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13 Febbraio 2006

La riduzione del “cuneo” un’arma in più

Autore: Tito Boeri
Fonte: la Stampa

Non ci sono nel programma dell’Unione le 5 idee forti invocate da molti in
questi mesi. Non ci sono neanche i 5 punti di riduzione del cuneo fiscale sul
lavoro annunciati da Romano Prodi in televisione. Solo un impegno, ribadito in
più parti del programma, a «ridurre l’imposizione sulle basse retribuzioni» con
una «fiscalizzazione selettiva degli oneri sociali sulle fasce a più bassa
remunerazione». Poi tantissime proposte, alcune anche su questioni di dettaglio,
in grado di accontentare un po’ tutti.

Non sappiamo quando e se sarà disponibile il programma elettorale del
centro-destra. Ma è molto probabile che per leggere un vero «programma dei 100
giorni», un elenco delle priorità dell’azione di chi si troverà a governare il
Paese dopo le elezioni del 9 aprile, dovremo attendere la formazione del nuovo
governo. E neanche questo è un esito scontato. La legge elettorale ha
ulteriormente rafforzato il potere di veto dei singoli partiti della coalizione,
anche i più piccoli. Per vincolare tutti ad un’agenda di governo bisognerà
subordinare l’accordo sulla composizione del governo, la scelta dei ministri, ad
un vero accordo programmatico. E’ quanto avvenuto in Germania all’atto della
formazione della Grosse Koalition, i cui ministri si sono impegnati (assieme ai
loro partiti) sottoscrivendo un dettagliato accordo di programma di legislatura.
Se così fosse, si eviterebbe anche quell’eccessiva personalizzazione dell’azione
di governo (le troppe «riforme» fatte solo per depositare il nome del ministro
sotto la cui reggenza sono state varate) che porta alla moltiplicazione del
numero di leggi (altre 600 in più, al netto delle poche abrogate, in questa
legislatura).

Il programma dell’Unione serve, comunque, a dare indicazioni sulla
filosofia che ispirerà l’azione di un eventuale governo di centro-sinistra,
senza concedere troppo spazio alla demagogia. E’ molto forte in tutto il
programma il riferimento alle politiche redistributive. Questo è coerente con il
profilo delle politiche economiche degli ultimi dieci anni. Nel periodo
1996-2001 al 10 per cento più povero della popolazione è stato destinato il 13
per cento dei nuovi trasferimenti sociali (o sgravi fiscali) decisi durante la
legislatura, mentre al 10 per cento più ricco è andato il 5 per cento di queste
risorse liberate dall’azione di governo. Nel caso del governo tuttora in carica,
al 10 per cento più povero è andato il 6 per cento di sgravi e nuovi
trasferimenti mentre al 10 per cento più ricco attorno al 22% delle risorse
aggiuntive (si veda lo studio di Baldini su www.lavoce.info).
Forse anche per questo la riduzione del cuneo fiscale, l’idea forte
annunciata da Prodi in televisione, viene declinata nel programma dell’Unione
come misura concentrata sui lavoratori con salari più bassi. E’ una scelta che,
oltre ad essere coerente con il profilo distributivo del programma, ha il pregio
di raggiungere altri tre risultati importanti.

Primo, riduce considerevolmente i
costi dell’operazione, risultato non da poco per un governo che erediterà un
disavanzo strutturale attorno ai 5 punti di Pil. Una riduzione generalizzata di
cinque punti del cuneo fiscale sul lavoro sarebbe costata quasi un punto di Pil
– una mission impossibile per chi deve risanare il bilancio e si impegna anche a
restituire il drenaggio fiscale (2,5 miliardi) – mentre un intervento sui soli
salari più bassi potrebbe costare attorno ai 2-3 miliardi di euro, ottenibili
con l’armonizzazione della tassazione delle rendite finanziarie contemplata dal
programma.

Secondo, concentrandosi sui salari più bassi, si rende la riduzione
delle tasse sul lavoro coerente con l’altro principio guida del programma,
quello del recupero di base imponibile, della lotta senza quartiere al sommerso
e all’evasione fiscale. Com’è noto, il lavoro nero, specie al Sud, è concentrato
in mansioni a bassa produttività, in grado di sopravvivere «alla luce del
giorno» solo a seguito di consistenti sgravi contributivi (più che fiscali dato
che si tratta di salari che ricadono nella no-tax area).

Terzo, un’azione
concentrata sui salari più bassi – in virtù delle caratteristiche dell’offerta
di lavoro e dei maggiori margini che gli sgravi contributivi consentirebbero per
il decentramento della contrattazione al Sud – potrebbe anche tradursi in
vantaggi competitivi non transitori per le imprese.

Infine, sgravi contributivi
generalizzati per tutti i livelli salariali finirebbero per corrompere il legame
sempre più stretto fra contributi e prestazioni previdenziali che sta alla base
della riforma strutturale del nostro sistema pensionistico in atto dal 1996 con
il passaggio al metodo contributivo. I lavoratori con salari più bassi
beneficerebbero comunque di una fiscalizzazione delle proprie pensioni, dato che
presumibilmente finirebbero per maturare prestazioni al di sotto dei minimi
pensionistici oggi vigenti o di misure di contrasto della povertà. Quindi non ci
sarebbe necessariamente contraddizione fra riforma delle pensioni secondo il
tracciato definito nel 1996 e decontribuzione.

Introducendo aliquote più basse
per tutte quelle remunerazioni che portano a maturare pensioni al di sotto della
linea di povertà, si potrebbe anche facilitare l’armonizzazione dei trattamenti
previdenziali di lavoro alle dipendenze e lavoro autonomo prevista dal
programma, riducendo gli incentivi a ricorrere a figure contrattuali improprie,
come i contratti a progetto, nell’ambito di rapporti di lavoro subordinato.