Sembrava che Romano Prodi avesse a disposizione due sole alternative possibili, ambedue rischiosissime, per affrontare la sfida lanciatagli da Francesco Rutelli e dalla Margherita: cercare di circoscrivere la portata dello scontro, accettando un ruolo da re senza terra, oppure promuovere, per la quota proporzionale, una sua lista personale, nella speranza di guadagnare voti un po’ dappertutto, certo, ma soprattutto nel territorio elettorale degli sfidanti.
Invece ne ha scelto una terza, ancora più rischiosa, visto che innesca un terremoto destinato a squassare sin dalle fondamenta quel poco che resta della Federazione dei riformisti, e a mutare in profondità gli assetti dell’Unione.
Una Lista Prodi ci sarà, sì, ma sarà la lista dei riformisti che ci stanno a farsi federare dal loro candidato premier. I Ds, dunque, e la piccola pattuglia dello Sdi e quella, ancora più piccina, dei repubblicani europei. E niente Margherita, si capisce. Una coalizione dei volonterosi, magari con l’aggiunta di Arturo Parisi e dei suoi. Un Ulivetto.
All’apparenza la sua può anche sembrare una sortita azzardata per tentare di spezzare l’assedio: in parte, lo è.
Ma le apparenze, come è noto, molto spesso ingannano. Il rischio è alto? Certamente. Dal punto di vista di Prodi, però, ha anche tutta l’aria di essere un rischio calcolato, che il Professore si è accollato dopo essersi fatto e rifatto i conti.
Muovendo dalla convinzione che la sua leadership sia tuttora più salda di quanto pensino molti nella sua coalizione, non foss’altro perché nessuno ha la forza, il coraggio o l’interesse necessari a metterla apertamente in discussione; e che, a guardar fuori dal recinto del ceto politico, è buona parte della società civile ( ivi compresa la società civile che conta, non solo quella convocata via fax) a considerarla fuori discussione.
Forse è troppo affermare che Prodi si comporta, anche nei confronti dei partner scomodi, come se al governo ci fosse già, e potesse regolare i conti sin d’ora. Ma di sicuro pensa che il destino del centrodestra sia segnato, nonostante Catania, nonostante Bolzano. E sa che molti e importanti interlocutori, anche fuori dalla sua coalizione, condividono la previsione. Anzi, la considerano quasi una certezza.
Resta da capire, naturalmente, se questi calcoli siano davvero esatti. E, prima ancora, quali effetti avrà, sul centrosinistra, l’imprevisto decisionismo del Professore. Dell’Ulivo si rischiano di perdere le tracce; dell’Unione, non si sa.
Quella di Rutelli e della maggioranza della Margherita, come ricordava ieri su questo giornale Michele Salvati, era già una sfida assai seria: adesso si trasforma in uno scontro duro, spietato.
Piero Fassino ha già dato il via libera a Prodi, ma il ruolo assegnato ai Ds, il più grande partito del centrosinistra, assomiglia da vicino a quello di una forza gregaria: non è solo il correntone a ribellarsi a una simile prospettiva.
I socialisti si oppongono all’idea che alla lista del Professore si aggreghi Antonio Di Pietro. E’ probabile che tutto questo, e altro ancora, Prodi lo abbia messo in conto. Ma il pericolo di implosione è serissimo.