IL COMUNICATO con il quale Fininvest annuncia la cessione del 16,68 del capitale Mediaset si conclude con la seguente sottolineatura: «Al tempo stesso, mantenendo la partecipazione diretta e indiretta di circa il 34,3, Fininvest potrà continuare ad assicurare a Mediaset la stabilità sia di un azionariato di riferimento sia delle competenze manageriali».
Poche, ma eloquentissime parole, il cui significato, per una volta, è di una chiarezza cristallina: il bello e il cattivo tempo in azienda continueranno a farlo Berlusconi, in qualità di proprietario, e il suo braccio destro gestionale Confalonieri, nel ruolo di amministratore. Superflua per chiunque abbia un po´ di dimestichezza con le vicende finanziarie, simile precisazione ha almeno una sua utilità.
Poiché falcia l´erba sotto i piedi ai tentativi degli alleati di Berlusconi di elevare l´operazione ad atto politico di grande sensibilità istituzionale da parte del presidente del Consiglio sul terreno minato del conflitto d´interessi. Come il ministro Gasparri, per esempio, che si è sbilanciato fino a indicare in Mediaset un´azienda ora «teoricamente» contendibile, o come Gianni De Michelis, che ha parlato di riduzione del conflitto d´interesse, quasi questo fosse un abuso da misurare a percentuale.
Ma più di tutti in questo inane sforzo si è distinto il vicepresidente di An, Ignazio La Russa, deciso a contendere al collega Gasparri la palma del più berlusconiano fra i colonnelli di Gianfranco Fini. A suo avviso, infatti, questa cessione avrebbe «un significato politico molto chiaro nella minore presenza di Berlusconi in un ambito nel quale, da dieci anni, gli si rimprovera un conflitto d´interessi».
L´esponente di An ha così parlato (Ansa delle 12,58) oltre quattro ore dopo la diffusione del comunicato di Fininvest (Ansa delle 08,43). I casi sono due. O ha capito fischi per fiaschi quanto ai termini dell´operazione oppure l´on. La Russa ha fatto un clamoroso autogol, lasciandosi sfuggire quell´inconfessato sentimento di profondo imbarazzo che buona parte degli alleati di governo non può non provare dinanzi al Giano politico-affaristico che guida l´attuale maggioranza.
Infatti, il patetico tentativo di accreditare come segnale politico questa mossa, che non muta in alcun modo struttura ed esercizio del potere nell´impero mediatico berlusconiano, serve solo a denunciare la cattiva coscienza di chi sa che il conflitto d´interessi in capo al premier pesa come un macigno sulla strada della libertà e del pluralismo dell´informazione, dunque costituisce un serissimo problema per gli equilibri della democrazia italiana.
Sa tutto questo, ma non ha il coraggio di affrontare il nodo perché teme di restare sepolto sotto le macerie della Casa delle libertà. Del resto, anche nel recente passato, è capitato più volte di vedere personaggi quali Fini e Follini lanciarsi in sfide bellicose contro le imposizioni del Cavaliere sui più diversi terreni d´interesse politico o personale.
Ma, ogni volta, tutto è rientrato nell´ordine consueto: come par di capire stia avvenendo anche adesso dopo le prime avvisaglie insurrezionali seguite alla cocente sconfitta elettorale. In questo senso, non l´operazione Fininvest-Mediaset ma l´enfasi encomiastica con la quale è stata commentata dal vicario di An potrebbe avere, questa sì, un significato politico: quello di inventare un alibi d´accatto per l´ennesima ritirata dell´accoppiata Fini-Follini.
Fuori di queste miserie, comunque, la cessione di azioni Mediaset si segnala come un´operazione tutta finanziaria, ma scaltra e tempestiva. Nel primo caso, perché consente a Berlusconi di fare cassa senza minimamente vedere scalfito il suo potere sull´azienda.
Nel secondo, perché il realizzo avviene sulla cresta di una lunga onda positiva del titolo in Borsa: più del 14 per cento solo da inizio anno. Occorrerà, piuttosto, seguire con attenzione l´impiego che Berlusconi vorrà poi fare di questa pingue dote di denaro.
C´è gran movimento oggi nella finanza editoriale e nel business delle telecomunicazioni: l´assetto del gigante Telecom-Tim non è ancora dei più saldi e neppure quello del gruppo Rizzoli-Corriere della Sera, al centro di insistenti acquisti in Borsa. Un giorno non si vorrebbe dover costatare, a ulteriore disdoro dell´ignaro La Russa, che la «minore presenza» di Berlusconi in Mediaset abbia come obiettivo una sua maggiore presenza, palese od occulta, in altri giornali o reti televisive.