« La nostra Europa non sarà antiamericana. Bush deve sapere che probabilmente avrà a che fare con un’Europa occidentale a netta maggioranza di centrosinistra. Dopo Belgio e Spagna, la vittoria socialista in Portogallo, le recenti regionali in Francia e gli ultimi tre anni di amministrative in Italia, confermano un’ onda di disaffezione verso la destra, che ha promesso sogni e miracoli economici, finendo invece per ridurre certezze e sicurezze. Confido che dal 2006 fra questi governi ci sia anche il centrosinistra italiano. Ma non avrà nessun pregiudizio antiamericano, anzi: perseguiremo una strategia di alleanza con gli Stati Uniti » . Piero Fassino, segretario dei Ds, adesso tende entrambe le mani al presidente degli Usa. Lo fa perché Bush ha scelto di approdare a Bruxelles, capitale dell’Unione Europea; perché la Casa Bianca sembra avere archiviato una concezione che puntava sulle divisioni dell’Ue. Ma soprattutto, perché Fassino ritiene che l’Europa sia più sicura se rimane ancorata agli Stati Uniti.
E le prese di distanze di questi mesi? Il voto contro la missione italiana in Iraq? Tutto finito perché Bush è venuto in Europa e ha fatto un gesto di riconciliazione?
« Un momento. Negli ultimi due anni noi abbiamo criticato Bush ritenendo che la sua politica allontanasse l’Europa dagli Stati Uniti; non, dunque, perché volessimo un Atlantico più largo, ma perché temevamo che quella politica lo allargasse. Quando l’Europa è più distante dagli Usa, è meno sicura. Ce lo insegna la storia, con le tre dittature fascista, nazista e stalinista, più l’Olocausto. E poi, non si tratta di un viaggio qualunque: avviene in un momento cruciale. Le elezioni irachene hanno aperto una fase nuova e introdotto un’accelerazione nella transizione. In Medio Oriente si sono aperte nuove opportunità con l’elezione del palestinese Abu Mazen e la formazione del governo Sharon Peres in Israele. Si è alla vigilia del secondo round di negoziati con l’Iran sull’uso delle tecnologie nucleari… »
E tante novità non vi inducono ancora a modificare l’atteggiamento sulla guerra in Iraq e sul vostro comportamento parlamentare?
« No, come non lo cambiano Zapatero, Chirac, e Schroeder. Discutono con Bush, ma non rinunciano alle loro idee sulla guerra in Iraq. Non viene chiesto loro. Rimangono giudizi diversi e contrastanti su quanto è accaduto: il problema di oggi è costruire il futuro senza essere prigionieri del passato. Certo è che non si possono perdere le opportunità, in uno scenario critico. Altrimenti, si rifluirà su una deriva di instabilità nell’intera area mediorientale » .
Eppure il viaggio di Bush sembra segnato da un buon tasso di ambiguità, americana ed europea. Si ha quasi l’impressione che la svolta sia voluta, più che effettiva.
« Certo sono primi passi. Ma è altrettanto vero che Usa e Europa si incontrano su uno scenario mondiale in bilico. E il viaggio di Bush è importante perché mai come ora America e Ue hanno consapevolezza l’uno di avere bisogno dell’altro. L’Europa sa bene che senza un saldo rapporto con gli Usa il suo ruolo rimane debole; e la lezione della vicenda irachena è che dopo due anni, gli Usa da soli non danno ordine al mondo.
Ma non è pensabile neppure un ordine del mondo senza gli Usa. E poi, è la prima volta che un presidente americano approda in Europa scegliendo Bruxelles; che assume l’Ue come interlocutore.
Finora l’atteggiamento era di visitare alcune capitali fra le quali scegliere le più fedeli: ora non più. Per questo anche i leader europei più importanti hanno accenti di disponibilità nuova, senza che nessuno abbia cambiato opinione sulla guerra in Iraq » .
Insomma, al Bush di Bruxelles dice « benvenuto » anche la sinistra italiana?
« Certo, come presidente degli Usa. Dopo di che, continuo a nutrire molte riserve su di lui. Non è che non vediamo i caratteri di destra della sua politica negli Stati Uniti » .
