Lo ricorderemo a lungo, questo 10 di aprile del 2006 che ha rovesciato tutte le previsioni, nonostante la vittoria di un soffio dell’Unione alla Camera, contestata dal Polo, e il risultato del Senato che in realtà resta in bilico, affidato al voto degli italiani all’estero. Silvio Berlusconi ha quasi portato a compimento la più incredibile delle rimonte, e senza cannibalizzare gli alleati.
L’Unione si è quasi vista svanire tra le mani un successo che considerava scontato: stamane il risveglio sarà amaro, nonostante lo scampato pericolo, in primo luogo per Romano Prodi e per i leader riformisti del centrosinistra. Tutto questo è chiarissimo già ora. Quale governo avrà il Paese, invece, è difficile dire.
L’Italia è un Paese dove si va al governo o all’opposizione per un pugno di voti, e grazie a una curiosissima legge elettorale si rischiano persino due maggioranze diverse alla Camera e al Senato. Niente di strano, niente di male: così funzionano (legge elettorale a parte, naturalmente) tutte le democrazie dell’alternanza.
Che in caso di sostanziale pareggio dispongono pure (valga per tutti l’esempio tedesco) di un’importante soluzione di riserva, utile a superare le fasi di maggiore incertezza, la Grande Coalizione. Il guaio è che l’Italia del 10 di aprile non è soltanto un Paese in cui centrodestra e centrosinistra dispongono sostanzialmente degli stessi consensi, e chi vince vince per una spanna.
Il guaio è che dal 1994, quando per la prima volta, caduta la Prima Repubblica, fu chiesto agli elettori di decidere quale, tra le opposte coalizioni, dovesse governare, l’Italia non si è avvicinata di un millimetro alla precondizione di un bipolarismo moderno e civilizzato, che consiste in un minimo di legittimazione reciproca tra le forze in lotta.
Sono 12 anni e passa, da quando, come dice lui, scese in campo, che la sinistra, e non solo per il conflitto di interessi, considera in cuor suo Silvio Berlusconi un usurpatore, e quella metà degli italiani che lo votano, nel migliore dei casi, degli sprovveduti. Sono 12 anni e passa che Berlusconi e i suoi elettori considerano il campo avverso, l’altra metà degli italiani, un orrendo conglomerato di post, vetero e neo comunisti, di poteri forti e di utili idioti.
Questa campagna elettorale ha, se possibile, peggiorato le cose. Sempre meno proposte, programmi, idee per un Paese che declina davvero. Centrodestra e centrosinistra, il primo cercando con tutti i mezzi di rovesciare i pronostici, il secondo immaginando di avere già la Liberazione in pugno, con il passare dei giorni sempre più si sono dati per obiettivo primario quello di mobilitare i rispettivi elettorati profondi: come se il voto popolare fosse un moderno giudizio di Dio.
Un successo comune, a voler essere ottimisti a dispetto della realtà, lo hanno ottenuto. Rovesciando una tendenza consolidata, gli elettori sono tornati a votare in massa. Per via delle tasse? Certo. Ma soprattutto per rinnovare un’inimicizia antica. Chi vuole entusiasmarsene, si accomodi pure. Chi cerca, nonostante tutto, di ragionare, sa che ora è molto più arduo fare un governo che governi, ma prima di tutto tenere insieme l’Italia. Anzi, le due Italie.