15 Marzo 2006
La partita d’andata
Autore: Paolo Franchi
Fonte: Corriere della Sera
E’ un curioso destino, quello che ha accomunato Silvio Berlusconi e Romano Prodi nel giorno della loro prima, attesissima sfida. Il 9 e il 10 aprile, grazie (si fa per dire) alla legge elettorale proporzionale corretta al maggioritario fortissimamente voluta dal centrodestra, voteremo per una coalizione, certo, ma soprattutto per la nostra lista preferita.
E non avremo neanche il bene di eleggere il candidato che più ci aggrada perché, senza collegi uninominali e senza preferenze, a nominare la grande maggioranza dei parlamentari hanno già provveduto, al momento della formazione delle liste, i partiti e, in primo luogo, i loro segretari. In questo contesto già vagamente surreale, è caduto tutto sulle spalle dei due aspiranti premier, gli stessi che si contesero dieci anni fa la guida del governo, non solo, come è ovvio, l’onere di illustrare i rispettivi programmi, ma anche quello, ancora più gravoso, di rappresentare (verrebbe da dire: di incarnare) le ragioni del maggioritario, o di quel poco che ne resta, e della democrazia dell’alternanza. A costo di aggiungere stranezza a stranezza.
Perché i duelli televisivi sono stati organizzati, e giustamente, sulla scorta di regole minuziose, mutuate, a grandi linee, da un’esperienza consolidata come quella americana. E però tra meno di un mese non saremo chiamati a scegliere tra il nostro repubblicano e il nostro democratico (il presidente uscente Berlusconi contro lo sfidante Prodi come Bush contro Kerry), ma assai più che nel recente passato, tra due raggruppamenti di partiti a dir poco complessi e, in molti casi, contraddittori.
Se e quanto ci siano riusciti, non è semplice dire. Di certo ce l’hanno messa tutta. Con diversa fortuna. Prodi, che pure è stato rappresentato, e senza oltraggiare la verità, come il generale senza truppe di un’armata di undici partiti, complessivamente se l’è cavata meglio.
Sin qui è riuscito solo in parte a unificare il suo schieramento, ed è possibile, e magari probabile, che in caso di vittoria molti dei problemi sin qui congelati o quasi con i partner della sua coalizione si ripropongano pericolosamente.
Ma, se è così, il presidente del Consiglio non è riuscito a dimostrarlo. Berlusconi ha in materia, forse, problemi meno urgenti, da settimane ha posto saldamente se stesso e il suo partito al centro della campagna elettorale, senza incontrare almeno sin qui troppe resistenze da parte delle due altre presunte «punte» della Casa delle Libertà, Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini.
Ma, se di un vantaggio effettivamente si tratta, il leader della Casa delle Libertà non è riuscito a farlo pesare nel primo confronto diretto con il suo antagonista. E, sul finire del duello, ha dato chiara l’impressione di essersene reso ben conto, pur imputando soprattutto la cosa alla impostazione troppo rigida del confronto.
In un certo senso ha ragione, il presidente del Consiglio: non era facile condensare in brevi risposte a brevissime domande un messaggio fortemente ideologico come il suo, spiegare come e perché a sfidarsi nelle urne non sarebbero tanto due leader, due coalizioni e due programmi quanto piuttosto due concezioni della politica, dello Stato, e magari anche della vita e del mondo.
Ma forse il problema vero con cui dovrebbe fare i conti Berlusconi, assai più che nella par condicio e nelle regole del faccia a faccia, sta proprio in questo messaggio. Non sarà facile. Fossimo in lui, però, per la partita di ritorno proveremmo almeno a calibrarlo un po’ meglio.