Non sarà che voi, come l’Europa, siete obbligati a prendere atto che Bush sarà presidente per i prossimi quattro anni?
« Ovviamente, il centrosinistra ha rapporti più facili con il campo democratico; con l’Amministrazione repubblicana sono di tipo istituzionale, ma corretti.
D’altronde, come Bush parla con i capi dei governi che gli europei si sono scelti, noi dobbiamo parlare col presidente che gli americani hanno scelto. E guardare avanti per vedere se le elezioni irachene consentono di ricomporre ciò che la guerra ha diviso. Credo ci sia la consapevolezza forte che il rapporto transatlantico oggi sia indispensabile » .
Ritiene che l’ostilità fra voi e Berlusconi si sia riflessa negativamente sui vostri rapporti con gli Usa di Bush?
« Forse nel senso che Berlusconi ha seguito la strategia di condividere ad ogni costo le decisioni degli Usa: una scelta che ha isolato l’Italia e impedito di giocare un ruolo europeo. Ma alla fine Bush si sta mettendo d’accordo con Chirac e Schroeder, e Berlusconi non può che prenderne atto. Non c’è più un’Europa di infedeli in cui Berlusconi è il più fedele: è una politica evaporata con questo viaggio. Adesso, o l’Italia torna a credere nell’ Ue, e ricostruisce un rapporto con Berlino, Parigi e Madrid, o sarà sempre più marginale. La subordinazione a Bush d’ora in poi rischia di farci pagare prezzi ancora più salati. L’opzione atlantica ed europea sono complementari e non alternative » .
Eppure, a sinistra l’ipoteca dell’antiamericanismo sembra ancora pesante.
« Meno che nel passato, in realtà. Mi pare che perfino Fausto Bertinotti abbia, seppure timidamente, preso atto proprio sul Corriere delle novità che si affacciano nella politica americana » .
Non è stato lei ad ammettere che, una volta al governo, potreste avere bisogno dei voti dell’opposizione sulla politica estera?
« Sì, sono stato io, e credo che le mie parole siano state travisate » .
Perché? Non voleva dire che ritiene difficile avere un’Unione compatta sugli Usa?
« No, perché spero che l’Unione raggiunga un accordo di programma su tutto, compresa la politica estera. Quanto al ricorso al Parlamento, volevo dire che se saremo al governo e riterremo una decisione giusta, la assumeremo comunque: il centrosinistra non si sottrarrà alle proprie responsabilità. Non significa che cerchiamo la destra in Parlamento, ma soltanto che non sarà il veto di questo o di quello a impedirci di garantire gli interessi dell’Italia. Mi sembrano parole che dovrebbero rassicurare, non inquietare » .
Si può votare contro la missione italiana in Iraq perché è parte di una guerra sbagliata degli Stati Uniti, e poi accogliere Bush con un benvenuto?
« Sì, se si guarda al futuro e non al passato: se ci si propone di scrivere una nuova agenda transatlantica. Ci troviamo in uno scenario nuovo in cui conteranno attori come Cina, India, Brasile, Indonesia, l’universo islamico. E in cui è finito il sistema tolemaico dell’Occidente. Se si parla tanto di Occidente, è perché viene messo in discussione. Ebbene, per farlo coesistere e incidere sui nuovi equilibri mondiali, l’Europa deve risultare forte, non pigra; e non illudersi di scoprire la propria identità diventando antiamericana. Deve avere una strategia chiara, di raccordo con gli Usa, su tre pilastri: la sicurezza e la stabilità politica, che significano lotta al terrorismo, soluzione dei conflitti aperti e una strategia per affermare la democrazia dove non c’è. Il secondo pilastro riguarda i destini del pianeta: lotta alle povertà, regolazione del commercio, e tutela dell’ambiente. Terzo pilastro: avere, Usa e Ue, una strategia comune su istituzioni come l’Onu e la Nato. A settembre arriva alle Nazioni Unite la proposta di riforma preparata nei mesi scorsi » .
Lei sarebbe uno dei pochi a pensare che Usa ed Europa giocheranno la partita dell’Onu insieme.
« Lo voglio e lo debbo sperare per il futuro di entrambe e dell’Occidente » .