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31 Gennaio 2006

La mafia che non si vede in tv

Autore: Vincenzo Vasile
Fonte: l'Unità

Liste pulite. Liste elettorali ripulite dagli indagati, invoca sabato il Procuratore Antimafia Pietro Grasso. Lo dice a Palermo, in un convegno pubblico. Tutti i giornali l’indomani fanno grandi titoli. Anche perché proprio a Palermo tra i papabili nelle liste del centrodestra c’è il governatore regionale, Salvatore Cuffaro, inquisito per fatti di mafia. Come l’ha data questa notizia il Tg1 delle 20 quel sabato? «Certo, nessuno può pretendere che l’allusione contenuta in quell’appello venga colta univocamente da tutti gli organi di informazione. Ma la notizia, dico la notizia, non c’è nei sommari, né nella scaletta delle edizioni principali. Niente, nessuna traccia», si sfoga un redattore. E così monta nei corridoi di Saxa Rubra un nuovo caso.

L’argomento è la sparizione del tema mafia-politica da notiziari e servizi non solo del tg ammiraglio. Ma un po’ da tutta l’informazione del servizio pubblico, con qualche eccezione al Tg3. E per quel poco che arriva sul teleschermo, quanta fatica.

Non è la prima volta, per esempio, che il procuratore Grasso passa i suoi guai per apparire al Tg1. Raccontano che l’ultima inchiesta che toccava l’argomento, andata in onda il 21 ottobre dell’anno scorso Tv7, è un miracolo che l’abbiamo vista. Miracolo propiziato da un intervento del sindacato e di un gruppo di redattori indignati. Perché a due giorni dalla programmazione dell’inchiesta a firma dell’inviata Maria Grazia Mazzola, il servizio era sparito dalla scaletta. Il titolo era «I pizzini di Provenzano», in quanto lo spunto era dato dai bigliettini – i pizzini – che il capo di Cosa Nostra manda in giro dalla latitanza. E il tentativo di censura sarebbe stato originato dal riferimento, obbligato, a un certo avvocato Antonino Mandalà, imputato di associazione mafiosa, padre di quel Nicola capo-mandamento di Cosa Nostra a Villabate noto per avere accompagnato Provenzano a Marsiglia per un’operazione.

Ora, delle malattie del boss sono piene le TecheRai: cartelle cliniche, radiografie, dentizione, sono stati oggetto di servizi in «esclusiva». Non era stato ancora detto, però, che nella cerchia di Provenzano c’è il fondatore del Club locale di Forza Italia, quell’avvocato Mandalà sr., per l’appunto. E l’inserimento di quel nome stava per costare, dunque, una prima censura trasversale a Pietro Grasso, che nella stessa inchiesta dichiarava, intervistato, che la latitanza del boss si basa sull’appoggio di colletti bianchi, politici, professionisti… Censura minacciata e rientrata.

Argomento sgradito. Vietato. Due settimane fa a Firenze in aula bunker un pentito di questa cerchia, Francesco Campanella, ha aggiunto altri tasselli, a Mandalà Provenzano affidò Bagheria, le elezioni e i consigli comunali li controllavamo così e così… ma il Tg1, pur avendo un inviato, non ha speso un secondo. Censura, e basta.

Ora all’inviata mafiologa hanno tolto i servizi su mafia, giustizia, magistrati, adesso i capi la mandano a «coprire» disastri naturali, frane, alluvioni, persone scomparse, una volta anche la caduta di un’aliante. È uno dei casi di dequalificazione professionale che il sindacato solleva presso l’azienda.

Con il contorno inquietante di un episodio oscuro. Nella palazzina A di Saxa Rubra al secondo piano, stanza degli inviati, c’è la postazione di lavoro di Maria Grazia. Ma non ha più il computer. Pur essendo quasi irraggiungibile e legato in un groviglio di cavi a un altro apparecchio del collega accanto, «ignoti» nottetempo hanno trafugato il suo, a differenza degli altri, ben più nuovi e ben più comodi da portar via. Nel «disco fisso» ci sono i testi e i documenti alla base di un’altra inchiesta dalla difficoltosa gestazione.

L’hanno vista un milione e ottocentomila spettatori-eroi, proprio da apprezzare perché l’hanno diffusa a mezzanotte del 16 dicembre. Ed era un’inchiestona di tre quarti d’ora, quarto di quattro servizi di Tv7. La scaletta, oltre a un pezzo di maniera sulle scalate bancarie, dava la precedenza – indovinate? – a un pezzo da Cogne sull’affare Franzoni.

Nell’inchiesta oscurata dal buio della notte si parlava di ben altri affari: il pm Alberto Nobili di Milano denunciava la normalizzazione delle inchieste sulla mafia. E il pm Maurizio De Lucia (Palermo) aggiungeva che il racket delle estorsioni in Sicilia si sovrappone e si identifica con il racket mafioso del voto. Quando ha lavorato a Rai3 – per Report – la Mazzola ha subito del resto una grottesca e clamorosa bastonatura trasversale – richiesta e ottenuta dal governatore Cuffaro – da parte di Raidue, che mise in onda una «puntata» da considerare «riparatrice» di un altro suo reportage. Per par condicio tra antimafia e mafia, ha chiosato con una sua vignetta il grande Altan.

In coda, qualcosa che riguarda anche l’Unità. Ieri all’una e mezza del pomeriggio abbiamo visto al Tg1 un grande servizio-spot su quanto sono belli i libri che i giornali mandano in edicola: il grosso del minutaggio e delle immagini erano dedicati ai Vangeli, spediti a vagonate nelle rivendite da una rivista della casa editrice del premier.

Eppure lo spunto per parlare di noi, dei nostri libri, ci sarebbe stato: proprio l’altra notte a Corleone la mafia ha mandato a fuoco la macchina dell’autore di un libro dell’Unità, Dino Paternostro. Uno spunto letteralmente bruciante. Nel suo I Corleonesi ha scritto che i mafiosi si avvalgono di alleanze con la cattiva politica. Da sempre. Forse per questo motivo, sarà sembrata notizia vecchia, e l’hanno «bucata».