2222
15 Aprile 2005

L’alternanza necessaria

Autore: Michele Salvati
Fonte: Corriere della Sera

«Caro Salvati, anche mettendo insieme tutte le persone ragionevoli, in questo Paese si fa fatica a formare una squadra politica decente. Due squadre, in competizione l’una con l’altra, sono proprio impossibili». Forse il ministro Giovanardi non si ricorderà di queste parole – una battuta, naturalmente, ma fino a un certo punto – che mi rivolse alcuni anni fa nel corso di una discussione sul bipolarismo all’italiana. Io non le ho mai dimenticate e mi si sono fissate nella mente come «il teorema di impossibilità di Giovanardi».

Nel caso si trattava di Giovanardi, ma poteva benissimo trattarsi di un altro democristiano doc, perché è soprattutto tra gli ex democristiani che questa opinione è diffusa. Soprattutto ma non solo. Sia nel ceto politico, sia tra i quadri dirigenti dell’economia, sia tra i responsabili delle istituzioni, troveremmo molti che la condividono.

Ed è una opinione che sta facendo proseliti anche tra coloro che avevano accolto con fiducia il bipolarismo: un’opinione che si diffonde come reazione alla cattiva esperienza di questa innovazione politica, come rigetto del bipolarismo Italian style.

Il teorema è falso, perché anche nel nostro Paese è perfettamente possibile l’alternanza tra due squadre politiche in cui prevalgono persone competenti e ragionevoli. È infondato dal punto di vista della teoria democratica: esalta un vizio – l’oligarchia, l’ union sacrée dei «ragionevoli» e il taglio delle ali estreme – non una virtù della democrazia.

È deviante nelle sue implicazioni perché, attribuendo l’impossibilità a cause storiche e culturali insuperabili, indirizza la ricerca di un sistema politico «adatto al Paese» al di fuori del modello di democrazia dell’alternanza. E si basa su una memoria della «Prima Repubblica» insostenibile da un punto di vista storico.

Si può anche affermare che quella della Prima Repubblica fosse una democrazia accettabile, date le circostanze: ma solo la nostalgia può far ritenere che allora avessimo una democrazia piena e un governo efficace. E poi le circostanze sono così cambiate che anche il più nostalgico degli ex democristiani non dovrebbe farsi illusioni sulla possibilità di un ritorno.

Tuttavia il teorema razionalizza, dà una spiegazione sbagliata a una insoddisfazione reale: il nostro bipolarismo funziona male, sia dal punto di vista della rappresentanza delle opinioni politiche (che comprime nella camicia di forza di due coalizioni incoerenti), sia da quello della governabilità, che è minacciata dalla presenza in queste coalizioni di ali radicali con forte potere di ricatto.

Ma se la via d’uscita non può essere una soluzione trasformistica, che comporti la neutralizzazione in via di principio delle ali estreme; se è democraticamente apprezzabile tenere in vita una democrazia competitiva, in cui da ultimo i cittadini possano scegliere e cambiare i loro governanti; se si tratta di un percorso dal quale è difficile tornare indietro, il problema è uno solo: quali sono i modi per far funzionare meglio il nostro bipolarismo

Il carro delle riforme elettorali e costituzionali – certamente necessarie – non può essere messo davanti ai buoi di una convinzione profonda che l’alternanza è democraticamente necessaria, è una cosa buona ed è destinata a rimanere.

E dunque che la soluzione vada cercata in processi politici e culturali interni al centrodestra e al centrosinistra stessi, così da costruire due schieramenti coerenti quanto basta e attenti all’interesse del Paese. Riforme elettorali e costituzionali che facilitino questi processi seguiranno, come l’intendenza di Napoleone.