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6 Ottobre 2005

La legge elettorale. La memoria troppo corta. Già archiviate le battaglie per il maggioritario

Autore: Ernesto Galli della Loggia
Fonte: Corriere della Sera

Accade a volte che anche i giornali abbiano una memoria, che forse abbiano addirittura il dovere di averne una, dal momento che ce l’hanno i lettori, il pubblico, che pure contano qualcosa. Diciamo allora che è inevitabile che il tema della legge elettorale susciti qualche ricordo. Il ricordo degli albori degli anni Novanta, anni torpidi e insieme convulsi della vita pubblica italiana nei quali l’insoddisfazione accumulatasi nei due decenni precedenti per il cattivo funzionamento delle nostre istituzioni politiche e la mancanza di ricambio al governo trovò alla fine il suo concreto bersaglio polemico precisamente nella proporzionale.

Questa fu considerata causa e insieme effetto del dominio delle macchine partitiche, dell’autonomizzarsi di tali interessi nella separatezza della politica e della partitocrazia, genitori inevitabili della corruzione. Tale fu il sentimento che progressivamente guadagnò spazio negli strati più dinamici della società italiana e soprattutto al Nord e nei grandi centri urbani di tutto il Paese. Milano in particolare fu l’epicentro del movimento per la riforma dell’assetto politico-istituzionale e della legge elettorale che caratterizzò quegli anni, e anche il Corriere da un certo punto in poi fu in prima linea in quella battaglia.


Tutto questo appare oggi un passato remoto, remotissimo: il Parlamento infatti sta discutendo un ritorno alla proporzionale che ha buone probabilità di essere approvato, e che personalmente non mi sento neppure di demonizzare: certo, esso ha l’evidentissimo scopo di salvare il centrodestra dalla sconfitta elettorale, ma gli annali della politica di tutti i Paesi del mondo sono pieni di tentativi del genere.

Senza contare — ed è l’argomento più forte — che di sicuro molte promesse del maggioritario (anche se si è trattato di un maggioritario al 75 per cento: è un particolare importante) non si sono avverate: la frammentazione dei partiti invece di scomparire si è accentuata, il potere di ricatto delle piccole formazioni è anch’esso aumentato e così il potere dei vertici nella scelta delle candidature. Tutti difetti, peraltro, che con la nuova legge proporzionale, temo, resteranno tali e quali o peggioreranno.

Ma in questo momento non è la pur importantissima disputa sul modo di eleggere il Parlamento che mi interessa. Mi interessa di più, anzi mi colpisce e mi sorprende, il modo disinvolto con cui in tanti, anche tra chi contrasta la riforma attuale, sembriamo aver dimenticato quell’antica stagione del nostro scontento con il carico di passioni e di illusioni che pure essa portò con sé. Non è il solo caso.


Lascia sempre sbigottiti l’oblio a cui in Italia viene spesso consegnato ciò che non è più di attualità, che non è più di moda, che appare sorpassato; anche se ad apparire sorpassati siamo noi e ciò che abbiamo pensato o creduto. Quasi vittime di una radicale mancanza di stima in noi stessi, siamo velocissimi ad abbandonare il nostro passato: più che per paura che ci possa essere rimproverato, quasi vergognosi di non aver capito in tempo come veramente sarebbero andate le cose.

La fedeltà cieca a ciò che non la meritava e che è fallito — che pure è una caratteristica anch’essa della nostra vita pubblica — rappresenta l’altra faccia, un certo senso obbligata, di questa memoria imbarazzata, troppo corta e disinvolta. La quale però non è proprio di tutti: c’è anche chi non dimentica e si ostina a credere che le battaglie oggi coronate da un clamoroso insuccesso erano tuttavia battaglie giuste.