«Banchiere ai tempi della peste». Guido Carli si considerava così, nei terribili anni ‘70. L´ordine monetario internazionale si incrinava, l´economia mondiale collassava per gli shock petroliferi, il Belpaese soffocava nella spirale Stato padrone-inflazione-debito pubblico, e la “sua” Banca d´Italia sembrava l´unico presidio sano di una nazione infetta. «Banchiere ai tempi della peste» sembra sentirsi anche Antonio Fazio, che di Carli è stato uno degli allievi prediletti, in questo orribile anno 2005.
L´ordine “costituzionale” europeo vacilla. L´Italia si avvita, tra un aumento del Pil «sostanzialmente nullo», una produzione industriale calata di «oltre 5 punti percentuali» in quattro anni, una competitività nei confronti dell´estero che si conferma come il «punto di maggiore debolezza della nostra economia». In questo paesaggio di rovine, oggi come 30 anni fa, l´unica oasi felice sembra il sistema creditizio, di cui la Banca d´Italia è custode attenta e gelosa.
La relazione annuale del governatore, quest´anno, è soprattutto due cose. Una requisitoria aspra contro l´accidia degli imprenditori. Un´apologia orgogliosa del ruolo dei banchieri. Incidentalmente, è anche un richiamo ai doveri dei governanti. Ma sfumato e generico. Ai limiti della reticenza. La situazione dei conti pubblici «rimane difficile». Il deficit sfora il 4 del Pil.
La «spesa primaria corrente» ha ripreso a correre. I consumi si riducono. «Gli investimenti in opere pubbliche» sono fermi. Non c´è traccia di «un´azione correttiva fondata su riforme strutturali». È difficile denunciare questo disastro, senza declinare le generalità partitiche di chi l´ha propiziato o non l´ha impedito. In altri periodi meno critici per la congiuntura politica e per il ciclo economico, la voce del governatore si era sentita molto più chiara e molto più forte.
Maggioranze parlamentari e minoranze corporative avevano subito ben altre “lezioni”, dall´alto magistero di Palazzo Koch. Per tutti gli anni ´90, Fazio era contestato per le sue troppe “invasioni di campo”. E le sue “Considerazioni finali” venivano sospettate ogni volta, come indebito “manifesto politico”. Questa volta, la severa “pedagogia istituzionale” della Banca d´Italia non c´è stata.
Ci piace pensare che si sia trattato di una prova dell´elevato senso di responsabilità che alberga in via Nazionale, sempre attenta a non esasperare i conflitti nei passaggi più difficili della vita del Paese. Ci dispiace immaginare, tuttavia, che su Fazio abbia pesato anche una sorta di self-restraint, alla vigilia della discussione al Senato sul disegno di legge per la tutela del risparmio, su cui pende ancora il rischio di modifiche sulla durata del mandato a vita del governatore.
Deve fare buonviso a cattiva sorte, finché il Parlamento gli tiene una pistola puntata sulla tempia e partiti, giornali, operatori esteri e organismi europei lo tengono sotto il fuoco incrociato delle critiche per le sue «manovre pretezioniste».
Quello che non si sente di imputare al centrodestra, il banchiere centrale lo scarica senza tanti complimenti sul sistema produttivo. Criticato all´assemblea della Confindustria della settimana scorsa, Fazio si prende la sua rivincita, mettendo in piedi un vero e proprio “processo” al capitalismo italiano. Piccolo, asfittico, poco aperto all´innovazione di processo e di prodotto.
È la parte più convincente della sua relazione. Qui, davvero, pochi numeri dicono tutto. Il 99 delle nostre imprese «ha meno di 50 addetti». Nel decennio 1995/2005 la produttività del settore manufatturiero è cresciuta in Italia meno dell´1 all´anno, mentre è salita del 3,2 in Germania, del 3,9 negli Usa e del 4,3 in Francia. Gli investimenti privati in ricerca sono pari allo 0,5 del Pil, contro l´1,7 della Germania, l´1,4 della Francia.
Cade l´alibi cinese: perdiamo la sfida della competitività non nei settori «maturi» dove morde di più la concorrenza delle tigri asiatiche (tessile e cuoio incidono solo per l´1,9 sulla caduta della produzione), ma nei settori «a tecnologia medio-alta» (tra apparecchiature meccaniche, macchine elettriche ed elettroniche la produzione è crollata del 26).
