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4 Gennaio 2006

Le intercettazioni e il regista che non c’è

Autore: Pierluigi Battista
Fonte: Corriere della Sera

I brogliacci delle intercettazioni telefoniche non sono la verità, figurarsi. E la loro diffusione, come fa notare il presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, non può costituire la base di barbarici processi sommari. E’ poi evidente, nel caso delle intercettazioni dei colloqui tra Piero Fassino e Giovanni Consorte pubblicate dal Giornale, come non ci sia nemmeno lontanamente materia per un coinvolgimento giudiziario del segretario dei Ds. Aveva ragione Fassino quando già quest’estate chiedeva: «Vengano resi noti i testi delle telefonate, così tutti ne conosceranno il contenuto». Ed evidentemente non era un atto di spavalderia, un gesto di sfida baldanzosa, quello del segretario dei Democratici di sinistra.


Ora che, almeno in parte, quei contenuti sono stati divulgati, dal tono disinvolto delle chiacchiere tra i due, dall’informalità non sorvegliata della conversazione, dalle espressioni adoperate che rivelano inevitabilmente una certa dimestichezza tra il numero uno dell’Unipol e il leader della Quercia, non appare infatti nulla che possa lasciar suonare le esortazioni estive di Fassino come una fatale imprudenza. Nulla di illecito, o di oscuro. Anche se è difficile, ricavando un senso dalle parole pronunciate durante quel colloquio, che l’interessamento di Fassino si fondasse solo e soltanto, come è stato ripetutamente detto, sulla necessità di stabilire «il diritto di Unipol ad avere le stesse opportunità di ogni altra impresa».


Forse con una certa ingenuità, nel tono partecipato e quasi insistente con cui Fassino (stando al testo dei brogliacci) chiede a Consorte dettagli sulle manovre bancarie effettuate, sulla loro entità, su prezzi, accordi, alleanze, piani, tempi dell’operazione dell’Unipol sulla Banca Nazionale del Lavoro, si rivela qualcosa di molto, molto più coinvolgente di un rapporto formale tra un dirigente politico e un qualunque manager «di ogni altra impresa», per dirla con il segretario dei Ds. Sarà per un antico legame emotivo che deriva dall’ancoraggio a una medesima storia politica, o per una prolungata frequentazione che accomuna due uomini che si sentono spiritualmente appartenenti a una medesima famiglia politica, ma ciò che affiora dalla lettura di quei testi (certo, c’è da ripeterlo?, del tutto ininfluenti sul piano giudiziario e totalmente privi di ogni rilievo penalmente significativo) è molto di più che un superficiale interessamento puramente tecnico a una vicenda bancaria delle dimensioni di cui si sta parlando.


Fassino «interroga» Consorte, vuole conoscere ogni risvolto della storia che il capo dell’Unipol gli sta raccontando: è un atteggiamento che travalica una mera questione di «diritto», il riconoscimento di un ruolo che non confini e condanni il mondo cooperativo a una condizione di perenne minorità. Il Fassino dei colloqui telefonici (un Fassino decisamente «tifoso») è un Fassino che smentisce l’altro Fassino, quello che in pubblico difende appassionatamente una mera questione di principio. Però è proprio qui che si misura l’estraneità del segretario dei Dsa ogni «regia», come si è pure insinuato, delle manovre e delle scalate dell’Unipol.


Nel luglio del 2005, quando Consorte sembra il vincitore indiscusso, Fassino si informa sui dettagli di operazioni già accadute, non su vicende che devono ancora accadere. Interviene e interroga a cose fatte, non nel fuoco di una scalata che deve ancora partire. Viene così clamorosamente smentita l’ipotesi maliziosa del Fassino «regista», se non altro perché è impossibile immaginare un regista che chieda con ardore tanti dettagli su un «suo» film.


La cabina di regia, semmai, è altrove. Se dal male può venire paradossalmente del bene, come pure si dice negli ambienti diessini, dal male delle intercettazioni che non possono e non devono diventare capi d’accusa emerge il bene di un Fassino che può difendersi dall’accusa politica circa un suo presunto ruolo direttivo del mondo dei raiders «collaterali». E questo non è un paradosso.