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4 Dicembre 2006

La mitologia di Silvio l’eterno

Autore: Edmondo Berselli
Fonte: la Repubblica
Non è bastata la sconfitta elettorale, la dissociazione di Pier Ferdinando Casini, e non vuol dire niente neppure la défaillance fisica di Montecatini, come non servirà a nulla nemmeno l´eventuale pacemaker, dopo il fastidio delle extrasistoli e delle fibrillazioni.
Il corpo e l´anima di Silvio Berlusconi sono sempre lì, pura sacralità politica, immagine intatta del carisma e aura inviolabile del potere.
Nella piazza di San Giovanni, sabato scorso, è andata in onda per l´ennesima volta la cerimonia del Berlusconi supremo, infinitamente superiore agli inconvenienti della fisicità così come è superiore ai fastidi della politique politicienne. Non saranno i tumulti del cuore a tradirlo, e a tradire la sua missione, così come non saranno i piccoli tradimenti del politicismo, come la defezione dell´Udc, a incrinare l´unità del popolo “moderato” raccoltosi intorno alla sua figura.I settecentomila o giù di lì del grande raduno romano del centrodestra sono tutti suoi. Gli appartengono di diritto.
Ed è sintomatico che la settimana nera del Cavaliere, scandita dalle analisi e dai referti, si sia conclusa con la riapparizione miracolosa nella piazza consacrata alle manifestazioni di massa della sinistra. In altri tempi, Berlusconi non si sarebbe negato il piacere di una barzelletta, l´allusione alla resurrezione, un accenno al Calvario e alla rinascita.
Oggi si concede il lusso, deliberatamente estetizzante, autoironico ma anche creatore del proprio mito, di considerare perfetta la sua apparizione romana, fino al punto di rimpiangere l´impossibilità di una morte santificante, la trasfigurazione contemplata nel mistero gaudioso e doloroso insieme di una beatificazione a furor di popolo, santo subito: «Se mi viene un altro colpo in diretta non rianimatemi». Colpi da fuoriclasse, naturalmente: di un campione nichilista che è riuscito a proiettare sul suo popolo la sua religione, il complesso di idee e slogan, una “scientology” di luoghi comuni e di fraintendimenti voluti che costituiscono la sua “ideologia” personale, proprietaria e corporativa.
È tutto merito suo se buoni borghesi e signore eleganti, imprenditori arrabbiati e professionisti accaniti, scandiscono la litania «chi non salta comunista è», e se pattuglie di giovani convengono da tutta Italia persuasi che è venuta l´ora di una protesta liberatoria contro «quarant´anni di regime comunista».
Che si tratti di una mitologia più che di una ideologia dovrebbe essere evidente, ma la forza del Cavaliere è consistita proprio nell´essere riuscito a trasmettere un pensiero superstizioso, o forse meglio mitico-magico, in cui da un lato si condensa l´avversione storica per i comunisti passati presenti e futuri, e dall´altro il contrasto all´evasione fiscale si configura come uno “stato di polizia tributaria” (e la “tracciabilità” nei pagamenti ai professionisti e ai lavoratori autonomi come una intollerabile intrusione nella comoda privacy evasiva). Non c´è nulla di inedito nella costruzione di un pensiero che asseconda così felicemente lo spirito di metà dell´Italia, eppure ogni volta lo spettacolo è stupefacente, e la liturgia impressionante.
L´altra metà della società italiana crede nelle regole, questa di Berlusconi nella prassi: e il suo leader è la dimostrazione più spettacolare di quanto sia attraente il dogma dell´opposizione al fardello ingiusto delle tasse, il fascino di quella fede in cui tutti si dicono compuntamente propensi a pagarle, le tasse, ma solo se fossero congruenti con il diritto naturale, se non superassero un terzo dei redditi, ricorrendo perfino ai padri fondatori dell´America federale, “no taxation without representation”, in una specie di comma 22 aggiornato al regime fiscale. Sul piano politico le conseguenze sono perfino ovvie.
Il leader non ha né delfini né successori: ha soltanto comprimari. Perché nessuno di loro possiede ormai un pensiero politicamente spendibile: Umberto Bossi può augurargli “tegn dur”, tieni duro, con la solidarietà dolorante di chi ha subito insulti fisici ben più gravi, ma la creatività della Lega si è spenta dopo che la riforma costituzionale del centrodestra è stata spazzata via dal referendum popolare; Gianfranco Fini è il portatore di un eclettismo politico e culturale onnivoro quanto inesplicato, che si richiama alle radici e insieme le rifiuta, a un cattolicesimo animoso che si unisce tuttavia al fai da te bioetico di Fini stesso sulla fecondazione assistita.
Quanto all´Udc, Berlusconi annuncia che sta ingrassando il vitello, in attesa del figliol prodigo. Ma nel frattempo, a dispetto delle prese di distanza di Casini, è di plateale evidenza che il centrodestra è composto dall´unione mistica del popolo dei “moderati” con il suo leader, dal sentimento che congiunge inscindibilmente il “partito unico delle libertà” con il Cavaliere.
Ancora una volta, Berlusconi appare il deus ex machina dell´alleanza di centrodestra e insieme la sua condanna all´immutabilità. È una variante del catulliano “nec tecum, nec sine te vivere possum”: senza Berlusconi il centrodestra non esiste, è una somma eterogenea di partiti residuali; con Berlusconi, profeta e gran sacerdote della libertà, l´alleanza è quel coacervo populista che reclama concorrenza mentre si oppone alle liberalizzazioni, e che invoca il mercato difendendo il monopolio del suo padrone.
A San Giovanni si è vista insomma la fotografia della destra italiana, un fotogramma fisso, non un film in movimento. Un´immagine miracolosa, un santino che immortala san Silvio quasi martire e il suo stuolo di fedeli. Nella convinzione che il futuro, a questo punto, possa ancora aspettare, a dispetto degli impazienti, e che la destra italiana non sia ancora pronta per affrontare il proprio destino senza il suo re taumaturgo, Silvio l´Eterno.