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22 Aprile 2005

La terza costituzione

Autore: Andrea Manzella
Fonte: la Repubblica

Siamo un Paese con tre costituzioni. Due reali, una immaginaria. A tutte e tre si è riferito il presidente del Consiglio, annunciando le sue dimissioni in Parlamento.
È reale la costituzione che dal 1994, dopo l´introduzione della legge elettorale maggioritaria, regge il nostro sistema politico. Da allora, infatti, il “fatto compiuto governativo” si verifica nel giorno elettorale, fuori e prima della riunione delle Camere. Presidente della Repubblica e Parlamento “prendono atto” di quello che è già avvenuto. C´è ormai una coalizione vincente, che esprimerà il governo; c´è ormai una coalizione perdente, che formerà l´opposizione. Ha ragione dunque, in questo, il presidente del Consiglio: l´atto sovrano per eccellenza, la decisione sul governo, è del corpo elettorale, niente “defatiganti procedure parlamentari”.
Ma, attenzione, è reale, anche e ancora, la Costituzione parlamentare del 1948. Nel senso che le sue norme sul governo hanno assunto, dopo il 1994, un nuovo senso e un nuovo valore. Il loro significato è quello di garanzia. Nel momento iniziale, prima, con la fiducia, il Parlamento verifica che la formazione del governo è conforme alla volontà degli elettori. Per tutta la durata della legislatura, poi, le Camere verificano regolarità e opportunità degli atti di governo e anche la permanenza delle basi della sua legittimazione originaria. Insomma, completando la citazione monca del presidente del Consiglio, la Costituzione del 1948 dice sì che “la sovranità appartiene al popolo” ma aggiunge che questo “la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” stessa. E nelle forme e nei limiti c´è anche e soprattutto il controllo parlamentare sul governo e sulla sua investitura.
Così convivono le nostre due costituzioni reali.
È contro questa coabitazione, di fatto e di garanzia, che il presidente del Consiglio ha parlato in nome della terza costituzione, la costituzione immaginaria.


È quella contenuta nel progetto conosciuto volgarmente come devolution, e che mai come oggi appare lontana dal diventare davvero la nostra costituzione.
Perché il presidente del Consiglio si è appellato a questa costituzione irreale? Non perché, secondo l´attuale ordinamento, non potesse ancora una volta procedere ad “adeguamenti nella squadra di governo” che avesse ritenuto necessari. Nella sua lunga presidenza da record ha, infatti, cambiato addirittura quella che è la dorsale appenninica di qualsiasi governo esistente “nelle più avanzate democrazie occidentali”: ministro dell´economia, ministro degli interni, ministro degli esteri (questo per tre volte). Ed è andato avanti senza “defatigare”.
Il vero perché sta nella volontà di superare con le progettate forzature istituzionali la realtà politica del governo di coalizione. Il nostro sistema politico è infatti bipolare (cioè di coalizione multipartitica) e non bipartitico. Fino a che c´è l´accordo di coalizione, il presidente può fare (quasi) tutto, se non c´è può fare (assai) poco. Il suo discorso è stato perciò intelligente quando ha parlato di futuribile “trasformazione dell´alleanza” tra partiti (quello che il centrosinistra ha già fatto o sta cercando di fare). Il discorso si è invece ingarbugliato in una specie d´impotente prova di forza quando ha fatto capire che la costituzione immaginata nel suo progetto, metterebbe a posto le cose. In altri termini, che con il potere di scioglimento trasferito dalle mani del capo dello Stato a quello del presidente del Consiglio, sarebbero sedate sul nascere le quasi-ribellioni di coalizione, come quella in corso.
Si fa chiaro, dunque, quel filo di sovranismo presidenziale denunciato dagli oppositori del progetto. Ed è impressionante, in questo caso il “rifiuto” della verifica parlamentare sulla perduranza della maggioranza.
Proprio quando si ammette che la dissidenza degli alleati più riflessivi nasce non da beghe nel palazzo dei partiti ma da un “segnale di disagio” elettorale (come, con una certa grazia lessicale, è chiamato il catastrofico 12 a 2 alle regionali).
Se gli alleati scontenti hanno potuto oggi trovare una sponda nelle garanzie parlamentari della Costituzione vigente, non la troverebbero più nella costituzione progettata. Qui la stessa idea di “discontinuità” sarebbe anche tecnicamente ardua se non impossibile a configurarsi.
Ecco perché, attenendosi a quella costituzione immaginaria, il presidente del Consiglio ha parlato di “dimissioni formali”. Non essendo previste nell´immaginario costituzionale, esse non possono neppure dunque esistere, malgrado le apparenze, nell´ordinamento reale. Neppure Italo Calvino nel suo “Cavaliere inesistente” era arrivato a tanta fantasia. Con questa visione del governare senza garanzie, anche e specialmente nei confronti delle componenti della propria coalizione, si sono però definitivamente confermati i peggiori sospetti su quel disegno, in avanzato stato, di decomposizione costituzionale. Non ce n´era bisogno per vincere il referendum eventuale. Ma, certo, aiuta.