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3 Novembre 2005

Le atomiche a confronto

Autore: Enzo Bettiza
Fonte: la Stampa
Oggi l’Italia si troverà esposta in prima linea nella difesa di Israele e
nella quasi unanime condanna da parte di tante e diverse forze politiche e
culturali delle scandalose minacce scagliate contro lo Stato ebraico dal
presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad. Alla fiaccolata lanciata dal Foglio che
si terrà davanti l’ambasciata iraniana a Roma hanno aderito, in concordia
bipartisan, molte personalità dei due poli. «E’ sensato che si cerchi di
tradurre in atto politico un evento che accomuna gli schieramenti», ha detto
Parisi anche a nome di Prodi. A Milano, non senza un certo imbarazzo, marceranno
in formazione autonoma dirigenti locali di Rifondazione mentre Fausto
Bertinotti, oscillante fra sì e no, sarà ospite del Tg2 che seguirà in diretta
le manifestazioni. A Teheran intanto i pasdaran preparano un’insidiosa
contromanifestazione sotto l’ambasciata d’Italia, mentre dalla stampa si leva un
nutrito fuoco di insulti contro i «sionisti italiani» e si rievoca, non a caso,
il ventiseiesimo anniversario della lunga e drammatica occupazione della sede
diplomatica degli Stati Uniti. Al tempo stesso è stato convocato d’urgenza al
ministero degli Esteri l’ambasciatore italiano, il che ha dato luogo a uno dei
più sconcertanti e sgradevoli confronti fra un rappresentante del nostro governo
e le autorità iraniane.

Il coinvolgimento italiano non è che il visibile elemento di punta di una
crisi di proporzioni mondiali provocata, come era da aspettarsi, dall’ascesa ai
vertici del regime teocratico dell’ex sindaco di Teheran che, da giovane
pasdaran, aveva attivamente partecipato all’assedio dell’ambasciata americana
nel 1979. Si sa che l’Iran khomeinista da sempre vive e si nutre di crisi,
invettive, minacce e azioni contro il «grande Satana americano» e i suoi
«servitori israeliani». Si sapeva e si sa che i «dottori del dogma» avevano
stabilito come obbligo costituzionale della Repubblica islamica la
«cancellazione di Israele dalla faccia della terra». Si sapeva e si sa che
perfino l’ex presidente moderato Khatami, che cercava di tenere buoni con
negoziati e promesse gli occidentali, pensava in cuor suo quello che il più
determinato e più spericolato Ahmadinejad proclama apertamente. Si sapeva e si
sa soprattutto che il gran pontefice degli sciiti, l’ayatollah Khamenei, erede
diretto di Khomeini, oggi concede il pieno appoggio alla linea estremista
tracciata con folle e lucida aggressività dal suo discepolo
Ahmadinejad.

Ma la pericolosa novità di questa improvvisa impennata dei massimi
responsabili clericali e politici di Teheran è che essa coincide con il
congelamento (di fatto se non di forma) della trattativa nucleare fra l’Iran e
la triade Francia, Germania e Gran Bretagna. Come mai, dopo breve esitazione, i
signori di Teheran hanno ora deciso di minacciare Israele, sfidare l’America,
snobbare il negoziato con la trojka occidentale, insultare l’Italia pur sapendo
di esporsi così al rischio di un possibile attacco militare o sanzione
economica? Evidentemente, hanno fatto con irresponsabile freddezza i loro
calcoli. Si sono di certo detti che, almeno in questo momento, l’America è
troppo invischiata militarmente e politicamente in Iraq e in Afghanistan per
azzardare una nuova sortita bellica. Quanto a una sanzione allargata dell’Onu,
con eventuale embargo, essa potrebbe far quasi triplicare il prezzo del
petrolio, portando il barile dagli attuali 60 dollari ai 150 minacciati dal
dirigente economico iraniano Alì Larijani. Sarebbe un mezzo disastro per le
economie occidentali; basterà ricordare che Germania e Italia occupano
rispettivamente il primo e il secondo posto
nell’import-export con Teheran. Non a caso, almeno finora, nei negoziati
sul nucleare l’Iran aveva trovato una sponda europea alquanto morbida o
addirittura acquiescente.

E’ in queste condizioni di notevole e oggettiva immunità internazionale che
Teheran deve aver deciso di combinare, contemporaneamente, le minacce a Israele
con l’accelerazione delle ricerche per realizzare l’atomica.
Però qui si profila la grande incognita di un quadro generale che vede
l’Europa accigliata ma impotente e l’America irritata ma troppo impegnata fra
Baghdad e Kabul. L’incognita è la paura di Israele, la sua angoscia fisica e
metafisica, nutrita dalla memoria della Shoah, di trovarsi solo di fronte a un
nemico implacabile deciso di annientarlo. Secondo stime dell’intelligence e del
ministero degli Esteri di Gerusalemme gli iraniani potrebbero entrare in
possesso della bomba atomica fra sei o nove mesi. Si sa che Israele possiede da
lungo tempo la sua bomba e che non scherza quando è in gioco la sopravvivenza
biologica del proprio popolo e dello Stato creato dopo lo sterminio
dell’Olocausto. Non a caso la fondamentale dottrina di sicurezza degli
israeliani si basa sull’eliminazione, anche manu militari, di ogni minaccia
atomica nella regione.

La prefigurazione di un Iran nucleare, dotato di missili, isolato,
incontrollato, fanatizzato, legato ai terroristi hezbollah del Libano, magari
spalleggiato dalla Russia e dalla Cina, è il nuovo incubo che si profila
all’orizzonte già così turbato degli ebrei mediorientali. La più grave
conseguenza del delirio d’onnipotenza che pervade i «guardiani della
rivoluzione» di Teheran potrebbe essere quella di suscitare una disperata e
radicale reazione di Israele nei loro confronti. Mi sembra che valga la pena di
sottolineare le parole pronunciate, alla vigilia della fiaccolata romana, da un
uomo cauto e controllato come Arturo Parisi: «Non possiamo far scoppiare una
guerra nucleare a due passi da casa».