30 Ottobre 2006
Le Camere dopo il referendum? Premiati l’Ulivo e Forza Italia
Autore: Renato Mannheimer
Fonte: Corriere della Sera
Tra i responsabili delle difficoltà in cui si dibatte il governo Prodi — ma accadrebbe, in misura maggiore o minore, per qualunque esecutivo — vi è il sistema elettorale attuale. La normativa che regola oggi le consultazioni politiche accentua l’instabilità e la frammentazione. Prima della sua entrata in vigore, lo avevano sottolineato — inascoltati — pressoché tutti gli osservatori e gli esperti del settore.
Adesso non rimane che riparare al danno: di qui la proposta del costituzionalista Guzzetta che verrà forse sottoposta a referendum. Essa prevede che il premio di maggioranza, oggi assegnato alla coalizione vincente formata da più partiti, venga attribuito direttamente al partito che ottiene più voti.
In questo modo si intende favorire la formazione di agglomerati ampi, dotati però di una coesione interna maggiore di quanto non sia per le attuali coalizioni. Resterebbero immutate le soglie di sbarramento previste per le singole liste (4% alla Camera, 8% al Senato). Quali sarebbero gli esiti di una elezione condotta con queste nuove regole? È impossibile saperlo, soprattutto perché i partiti in lizza sarebbero diversi da quelli attuali.
Ogni legge elettorale provoca un mutamento nelle modalità con cui le forze politiche si presentano. E la proposta di Guzzetta in particolare è stata studiata proprio per sollecitare la modifica sostanziale dell’offerta politica.
È dunque per mera curiosità che abbiamo tentato di applicare le nuove norme agli esiti delle ultime elezioni. Emergono, tra gli altri, tre scenari. Il primo, che è anche il meno plausibile, prevede che i partiti si presentino tutti come ad aprile scorso.
La soglia di sbarramento comporta la scomparsa della rappresentanza delle forze più piccole, presenti soprattutto nel centrosinistra. Ma, al tempo stesso, l’Ulivo diventa il primo partito e ottiene il premio di maggioranza.
Di conseguenza, alla Camera, esso gode di un ampio vantaggio in termini di seggi, anche senza Rifondazione. Al Senato, tuttavia, accade l’opposto: se Ds e Margherita corrono separatamente, come è avvenuto alle ultime consultazioni (ma sarebbe insensato con le nuove norme), FI diventa il primo partito e conquista il premio di maggioranza.
L’esito è quello di preponderanze contrastanti nei due rami del Parlamento. E la conseguente impossibilità di governare normalmente il Paese.
Lo scenario simmetricamente opposto — quasi altrettanto improbabile — vede l’insieme delle componenti attuali di ciascuna coalizione trasformarsi in partito.
Il risultato, ovviamente, vede la replica del premio di maggioranza oggi assegnato alla coalizione. E riporterebbe gran parte delle difficoltà che stiamo vivendo in questo momento.
Per fortuna, l’ipotesi più probabile è che si verifichi una situazione intermedia, con l’aggregazione in un unico partito delle forze che, in ciascuna coalizione, si sentono politicamente più vicine.
In quest’ambito, le possibilità sono innumerevoli: quelle riportate in tabella non sono che due tra tante, forse nemmeno le più ragionevoli. Rimane in ogni caso la infausta possibilità di maggioranze diverse nei due rami del Parlamento.
Provocata principalmente dall’ obbligo di assegnare il premio di maggioranza al Senato considerando i risultati nelle singole regioni. È una norma assurda sul piano logico (il premio di maggioranza è concepito per consentire la governabilità del Paese nel suo insieme), ma, come spesso accade, al tempo stesso ineccepibile su quello giuridico-formale (la Costituzione prescrive che il voto al Senato è su base regionale).
E porta a strane incongruenze. Ad esempio, a Ds e Margherita converrebbe presentarsi assieme in tutte le regioni (conquistano circa 20 seggi in più) tranne dove sono più forti, nelle regioni «rosse».
Qui, infatti, i Ds restano comunque il primo partito, conquistando il premio di maggioranza, e la Margherita supera da sola la soglia di sbarramento, aggiungendo altri seggi…
È stato sottolineato che gli estensori della proposta non potevano, attraverso lo strumento referendario, mutare più incisivamente l’insensata normativa oggi in vigore. In ogni caso, già l’applicazione della loro idea porterebbe grandi vantaggi al sistema.
Costringere le diverse forze politiche ad aggregarsi davvero in nuovi, organici partiti, anziché in coalizioni fragili e disomogenee come accade oggi, permetterebbe una semplificazione del quadro politico e, al tempo stesso, frenerebbe la paralizzante compresenza di componenti troppo diverse in un’unica formazione.
Ameno che, al solito, non si applichi la tradizionale furbizia all’italiana, costituendo nuovi, ampi partiti solo in vista delle elezioni, con l’intento di scioglierli successivamente. Per evitarlo, occorrerebbe mutare anche le norme di funzionamento delle Camere, ad esempio vietando, come accade in molti Paesi (come la Spagna), di costituire gruppi parlamentari non derivanti dal responso elettorale. Ma, purtroppo, si tratta di materia non sottoponibile a referendum.