L´ANNUNCIATA fusione fra Gaz de France e Suez non è priva di merito
industriale, uniformandosi a due trend oggi prevalenti nel settore energetico:
la crescita di dimensione (l´entità derivante dalla fusione sarebbe per
capitalizzazione la seconda in Europa, dopo Electricité de France e sempre che
la tedesca Eon non riesca ad acquisire la spagnola Endesa); e, ancor più,
l´accorpamento di gas ed elettricità.
La possibilità dell´operazione, del resto,
era già stata considerata in passato, trovando un ostacolo nella riduzione della
quota pubblica in Gaz de France, oggi largamente maggioritaria. Ma la questione,
evidentemente non è questa.
Quel progetto è stato tirato fuori dalla naftalina,
e l´ostacolo è stato superato, non appena Enel ha goffamente (fino a prova
contraria) manifestato l´intenzione di fare un´offerta di Suez.
Ed è stato
tirato fuori non solo con il gradimento, ma per impulso del governo francese,
che ha scritto una nuova pagina nella storia della corporate governance di
società quotate, quando ha mandato in televisione primo ministro e ministro del
tesoro ad annunciare la fusione, mentre gli amministratori delegati delle due
società restavano silenti in seconda fila; e che già prima aveva intimato ad
altre società francesi di ritirare il proprio gradimento all´acquisizione delle
attività non energetiche di Suez ove questa fosse passata in mano di Enel.
A
questo punto la mossa francese è diventata una questione politica,
configurandosi come una rinnovata manifestazione di ostilità del governo
francese all´ingresso di grandi imprese straniere: con l´aggravante che si
trattava in questo caso di un´impresa dell´Unione europea.
Sulle debolezze
endemiche del nostro sistema, che ci pongono ancora una volta in condizioni di
inferiorità e che ci hanno fatto cadere fra due sedie – quella del modello
statalista francese e quella del modello mercatista britannico – Alessandro
Penati ha detto lunedì scorso, impeccabilmente, tutto quello che c´era da dire.
Occorre tuttavia riconoscere che l´erezione oltralpe di una linea Maginot contro
i nostri timidi tentativi di ingresso richiede una risposta politica. Ma
conviene distinguere fra quanto si può e si deve fare subito, quanto non è
consigliabile fare in fretta e quanto né si può né si deve fare.
Ovviamente, la
Commissione di Bruxelles è la prima istanza a cui rivolgersi, anche se non è
immediatamente evidente sotto quali profili, al di là della censura morale di
violazione dello “spirito del trattato”, la Commissione possa intervenire: Mario
Monti, ieri, ha lucidamente illustrato la griglia dei punti critici che potranno
essere esaminati.
Si consideri intanto che il governo italiano ha sinora
mostrato grande clemenza nei confronti, guarda caso, di Electricité de France
(EdF).
Quando l´Enel fu obbligato a dismettere in parte la generazione di
corrente, con la vendita delle cosiddette Genco, o compagnie di generazione, un
decreto del presidente del Consiglio stabilì che nessuna società controllata da
un soggetto pubblico potesse acquisirne più del 30%. EdF, attraverso Edison
supera quel limite, che non è stato fatto rispettare.
Lo si faccia ora; e si
aggiunga che la stessa sorte toccherà a Electrabel, la società di elettricità
belga incorporata recentemente in Suez, che è anch´essa in una Genco italiana
con una quota superiore al 30%: dopo la fusione con Gaz de France, anche
Electrabel sarà sotto controllo pubblico, posto che lo Stato francese
controllerà di fatto la nuova entità.
Non sarebbe invece saggio confezionare in
fretta e furia una nuova legge sulle Opa, le offerte pubbliche di acquisto, come
reazione alla guerra gallica.
La direttiva europea da recepire (di cui
funestamente un nostro ministro fu la levatrice) è pessima, consentendo a
chiunque di fare quello che vuole. Prima di modificare in radice la nostra buona
legge, quella del testo unico della finanza, modellata sulla disciplina inglese,
ci si pensi due volte.
La guerra gallica è temporanea. Le conseguenze sul
mercato del controllo societario, già ingessato nel nostro Paese, sarebbero
permanenti. E poi le cose da non fare, anche perché non le si possono fare.
Le
agenzie attribuiscono al presidente Prodi il suggerimento di bloccare l´offerta
di Bnp Paribas sulla Banca nazionale del lavoro. Singolare proposta. Che
facciamo?
Vietiamo a Unipol, priva dell´autorizzazione a fare l´offerta, di
vendere le sua azioni di Bnl a qualsivoglia soggetto francese? Via sicura non
solo per mettere Unipol nei pasticci, ma per procurarci un procedimento di
infrazione da parte della Commissione di Bruxelles.
E poi, dove sono queste
banche italiane pronte a sostituirsi agli stranieri? Fazio ne trovò una: era la
banca di Fiorani. Ma qualcosa di altro c´è da fare. A Bruxelles e a Strasburgo
l´Italia conta poco o nulla.
Alla Commissione abbiamo perso un portafoglio di
grande rilievo, che poteva toccare solo a Mario Monti; e abbiamo perso tutte le
direzioni generali importanti.
Al Parlamento europeo i membri italiani, con
qualche eccezione, sono presenti, se lo sono, solo al momento delle votazioni in
aula.
Alla commissione per gli affari economici e monetari, dove si decide la
legislazione sull´industria finanziaria, gli altri Paesi schierano parlamentari
ferratissimi, che difendono gli interessi nazionali; i nostri parlamentari sono
solitamente assenti.
Per difendere i nostri interessi in Europa bisogna lavorare
da europei: ossia, semplicemente, lavorare.