivere l´imperversare di Berlusconi in queste radiose giornate di guerra. L´aggettivo a cui si adattano è «disperato», ma la disperazione non è il sentimento di un uomo che sta combattendo la battaglia della vita.

Certo, la disposizione d´animo non è più neanche quella che poche settimane fa gli attribuiva Giuliano Ferrara. quando fa scriveva di una campagna televisiva «autoironica, mite e sorridente». Bisognerebbe chiederlo a Luca Cordero di Montezemolo e ai vertici della Confindustria se hanno colto l´ironia e la mitezza dell´intervento vicentino del Cavaliere, e se lo humour berlusconiano ha strappato loro un sorriso.

A Vicenza si è assistito a uno spettacolo di altissima resa scenica, simile per certi versi alle irruzioni dei futuristi nei templi del vecchiume passatista. Attorniato da una folla di ultras, anche nell´abbigliamento riconoscibili come tali, Berlusconi ha prodotto una delle sue interpretazioni più strepitose, mettendo a nudo se stesso e il disegno politico di cui è il cuore. Saltare le mediazioni istituzionali, tagliare fuori gli establishment, liquidare le vaghezze delle élite economiche: e quindi trovare un punto di verità nel legame diretto, immediato, bollente con il popolo “vero”.

Che poi si trattasse di un popolo particolare, il popolo confindustriale, non cambia nulla dello schema: ciò che gli serviva in quel momento era chiamare a raccolta la “sua” gente, richiamare un vincolo inscindibile di classe e di psicologia, rivitalizzare un legame quasi antropologico.

Con il suo exploit, il leader della Cdl ha esposto come forse non aveva mai fatto l´impasto della sua cultura politica: nel momento in cui chiamava all´ammutinamento la fanteria confindustriale contro i generali, si è mostrato in tutta evidenza una specie di Berlusconi al quadrato, di SuperBerlusconi. È in occasioni simili che offre le performance più spettacolari: non quando è avviluppato nelle regole, intrappolato nei minutaggi, imbozzolato nel fair play. Dà il punto più alto di sé quando riesce a costruire e a lanciare i suoi “fattoidi”: oggetti che sono metà fatti e metà invenzioni, concetti da bar trasformate in verità sonanti.

A Vicenza è riuscito a lanciare fra il pubblico l´ordigno ideologico secondo cui dietro i salotti dei poteri forti, dietro le eleganze esangui dell´ambiente montezemoliano, c´è un popolo ribollente, capace ancora di sporcarsi le mani, che condivide integralmente le basi della sua ideologia, il forzaleghismo (il vero partito di Re Silvio, composto da coloro che sghignazzano quando sentono attribuire l´attacco di lombosciatalgia, cioè il “colpo della strega”, a un colloquio con una sindacalista della Cgil evidentemente malefica). Per il forzaleghismo e i suoi sostenitori, alcune convenzioni faticosamente raggiunte nella nostra civiltà politica e sociale sono fisime: lo rivela lo stesso Berlusconi, quando si riferisce alle donne come a una “categoria” e ammette di averne candidate poche perché c´era poco «materiale disponibile».

Ma soprattutto, nell´interpretazione del Cavaliere, i “fattoidi” sono oggetti né veri né falsi ma suggestivi, dotati di forza manipolatoria, entità virtuali che diventano propagandisticamente reali. Un “fattoide” di clamorosa efficacia, per chi vuole presentarsi come vittima di un assedio, è l´illustrazione della maggiore stampa italiana come di un esercito comunista, nuclei di professionisti asserviti al «pentagono rosso», reclutati dalla finanza dirigista, plasmati dall´accademia «declinista».

Con l´endorsement al centrosinistra del Corriere della Sera come la prova provata della congiura dei boiardi. E con la possibilità di additare alla pubblica esecrazione l´antipatizzante Lucia Annunziata (con un vistoso rovesciamento di peso e responsabilità fra chi aggredisce e chi viene aggredito), per concludere con un fuori onda trionfante: «E poi dicono che sono io che controllo la Rai…».

