Non ci sono nel programma dell’Unione le 5 idee forti invocate da molti in
questi mesi. Non ci sono neanche i 5 punti di riduzione del cuneo fiscale sul
lavoro annunciati da Romano Prodi in televisione. Solo un impegno, ribadito in
più parti del programma, a «ridurre l’imposizione sulle basse retribuzioni» con
una «fiscalizzazione selettiva degli oneri sociali sulle fasce a più bassa
remunerazione». Poi tantissime proposte, alcune anche su questioni di dettaglio,
in grado di accontentare un po’ tutti.
Primo, riduce considerevolmente i
costi dell’operazione, risultato non da poco per un governo che erediterà un
disavanzo strutturale attorno ai 5 punti di Pil. Una riduzione generalizzata di
cinque punti del cuneo fiscale sul lavoro sarebbe costata quasi un punto di Pil
– una mission impossibile per chi deve risanare il bilancio e si impegna anche a
restituire il drenaggio fiscale (2,5 miliardi) – mentre un intervento sui soli
salari più bassi potrebbe costare attorno ai 2-3 miliardi di euro, ottenibili
con l’armonizzazione della tassazione delle rendite finanziarie contemplata dal
programma.
Secondo, concentrandosi sui salari più bassi, si rende la riduzione
delle tasse sul lavoro coerente con l’altro principio guida del programma,
quello del recupero di base imponibile, della lotta senza quartiere al sommerso
e all’evasione fiscale. Com’è noto, il lavoro nero, specie al Sud, è concentrato
in mansioni a bassa produttività, in grado di sopravvivere «alla luce del
giorno» solo a seguito di consistenti sgravi contributivi (più che fiscali dato
che si tratta di salari che ricadono nella no-tax area).
Terzo, un’azione
concentrata sui salari più bassi – in virtù delle caratteristiche dell’offerta
di lavoro e dei maggiori margini che gli sgravi contributivi consentirebbero per
il decentramento della contrattazione al Sud – potrebbe anche tradursi in
vantaggi competitivi non transitori per le imprese.
Infine, sgravi contributivi
generalizzati per tutti i livelli salariali finirebbero per corrompere il legame
sempre più stretto fra contributi e prestazioni previdenziali che sta alla base
della riforma strutturale del nostro sistema pensionistico in atto dal 1996 con
il passaggio al metodo contributivo. I lavoratori con salari più bassi
beneficerebbero comunque di una fiscalizzazione delle proprie pensioni, dato che
presumibilmente finirebbero per maturare prestazioni al di sotto dei minimi
pensionistici oggi vigenti o di misure di contrasto della povertà. Quindi non ci
sarebbe necessariamente contraddizione fra riforma delle pensioni secondo il
tracciato definito nel 1996 e decontribuzione.
Introducendo aliquote più basse
per tutte quelle remunerazioni che portano a maturare pensioni al di sotto della
linea di povertà, si potrebbe anche facilitare l’armonizzazione dei trattamenti
previdenziali di lavoro alle dipendenze e lavoro autonomo prevista dal
programma, riducendo gli incentivi a ricorrere a figure contrattuali improprie,
come i contratti a progetto, nell’ambito di rapporti di lavoro subordinato.