Dice Silvio Berlusconi che prima o poi, più prima che poi, potrebbe
risolversi a fare come il giapponese Koizumi, e insomma a mandare a quel paese
alleati infidi e riottosi per rivolgersi direttamente al popolo sovrano. Può
anche darsi. Ma, nell’attesa, non si può fare altro che rimirare, vagamente
allibiti, lo spettacolo di sé quotidianamente offerto da questa maggioranza.
Cominciando dalla più stretta attualità. Era lecito (anzi: persino doveroso)
immaginare che, decidendo di mettere in campo in extremis una proposta di
riforma elettorale destinata in partenza a scatenare le più aspre reazioni
dell’opposizione, il centrodestra avesse fatto bene i suoi conti: un accordo di
ferro sulla proposta in questione, un’altrettanto ferrea determinazione a
condurla in porto.
Neanche per idea, di accordo non si parla, di determinazione a vincere la
battaglia ancora meno, il ritorno al sistema proporzionale più o meno corretto
che non piace a Carlo Azeglio Ciampi non ha già né padri né madri.
Cosicché, a fronte degli esperti, o presunti tali, che hanno buttato giù il
testo incriminato persino i saggi della baita di Lorenzago rischiano di fare la
figura dei padri costituenti. L’accordo montano ha retto, il suo parto, quella
riforma costituzionale di cui la devolution è parte essenziale, è a un passo
dalla doppia lettura parlamentare. O meglio: formalmente lo è, politicamente lo
è molto meno. Perché il segretario dell’Udc, Marco Follini, rende noto che lui,
a dare il via a una devolution che non apprezza più di tanto senza che prima sia
stata discussa e approvata la riforma elettorale, non ci pensa nemmeno. Può
darsi anche che bluffi, Follini, e che già si disponga a fare macchina indietro.
Ma nessuno, proprio nessuno, se la sentirebbe di giurarci su, tanto meno
Berlusconi-Koizumi, che ha buoni motivi per reputarsi il vero bersaglio di tanto
impeto riformatore. E di conseguenza nessuno capisce bene come farà a tirare
avanti il governo, e tanto meno se, quando e come si verrà a capo delle riforme
in questione.
Che non sono propriamente delle riformette.
Basta Non basta. Perché il Parlamento, nelle poche sedute utili che ha a
disposizione (meno di trenta se, come è probabile, si voterà il 9 aprile)
dovrebbe occuparsi, oltre che della Finanziaria, di una quantità di questioni
importanti. La legge sul risparmio (quella che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto
risolvere anche il caso Fazio), per esempio. Ma anche le intercettazioni
telefoniche, e le modifiche alla legge Cirami. Sarebbe già assai improbabile che
riuscisse a farlo con successo in un contesto normale: che riesca a farlo con
questi chiari di luna nella Casa delle Libertà sembra pressoché
impossibile.
Dunque Dunque sarebbe auspicabile che la maggioranza, invece che accendere
fuochi fatui, costringendoci tutti a fingere di appassionarci sulle sorti di
riforme che probabilmente non vedranno la luce, provasse a stabilire quale tra
tante promesse (o minacce) pensa ragionevolmente, tenendo conto dello stato in
cui versa, di poter realizzare. Sarebbe auspicabile. Ma non c’è da farci
affidamento.