Futurista, espressionista, cubista: Berlusconi scompone la realtà e la propone rimontandola in una forma ulteriore, con plateali effetti distorsivi: era o non era un clamoroso “fattoide” il sondaggio «americano» della Psb, lungamente annunciato, anticipato, minacciato, che gli ha consentito di gridare, a una convention di Forza Italia, «siamo in testa!». Ventilando dunque che un´eventuale vittoria dello schieramento avversario potrebbe verificarsi solo grazie ai «brogli», altro oggetto mitologico che Berlusconi ha agitato nelle ultime settimane, segnalando misfatti del passato come l´annullamento di un milione e seicentomila voti dovuto alle diaboliche abilità della sinistra, «dei suoi emissari espertissimi, in grado di rovesciare il responso delle urne».

Sudamericano, populista, peronista: il vocabolario della sinistra coglie soltanto alcune sfaccettature della realtà berlusconiana. La spregiudicata magia del leader è tale da trasformare in globi di luce, in oggetti misterici, in gioielli divini ogni dato, ogni cifra, ogni realizzazione, ogni promessa. Le leggi approvate sono diventate millesettecento, le riforme sono da tempo assestate a 36, ma lo slogan che le descrive è il seguente: «Abbiamo fatto più riforme in cinque anni di tutti i governi che ci hanno preceduto». Possibile?

No, è un “fattoide”, ma contribuisce a dipingere il governo Berlusconi come un´esperienza straordinaria, e lui stesso come un demiurgo che agita esistenze e interi mondi, in cui si muovono figure altrettanto mitologiche, come «il dottor Letta» o «l´amico Putin». Basta poco in realtà per esorcizzare il catalogo virtuale di Berlusconi, compresa la Bandana e il Contratto: sarebbe sufficiente ripondere, come ha fatto Tiziano Treu, «se la crescita è zero, le riforme erano sbagliate».

Ma il Silvio-Silvio-Silvio acclamato dagli ultrà di Vicenza non si cura di queste mediocrità: le sue invenzioni, irreali, surreali o iperreali che siano, costituiscono una realtà altra, strumenti retorici che servono allo scopo di tenere vivo il legame spirituale con il suo popolo. Sono funzionali al mantenimento del carisma, di quell´impalpabile dote che gli ha consentito in passato di mantenere aperto un flusso di passioni e di aspettative fra sé e «la gente», cioè la società implosa nella privacy, quell´aggregato indistinguibile dalla platea televisiva.

L´hanno chiamato Zelig, e c´è un frammento di verità, se si pensa alle sue numerose interpretazioni: il Buon padre di famiglia, l´Unto del Signore, il Povero Cristo, il Donnino di casa, il Bravo cattolico, il Presidente operaio. Ma sotto queste vesti, cioè sotto l´abito del grande trasformista, c´è soprattutto una durezza straordinaria. A Vicenza, in casa d´altri, ha rubato la scena e ha provato a portare via la dote, senza un sorriso che non fosse maligno, spargendo sarcasmi e andandosene insalutato ospite. Una strategia distruttiva, che forse mobilita i suoi pasdaran, ammesso che ce ne sia bisogno, ma la cui veemenza può intimorire o demoralizzare i moderati. Sempre ammesso che i moderati esistano.

Perché invece il Berlusconi, ora futurista marinettiano, ora strapaesano dell´ultima ora, sembra essersi definitivamente convinto che i presunti moderati sono in realtà un fondo anarcoide della società italiana, niente più che una plebe da aizzare. A questo fine lui ci mette un´ideologia, «noi o loro», senza più nessuna sfumatura estetica. Addita la sinistra come un altro fattoide, un´altra entità maligna, ancora capace di intimorire i bravi e operosi italiani. Ma cinque anni fa c´era un Berlusconi che invitava al sogno. È possibile che oggi, per riconquistare il consenso, sia sufficiente l´immagine di un uomo incattivito che evoca un destino di «miseria, terrore, morte»? È possibile, alla fine, che gli italiani si facciano suggestionare dallo spavento?