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4 Novembre 2005

La prima volta dell’Italia

Autore: Angelo Panebianco
Fonte: Corriere della Sera
La grande manifestazione di Roma, promossa dal direttore del Foglio,
Giuliano Ferrara, per protestare contro le parole del presidente iraniano
Ahmadinejad, contro l’impegno che costui ha ribadito per la distruzione dello
Stato d’Israele, è al centro di una crisi diplomatica fra Iran e Italia di cui
sono eloquenti segnali le invettive contro il nostro Paese e la nota di protesta
consegnata all’ambasciatore italiano. La fiaccolata romana, per la qualità e la
vastità delle adesioni e delle presenze, del centrodestra come del
centrosinistra, è diventata così un altro pretesto, da parte iraniana, per
innalzare il «livello dello scontro» con la comunità internazionale.
Il dossier iraniano si fa, giorno dopo giorno, sempre più pesante. Con il
tentativo in atto da parte dell’Iran di diventare una potenza nucleare, con il
sostegno al terrorismo in Palestina che, mentre uccide cittadini israeliani,
indebolisce Abu Mazen e allontana la prospettiva di una pacificazione, e,
ancora, con le accuse documentate di Tony Blair all’Iran di essere coinvolto,
per il tramite degli Hezbollah, nelle azioni di guerriglia nel Sud
dell’Iraq.
Questa accelerazione ha sicuramente varie cause. C’è, plausibilmente, la
convinzione dei duri di Teheran che l’Occidente non sia in grado di fare nulla
contro di loro e che dunque la sfida possa essere vinta. In ciò confortati anche
dal silenzio, dall’assenza di proteste dei Paesi musulmani (con pochissime
eccezioni, fra le quali spicca, e ciò ha una grandissima importanza, l’Autorità
palestinese) che ha accolto l’attacco verbale iraniano contro Israele. Sicuri,
inoltre, di poter giocare, al servizio di una politica estremista, la carta
rappresentata dalle proprie ingenti risorse petrolifere. C’è anche, sicuramente,
uno scontro interno all’Iran, dove la cricca dell’ayatollah Khamenei e di
Ahmadinejad sembra impegnata a regolare definitivamente i conti con la parte più
moderata, più dialogante con l’Occidente, della teocrazia iraniana (come indica
anche l’improvviso richiamo in sede di tanti diplomatici, «colpevoli» di scarsa
ostilità antioccidentale). E c’è, infine, come sostengono diversi analisti, il
tentativo degli eredi del khomeinismo di contendere ai sunniti di Al Qaeda la
guida della «guerra santa», di porsi alla testa della guerra islamica antioccidentale.
Per il nostro Paese, il successo della manifestazione di Roma è di grande
rilevanza. Per la prima volta, la quasi totalità dell’Italia pubblica si ritrova
insieme a sostenere il diritto di esistenza dello Stato di Israele, con una
corrente di simpatia per quello Stato che in Italia non si vedeva da decenni,
dai tempi della guerra dei Sei Giorni del 1967. E’ stata, quella manifestazione,
un atto di «politica estera» ( bipartisan, come la politica estera deve sempre essere quando sono in gioco principi
irrinunciabili) che ha avuto più incisività di tante prese di posizione
ufficiali. Un evento che dà al governo italiano un di più di forza e di
credibilità che esso potrà utilmente spendere, insieme al resto d’Europa, nei
tavoli mediorientali, soprattutto dove si cerca di aiutare il processo di pace
fra israeliani e palestinesi.
L’Iran è per noi un partner commerciale importante (come l’autorità
iraniana, con toni ricattatori, in questi giorni ci ricorda). Ma forse chi crede
che ciò sia sufficiente perché una democrazia pieghi la testa e si inchini di
fronte a qualunque infamia ha sbagliato i suoi conti.