A Montezemolo, che aveva accusato le banche italiane di essere poco concorrenziali, Fazio dedica l´affondo più duro: «La finanza non può sostituirsi all´imprenditore nel perseguimento dell´innovazione, nella progettualità, nell´innalzamento della produttività». Su questo non gli si può dare torto. Solo una settimana fa il rapporto Mediobanca R&S è stato ancora più duro.
Nel 2004 le imprese italiane che investono di più in ricerca sono ancora la Fiat (1,8 miliardi di euro, il 3,9 del suo fatturato) e la Finmeccanica (che spende l´1,5 miliardi). Insieme coprono l´85 della spesa totale in innovazione. Il resto è un vuoto desolante. Colossi come Eni e Pirelli (che pure macinano utili a palate) impiegano in ricerca 257 e 198 milioni di euro.
Eppure a un cattolico colto e “militante” come il governatore, così pronto a vedere la briciola nell´occhio del vicino, non dovrebbe sfuggire la trave conficcata nel suo. In un´Italia ammorbata da tanta pestilenza nessuno può chiamarsi fuori. Le banche meno che mai. Ma proprio su questo Fazio delude le attese. Gioca di pura difesa. Ai limiti della decenza.
Appassionato nella rivendicazione puntigliosa di quanto le banche hanno fatto, per favorire la concentrazione dell´offerta e tagliarne le spese, per sostenere il sistema delle famiglie e quello delle imprese. Ma burocratico nella difesa ostinata di quanto le banche non fanno, per migliorare i servizi alla domanda e abbatterne drasticamente i costi, per accrescere la dimensione dei “campioni nazionali” e favorirne le proiezione sull´estero.
Chi si aspettava ulteriori passi avanti sul terreno della Vigilanza, a partire dalle tristi esperienze di Cirio e Parmalat, è rimasto a bocca asciutta. Chi si aspettava indicazioni strategiche sul processo di integrazione del nostro sistema bancario, a partire dalle due grandi partite aperte su Antonveneta e Bnl, dovrà aspettare ancora. Fazio ripete quello che è già noto.
La Banca d´Italia agisce nel rispetto delle leggi. I criteri sui quali si basano le procedure di autorizzazione alle Opa sono «neutrali rispetto alla nazionalità degli intermediari interessati». Sulle istruttorie pende il “segreto d´ufficio”. Nessuno ha mai dubitato della correttezza giuridica con la quale opera la Vigilanza.
Ed è vero che al credito, un tempo pubblico e oggi largamente privato, questo Paese ha chiesto e continua a chiedere tutto e il contrario di tutto (come dimostra ancora il caso Fiat, che tra pochi mesi avrà proprio le banche sulla tolda del comando). Ma il vero punto è un altro.
Il network dei nuovi poteri ruota intorno all´industria bancaria, molto più che a quella manifatturiera. L´economia reale e la l´economia finanziaria vivono un equilibrio complesso. Ricchezze da impiegare nel circuito interno e progetti da spendere nella competizione globale si concentrano ormai quasi esclusivamente sulla seconda, molto più che sulla prima.
La Banca d´Italia vuole giocare un ruolo dinamico, nella riallocazione delle risorse e nell´internazionalizzazione del sistema Se la risposta è sì, Fazio non può più limitarsi a fare il paladino della conservazione. Non può più fare l´avvocato generale di un sistema bancario “efficiente”, senza dire una parola sui costi dei conti correnti, che secondo l´ultima indagine Capgemini-Ing ammontano a 113 euro l´anno in Italia, contro i 75 euro della media europea.
Non può più limitarsi a tutelare l´autonomia di una Banca d´Italia “trasparente”, continuando a ricevere a giorni alterni i Fiorani o i Ricucci, senza prendere di petto il nodo degli intrecci proprietari tra banche e banche e tra banche e imprese, e senza affrontare il tema della pubblicizzazione dei processi autorizzativi alle partecipazioni bancarie, magari accettando l´obbligo di motivazione a suo carico e la facoltà di impugnativa a vantaggio dei soggetti richiedenti.
Il governatore può e deve fare ancora molto, per modernizzare la “foresta pietrificata” del credito. È giusto e legittimo rivendicare la buona salute del sistema bancario, testimoniata dagli 11 miliardi di profitti generati nel 2004. Ma quegli utili non durano. E servono a poco, se non diventano l´antidoto necessario a curare la “peste” che c´è intorno.