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31 Gennaio 2006

La necessità delle regole del gioco

Autore: Giovanni Valentini
Fonte: la Repubblica

Lasciamo stare questa benedetta “par condicio”. Non chiamiamola più così. Anzi, aboliamola pure. Che cosa cambia? Niente. È un falso problema. Prima, durante e dopo la campagna elettorale, resta il fatto che “l’obiettività, la completezza, la lealtà e l’imparzialità dell’informazione” costituiscono un principio fondamentale del sistema radiotelevisivo. Dove sta scritto? Chi l’ha stabilito? Mai avremmo pensato di dover invocare la famigerata legge Gasparri, approvata dal centrodestra per rafforzare e ampliare lo strapotere televisivo del presidente del Consiglio. Quel principio sta scritto proprio lì, all’articolo 3, poi assunto nel medesimo articolo del Codice unico della radiotelevisione.

Leggere per credere. E soprattutto è impresso, a caratteri cubitali, nella coscienza civile di qualsiasi democrazia, nella cultura – se la parola non è esagerata – di qualsiasi “Paese normale”.

Ma non li leggete, chiede l’ineffabile Berlusconi dal suo pulpito televisivo, l’Unità e il Manifesto? E che cosa c’entra questo con la “par condicio”? Possibile che il Cavaliere non abbia ancora capito la differenza fra giornali e tv? Possibile che non sappia, o finga di non sapere, che le televisioni, tutte le televisioni, a cominciare dalle sue, funzionano in regime di concessione pubblica? Che sfruttano un bene collettivo come l’etere, per di più un bene con risorse limitate come le frequenze? E che perciò costituiscono un “servizio d’interesse generale” (art.6 della legge Gasparri, art.7 del Testo unico)?

Tutte queste cose in realtà Berlusconi le sa benissimo, anche perché è proprio da qui che ricava la sua ricchezza e il suo potere. Ma è più comodo ingannare il pubblico dei telespettatori, in pieno raptus mediatico-elettorale, davanti a conduttori-dipendenti (da lui) e a giornalisti compiacenti. Fino al punto di insolentire Carlo Azeglio Ciampi che, nella sua alta responsabilità istituzionale, si vede costretto a richiamare un giorno sì e l’altro pure le regole basilari che presiedono al confronto politico e alla regolarità della competizione.

Prima dice che il presidente della Repubblica non ce l’ha con lui. Poi sostiene che non c’è alcuno scontro con il Quirinale. E infine, messo alle strette, incarica i suoi scherani d’insinuare che il Capo dello Stato fa tutto questo perché il centrosinistra, in caso di vittoria, gli avrebbe già promesso la rielezione. Pensate per un momento, solo per un momento, che cosa potrebbe accadere se vincesse il centrodestra e sul Colle salisse il Cavaliere…

La verità è che all’origine di tutta questa storia invereconda c’è un’anomalia, una stortura, una tara congenita: il tycoon che diventa leader politico e poi addirittura capo del governo. Un padrone di televisioni che, proprio in quanto concessionario pubblico, non sarebbe neppure eleggibile in base a una vecchia legge del ’57. Un mostro bicefalo che pensa con una testa agli affari suoi e con l’altra pensa (o dovrebbe pensare) ai nostri problemi.

Prorogata con accanimento terapeutico una legislatura moribonda, finalmente la fatidica “par condicio” entrerà in vigore negli ultimi quarantacinque giorni di campagna elettorale. E fra l’altro, vietando gli spot come avviene in tutta Europa, impedirà al capo del governo di incassare la pubblicità televisiva dei suoi avversari politici. Ma molti guasti sono stati già prodotti e farà più che bene perciò l’Autorità di garanzia sulle comunicazioni a emanare nei prossimi giorni, se non proprio quell'”atto d’Authority” che da queste colonne avevamo auspicato, almeno un “atto d’indirizzo” ragionevole e responsabile per evitare il dirottamento della politica italiana.