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2 Novembre 2005

L’atomica dei pasdaran

Autore: Guido Rampoldi
Fonte: la Repubblica

Si fa presto a dire Iran. La consorteria di ayatollah e di pasdaran che ha vinto le ultime elezioni dista anni luce dalla Teheran liberale e cosmopolita che pochi giorni prima del voto incontrammo nella residenza dell´ambasciatore d´Italia.

Dubitiamo che i primi siano rimasti molto impressionati dalle parole pronunciate a Gerusalemme dal nostro ministro degli Esteri.

Auspicare che l´Agenzia per l´energia atomica sottoponga il dossier Iran al Consiglio di sicurezza non è una di quelle minacce da far tremare i polsi, tanto più se a muoverla è un governo non esattamente al centro della diplomazia mondiale.

Inoltre un dossier tecnico può essere calibrato in modo da precostituire questa o quella conclusione, suonare assertivo oppure fumoso, definitivo o invece ambiguo. Poi: allo stato sembra improbabile che il Consiglio di sicurezza raggiunga l´unanimità sulla decisione di infliggere a Teheran una punizione reale.

A bloccare una risoluzione draconiana potrebbero essere Mosca o Pechino, avendo da tempo gli iraniani infittito le relazioni con la Cina, cui oggi vendono gas, e con la Russia di Putin, anch´essa preoccupata dalle basi disseminate da Washington in Asia centrale.

Ovviamente è possibile che russi e cinesi si lascino convincere a votare una condanna più o meno blanda dell´Iran.

Ma neanche in questo caso la Guida suprema Kamenei si allarmerebbe troppo. Infatti il nucleare è il solo terreno sul quale il Paese segua il regime: secondo sondaggi considerati verosimili, oltre l´80% vuole la Bomba, e con quella il rango di grande potenza rimpianto da secoli.

Dunque è probabile che la maggioranza degli iraniani vivrebbe la condanna internazionale come un sopruso, la imputerebbe all´odio d´un Occidente che nega a Teheran quanto permette ai suoi amici, e per reazione finirebbero per stringersi intorno alla nomenklatura oggi non amata, quando non detestata.

Certo tutto questo è opinabile: ma lo è meno il fatto che di solito l´isolamento internazionale aiuta le dittature più di quanto non le danneggi. Chi invece in questi giorni forse è molto preoccupato è l´altro Iran, quello che incontrammo nella residenza di Roberto Toscano.

L´ambasciatore d´Italia e sua moglie Francesca avevano organizzato una serata di poesia, la grande poesia persiana nelle cui acque limpide l´Iran laico e meno laico cerca l´identità della patria quando la storia sembra confonderla.

Incombevano elezioni decisive, i più si preparavano al peggio: tutto indicava che dopo otto anni inconcludenti il governo riformista del presidente Khatami sarebbe stato travolto.

Roma perdeva un interlocutore prezioso, cui per prima aveva offerto, al tempo d´un governo Dini, una legittimazione internazionale, per una scelta all´epoca molto spregiudicata ma a conti fatti previdente (nonché abbastanza fruttuosa: l´Eni oggi è nel petrolchimico iraniano, e l´industria italiana, benché all´estero poco dinamica, laggiù ha un suo peso).

Però quell´epoca tutto sommato felice stava finendo. Il nuovo governo avrebbe ristretto la libertà di cui godeva l´arte? La censura sarebbe tornata occhiuta come un tempo? E chi avrebbe più trattenuto il sinistro procuratore di Teheran, le sue squadre di picchiatori?

Sei mesi dopo l´Iran è meno libero di quanto fosse allora, ma non è ripiombato nel tempo in cui l´apparato parallelo sterminava il dissenso.

L´ayatollah Kamenei potrebbe prendere a pretesto l´isolamento internazionale per tornare alle vecchie pratiche: questa probabilmente oggi è il grande timore dell´Iran che quella sera affollava la residenza dell´ambasciatore italiano.

Quell´Iran oggi concorda con gran parte dei governi occidentali sul fatto che Kamenei e sodali vanno neutralizzati. Come, nessuno sa dirlo. Sarebbe suicida farsi paralizzare dal timore di rappresaglie economiche.

Ma sarebbe imprevidente compattare un sistema di potere molto più diviso di quanto non appaia, pur di comminare una sanzione inefficace. Non è una scelta facile.

Ciò che però dovrebbe esserci chiaro è che la politica estera è una cosa maledettamente seria, soprattutto adesso: non un´appendice della politica interna, occasione per declamare, sfilare, mettersi in mostra, accamparsi sulle prime pagine, il solito furbo dimenarsi d´un Paese dove il tragico non è mai serio.