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1 Marzo 2007

La solitudine di Parisi il pessimista «Così rischiamo di non ritrovarci»

Autore: Maria Teresa Meli
Fonte: Corriere della Sera

ROMA – In molti esultano al Senato. Altri fanno già i calcoli per capire come, dove e quando si darà il via al dopo-Prodi. E’ la fotografia a colori dell’Unione in questo mercoledì sera, a palazzo Madama. Tutti parlano con tutti, tutti sparlano di tutti. Solitario Arturo Parisi si avvia verso l’uscita. Eppure è da lui che è nato tutto. E’ da quel voto sulla base di Vicenza nell’aula di palazzo Madama che ha preso corpo l’ennesimo tormentone unionista che si è chiuso solo grazie al voto di Marco Follini.

Chiuso, sì, ma per modo di dire. Ed è di questo che Parisi si preoccupa. «Oggi, al di là di questo passaggio al Senato, senza un colpo d’ala, senza uno slancio, rischiamo di perdere e di non ritrovarci», è la pessimistica previsione che il ministro della Difesa affida più tardi a qualche amico. Certo, gli pesano sulle spalle, quei numeretti che raccontano che l’Unione gli ha rivolto ben 103 interrogazioni per contestare il suo operato alla Difesa, mentre la Casa delle Libertà si è limitata a farne 28. Ma non è su questo che si arrovella ora Parisi. E’ sul futuro che medita e rimedita. «In questi ultimi due anni -ha spiegato il ministro della Difesa a più d’un interlocutore in questi giorni – la coalizione ha rinunciato alla politica, affidando tutto al tavolo programmatico, immaginandolo come il luogo in cui si risolveva ogni cosa…evidentemente così non è stato. La crisi che c’è stata è proprio il frutto dell’assenza della politica».

E l’assenza della politica lo preoccupa perché così, a suo giudizio, «si mette a rischio il progetto del Partito democratico e dell’Unione». E nei conversari più privati il ministro della Difesa ammette che il Pd, nella versione in cui si sta prospettando, lo riempie di «perplessità», non è il soggetto politico che aveva immaginato. E ha confessato che quasi teme di essere chiamato al prossimo congresso della Margherita a tesserne le lodi. Però è anche convinto che «se il Pd non lo faremo noi, lo farà qualcun altro», perché quello è l’orizzonte inevitabile. Sono amare le sue riflessioni: «Sopravviviamo per non morire, ma la sopravvivenza porta alla morte», si lascia sfuggire con un amico.

Quasi nessuno lo vede entrare, quasi nessuno lo vede uscire, parla con pochissimi. E si allontana mentre dietro le sue spalle gli ex popolari malignano così: « E’ un uomo solo, ormai senza più sponde, neanche con Romano Prodi». E senz’altro, nella Margherita, Arturo Parisi, non ha grandi spazi di manovra. Com’è vero che il suo rapporto con il presidente del Consiglio non è più quello di un tempo. Lo ha spiegato lo stesso ministro della Difesa a qualche alleato: io ho sempre un grande rapporto di amicizia e di solidarietà con Romano, ma senz’altro non sono più il suo consigliere politico». Se lo fosse stato ancora gli avrebbe suggerito di mettere gli alleati con le spalle al muro, di minacciare: o è così o si va al voto. Come gli avrebbe consigliato di non lasciare in un cantuccio il tema del Partito democratico.
Dunque, un uomo solo, dicono i suoi detrattori nei Dl. Ma Willer Bordon, presidente dell’assemblea federale della Margherita, lo descrive così: «Non è un politico, e probabilmente si offenderebbe a sentirsi definire tale: ha delle visioni lungimiranti che alla fine colgono nel segno». Come quella visione – «perdere ma non perdersi» – che nel ’98 lo ha portato a sfidare i numeri e la realtà della politica italiana. 

E’ vero, quell’anno Prodi ha perso la sua partita. Ma poi, è tornato. E Parisi è convinto che ciò sia potuto succedere perché affrontare la tagliola dei voti che non c’erano «non fu un errore, ma un gesto di lungimiranza politica e di dignità». Già, «dignità, coerenza e rispetto per noi stessi – non si stanca mai di ripetere il ministro della Difesa – sono concetti importanti». Ma che farà ora il solitario Parisi? C’è chi lo vede in rotta d’avvicinamento a Walter Veltroni, però al Campidoglio giurano che non è vero. E c’è chi pensa che ci riprovi. Che riprovi, cioè, a impedire i giochi e giochetti degli alleati di Prodi. Le larghe intese, per esempio, che per lui sarebbero una iattura, perché «sancirebbero il tradimento del mandato elettorale e la perdita di credibilità dell’Unione e dell’Ulivo». Per questa ragione, tutto sommato, si accontenta del fatto che pur di «non inficiare il voto degli elettori e di non abdicare alle primarie» si vada avanti con questo governo, benché ammaccato e non con altre soluzioni. 

Di armi a disposizione Parisi ne ha solo due. La prima, il referendum, che però quasi nessuno vuole, tant’è che nel centrosinistra in molti scommettono sul fatto che alla fine la Corte giudicherà incostituzionali i quesiti. La seconda è rappresentata dai pochi amici che gli sono rimasti dentro la Margherita e che daranno vita, a breve, a un’associazione culturale- politica di stampo iper-ulivista. Non una scissione, naturalmente, ma una spina nel fianco di chi vorrebbe un Pd versione D’Alema- Marini.