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8 Novembre 2005

La nuova élite dei prestati alla politica

Autore: Edmondo Berselli
Fonte: la Repubblica
Umberto Veronesi, Ferruccio de Bortoli, Dario Fo, Milly Moratti, Davide
Corritore, Bruno Ferrante. Fra i nomi che di recente sono stati evocati come
candidati sindaci a Milano, non ce n´è uno che venga dalla politica
militante.

Non è un problema del solo centrosinistra. Anche il probabile candidato
milanese del centrodestra, Letizia Moratti, è una figura in prestito alla
Cdl.
Per ciò che riguarda la capitale lombarda saranno le primarie dell´Unione,
il 29 gennaio, a selezionare il candidato a succedere a un altro non-politico,
l´imprenditore Gabriele Albertini.

Si tratterà di primarie asimmetriche, perché
se non è la politica a plasmare i candidati, la competizione avviene tra figure
pubbliche differenti per qualità e specializzazione.

Naturalmente il confronto
più interessante avverrà fra l´ex prefetto Ferrante e il premio Nobel Dario Fo.

Perché Ferrante, scelto da Ds e Margherita, è il candidato di movimenti e gruppi
della società civile che hanno condiviso il suo impegno nelle emergenze urbane e
sociali.

Ma Fo è Fo, è un protagonista di straordinaria popolarità e capacità
retorica: dopo il fiume dei 4 milioni e trecentomila italiani che sono andati a
votare il 16 ottobre, si è capito che nulla è scritto nei cieli, non ci sono
feudi sicuri, e il caso Vendola in Puglia era stato solo la prima delle sorprese
che si possono avere se si dà la parola al popolo.

Tuttavia, al di là delle
scelte dei partiti, può effettivamente colpire l´incapacità conclamata della
classe politica di selezionare un´élite di governo delle città. O meglio, più che incapacità la loro impossibilità tecnica.

Perché oggi le
forze politiche sono poco radicate nel territorio, non hanno strutture
operative, la loro iniziativa è mediocre, il sottogoverno esaurisce le loro
sporadiche energie. Definire tutto questo un male è un esercizio superfluo.

I partiti italiani
sono stati spazzati via dall´ondata di Tangentopoli, e poi da una mareggiata
populista ancora più insidiosa, interpretata da Silvio Berlusconi nel suo legame
carismatico con la “gente”. Ma anche se i vecchi partiti fossero sopravvissuti,
se avessero mantenuto almeno una quota della loro organizzazione, non è affatto
detto che avrebbero saputo scremare una nuova classe dirigente.

Guardiamo i casi oggi più appariscenti: a Bolzano, epicentro di un duello
elettorale a suo modo storico, il candidato del centrosinistra, Luigi Spagnolli,
viene dal ruolo di direttore del Parco nazionale dello Stelvio.

In Sicilia, le
primarie dovranno decidere fra il rettore dell´Università di Catania, Ferdinando
Latteri, e Rita Borsellino, sorella del magistrato ucciso dalla mafia nel 1992.

Secondo la Margherita, Latteri è «l´unico che può battere Totò Cuffaro», in un
tipico scontro fra detentori di potere; per i Ds e ampi settori dell´opinione
pubblica la figura simbolica della Borsellino costituisce una risposta più
adeguata alle richieste della società civile.

In aggiunta alle fragilità della
politica, si registra che sono falliti i tentativi di mediazione messi in campo
dai partiti, particolarmente dai Ds, per risolvere la questione siciliana, che
puntavano alla designazione di professionisti come Enzo Bianco o Sergio
Mattarella.

Di fronte alla contrapposizione che si stava delineando, Arturo
Parisi ha avuto buon gioco nel rafforzare la prospettiva delle primarie, fonte
di democratizzazione dal basso e in ogni caso bacino potenziale del partito
democratico.

Va da sé che è pienamente legittimo essere dubbiosi sulle virtù della
democrazia diretta. Purché si abbia qualche idea sulla realtà effettiva dei
partiti e sulla loro evoluzione reale.

Uno dei più noti politologi americani,
Fareed Zakaria spinge il suo scetticismo a sostenere che le primarie hanno
causato «la morte» dei partiti politici negli Stati Uniti: «I partiti esistono
per competere nelle elezioni e una delle decisioni più importanti che un partito
deve prendere riguarda proprio la scelta dei suoi candidati. Da quando questo
processo è stato sottratto al controllo dei partiti e affidato agli elettori, i
partiti sono diventati privi di sostanza».

E un giudizio con una sua logica, ma
applicato all´Italia non conduce in nessun luogo: oggi i partiti italiani fanno
un passo indietro perché non hanno la possibilità e la capacità di fare dei
passi avanti.

Detto questo, si può pure rimpiangere il bel tempo andato, quando c´erano
le Frattocchie e la Dc reclutava dalla Fuci e dall´Azione cattolica. Ma il
passato non ritorna.

Si può deprecare che la politica sia tributaria
dell´extrapolitico (le professioni, i movimenti, il sistema mediatico), ma si
deve anche riconoscere che se a Milano o a Palermo venisse candidato un
dirigente di partito, molti giudicherebbero sfasata la scelta.

Si può anche
trovare bizzarro che l´Unione abbia attinto dalla sfera delle professionalità
televisive, portando in Europa Lilli Gruber e Michele Santoro, e deplorare che
quest´ultimo abbia abbandonato il suo mandato, ma non è possibile dis-inventare
la televisione e annullare il ruolo che ha assunto nell´arena politica.

Quindi, invece di rimpiangere condizioni anacronistiche, cioè i tempi dei
grandi, capillari, elefantiaci partiti «storici», converrebbe elaborare
compiutamente la situazione attuale.

Di fronte alla debolezza strutturale dei
partiti, la funzione dei protagonisti «prestati» alla politica può essere
semplicemente l´esercizio di una supplenza.

Oppure può rappresentare una delle
condizioni che favoriscono l´abbattimento alle barriere interne di una
coalizione, e dunque, per il centrosinistra, la nascita del partito democratico.

Succede talvolta che condizioni imposte dalla realtà di fatto diano luogo a
soluzioni originali. Personalità extrapolitiche, non di partito, svincolate da
lealtà militanti, possono allora dare una mano al completamento della
trasformazione politica del centrosinistra.

Non è un eccesso di ottimismo: a
pensarci, è un´occasione per fare di necessità virtù.