Tempo fa scrivevo un pezzo intitolato «Le Mosche nella Bottiglia» ( Corriere , 10 luglio 2004) nel quale dicevo che la nostra classe politica evoca un insieme di mosche che svolazzano sino all’esaurimento all’interno di una bottiglia dalla quale (avendo, appunto, una intelligenza da mosca) non sanno come uscire anche se la bottiglia è stappata. Da allora le nostre mosche (politiche) hanno continuato a svolazzare come prima. E così torno alla carica. Dopo la pesantissima sconfitta alle elezioni regionali del 3-4 aprile, che coronano un crescendo di quattro anni di sconfitte europee e amministrative minori, per il polo berlusconiano è arrivato il momento della verità. Rispetto alle regionali del 2001, la Cdl perde nel complesso 2 milioni di voti e tutto il Sud. Ma chi perde, all’interno del polo berlusconiano, sono soprattutto Forza Italia e poi, seppur meno, An. Che fare?
Berlusconi non vede alternative, e quindi si propone di «tenere la rotta» e di risalire la china impegnandosi nel suo partito e spendendo la sua immagine. In verità potrebbe «vedere» il ricatto di Bossi, perché non è vero che la Lega abbia davvero i numeri per far cadere il governo. Ma il punto è un altro: è che il vero ricatto della Lega non è di uscire dal governo oggi, ma di ripresentarsi alle elezioni di domani da sola.
Si potrà osservare che questa minaccia è poco credibile se e finché avremo, per le elezioni politiche, un sistema elettorale maggioritario che stritola qualsiasi isolato, ivi compresa la Lega. Eppure la minaccia è credibile. Perché anche la Lega si è imbottigliata, e a forza di gridare «devolution o morte» si troverebbe costretta a scegliere la morte. Eppoi questa minaccia sicuramente spaventa Berlusconi, che è da sempre convinto che senza Bossi non può vincere le elezioni.
Veniamo ai problemi di An. Nel Polo la Udc di Follini ha tenuto e la Lega ha guadagnato mezzo punto percentuale (una vittoria modestissima, ma pur sempre un successo). Invece An sta andando maluccio da tempo. Il partito di Fini era, alle politiche del ’96, al 15,7 per cento, e ora si ritrova al 10,5 per cento: un terzo di quel voto in meno. Inoltre, a valere delle regionali del 2000 il calo di An è stato lento ma costante: 12,9, poi 12,0 (elezioni politiche del 2001), poi 11,3 (Europee del 2004) e ora, si diceva, il 10,5; con le ciliegine in più della cocente perdita del Lazio e del successo generalizzato del centrosinistra nel Sud, e cioè nel serbatoio naturale del voto di destra. E checché ne dica Fini quando nega che la riforma costituzionale imposta da Bossi abbia influito sulla sconfitta elettorale di Fi da Roma in giù, in realtà è vero il contrario.
La realtà è che al Sud la devolution bossiana non va giù perché il Sud teme di risultarne penalizzato. E sarà sempre più così: quel tarlo è ormai entrato nel tessuto della società meridionale, e continuerà a rodere finché la devolution resta. Quindi An sta ormai rischiando la propria sopravvivenza. E la verità è che anche Fini è imbottigliato, e che neanche lui sa cosa fare al di là del barcamenarsi tra l’ira dei suoi colonnelli e il timore di affondare la barca.
Beninteso, anche il centrosinistra si è imbottigliato. Così come Berlusconi ritiene di non poter vincere senza Bossi, analogamente Prodi ritiene di non poter vincere senza Bertinotti. E a nessuno dei due viene in mente, a quanto pare, che questo imbottigliamento è tutto e soltanto prodotto dal sistema elettorale – dal Mattarellum – e che verrebbe meno adottando, per esempio, la proporzionale di tipo tedesco. Così dicendo scopro l’uovo di Colombo. Il guaio è che questa è una scoperta troppo semplice, troppo ovvia, per delle mosche che si sono abituate a ronzare a vuoto in una bottiglia.