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29 Novembre 2004

La Sinistra e il Buongoverno da ridare all´Italia

Autore: Adriano Sofri
Fonte: la Repubblica

COME tutti (quasi tutti, insomma) ero esterrefatto per il nome di Gad. Stanno scherzando, mi dicevo. Allora, come tutti, mi sono detto: se uno dissente da un nome, deve proporne un altro. Come in quelle serate in cui due aspettano un figlio, o una figlia, e fingono di aver piacere che gli invitati suggeriscano il nome. (Del resto, Gad per un bambino andrebbe benissimo). Mettere poi l´aggettivo “Grande” in un´impresa bisognosa di ragionevolezza, fiducia e piccole virtù: che pazzia. La Grande Guerra, il Grande Fratello, la Grande Muraglia, tutto quello che vuol chiamarsi Grande dev´essere rifuggito con ogni cura. Certo, poteva andare peggio, era già andata. La Cosa, per esempio. Grazie al cielo non si è pensato di chiamarla La Grande Cosa ? o La Cosa Grande. Ho detto Piccole virtù non a caso, perché chi voglia inventare un nome a un´intenzione politica, dunque non a un detersivo, fa bene a rileggere Natalia Ginzburg. Natalia si dispiaceva che il Partito Comunista smettesse di chiamarsi così, e aveva torto politicamente, però aveva ragione a ricordare che ai nomi ci si affeziona: “Dicono che il nome non è importante. A me invece sembra importantissimo”.
Ho visto con sollievo che, sia pure dopo molti giorni e troppi titoli di giornali tesi a ottenere un´assuefazione di sinistra alla Gad, è venuto il contrordine. Però poi l´hanno chiamato l´Alleanza, e sono ricaduto nello sconforto. Non solo perché c´era quell´Alleanza Nazionale, né per una certa astrattezza. Solidarnosc, per esempio, non aveva l´articolo, e poi la solidarietà è per sé concreta. Alleanza ha qualcosa di assicurativo, no? Non di rassicurante, di assicurativo. Allora meglio Toro, non so. E c´è il precedente della Triplice Alleanza: ulteriormente moltiplicabile nell´alleanza del centrosinistra. Dunque bisognava provare a inventarsi un nome.

Buon governo (così, oppure tutto attaccato e maiuscolo, come in Luigi Einaudi, il Buongoverno, oppure col trattino): mi è sembrato che ci stessero bene quelle due paroline lì, Buon governo. Per via di Simone Martini, certo. Ma anche per sottolineare una certa sobrietà, e specialmente che una coalizione di partiti e di associazioni che abbia per fine di partecipare alle elezioni e vincerle, ha la sua ragion d´essere nella bontà della sua attitudine a governare. Non in trascinanti termini morali, né in grandiose prefigurazioni ideologiche: nel buon governo. So che oggi si inclina a dire: la Governance, ma è un´abitudine che non mi commuove, né mi mette in soggezione. È solo una parola che si dà delle arie. Del resto, mi pare che, nonostante la sua fisionomia dimessa, la nozione di buon governo comprenda orizzonti via via più vasti, dal governo della città di Siena a quello dell´Italia e dell´Europa, fino all´augurio di un buon governo della Terra. In altri tempi avrei sospettato un concretismo poco meno che qualunquista dell´idea del buon governo, o che il buon governo volesse ridurre la politica ad amministrazione, quando bisognava dirsi tutti interi per qualche programma massimo. (Oppure contro qualcosa: non so ancora se il liberismo cosiddetto selvaggio sia più o meno commestibile dell´antiliberismo metafisico). Adesso ho l´impressione che quella fra il buon governo e il cattivo governo sia una delle distinzioni più degne di significare e anche rimpiazzare quella fra destra e sinistra, o centrosinistra e centrodestra. Nomi i quali, se andassero davvero bene, dovrebbero presentarsi senz´altro agli elettori, senza travestirsi da Casa delle libertà o Ulivo o chissà che altro. Non è solo per ragioni decorative che non ci si chiama Centrosinistra, o Centrodestra. La vera scommessa, quella elettorale, riguarda il buon governo, perché poi ciascun partito e individuo può continuare a mirare alle sue astrazioni ideali, dal repubblicanesimo al liberalismo alla democrazia cristiana al socialismo e all´anarchia, e anche al comunismo, se gli piaccia tenere del tutto distante la grammatica dalla pratica. E se tanto tempo fa la formula poteva associarsi piuttosto alla Destra storica – ma una destra competente e integerrima – oggi dev´essere piuttosto il contrario. Si spiega così il trasloco, a volte spettacolare, di persone di ispirazione liberale e conservatrice nel campo pigramente detto della sinistra, magari con un radicalismo (o anche un´inclinazione da neofiti per la demagogia) che ne sbalordisce e spiazza i vecchi inquilini: diserzione da un campo espugnato, piuttosto che arruolamento all´altro campo. La stessa discussione su quanto bisogni essere di centro per conquistare adesioni nell´elettorato rivale è un modo di equivocare la questione, sostituendo al rigore di idee e comportamenti un moderatismo di principio. Il buon governo, direi, ha bisogno di nettezza ideale e moderazione ideologica.
Avrei tenuto per me il nome, vedendo bene come non sia entusiasmante, e offra solo una dignitosa approssimazione al problema, finché ho letto qui Eugenio Scalfari sulla riedizione del Buongoverno di Einaudi per Laterza. Naturalmente né Scalfari né io usiamo parole come quelle di Natalia Ginzburg, che scriveva: “Vorrei che il Partito comunista andasse al governo”, e poi scriveva: “Vorrei che riuscisse a governare senza mai smarrire il bene supremo dell´incertezza e della fragilità”. Però: “Oggi si applicherebbe probabilmente a Einaudi – scrive Scalfari – lo slogan ?piccolo è bello´”. Che conferma almeno il bando antinapoleonico dell´aggettivo Grande. L´argomentazione di Scalfari autorizza la conclusione che il Buongoverno è esattamente il programma di un´opposizione seria che si unisca per diventare maggioranza, meritandolo. Perché non potrebbe esserne il nome? Tanto più per una coalizione guidata da Romano Prodi. Oltretutto quel nome, il buon governo, ha il pregio di essere vecchio e nuovo insieme: proprio come dev´essere una buona politica, e il mondo intero. Solo questo, davvero solo questo, giustifica che durino ancora tanti partiti coi loro nomi più o meno gelosi, a parte la vanità e la rendita burocratica. Diceva ancora Natalia, nell´articolo sul “Nome”: “Mi sembra che nell´andare verso il nuovo sia necessario portarsi dietro, del passato, quanto aveva di meglio, custodirlo e salvarlo dalla rovina”.