La questione cattolica precipita nuovamente sulla politica italiana. Era prevedibile, dal momento che il confronto fra i due schieramenti è stato condotto da Silvio Berlusconi sul terreno dei valori, come se si trattasse di un ultimativo scontro di civiltà. Ed era ancor più prevedibile perché la guerra fra la Casa delle libertà e l´Unione è sotto questo profilo una guerra asimmetrica. A destra, infatti, ci si rivolge alla chiesa, o più precisamente alla gerarchia cattolica, cercando di esibire una unità incontestabile, come se il centrodestra fosse un blocco di inscalfibile fedeltà alla precettistica vaticana. La sinistra invece va in tensione non appena il discorso pubblico investe i temi della laicità e del rapporto con le istanze della chiesa sui temi «sensibili» della bioetica, della famiglia, della scuola.
L´asimmetria è resa più evidente dall´aspetto strumentale che assumono le prese di posizione della Cdl. Viene facile ai suoi esponenti esibire un legame saldissimo, pressoché indiscusso, con le asserzioni ecclesiastiche: anzi, sembra essersi creata una specie di ideologia “cattolicista” che tiene insieme i settori ex democristiani del centrodestra con le frange laiche dei cosiddetti «atei devoti».
Sotto questa luce, il centrodestra può esporre la visione culturale di Marcello Pera, con il suo neo – integralismo che combina un´eco cristiana con una più mondana posizione geopolitica, e che fonda il collateralismo con il Vaticano invocando ragioni identitarie (di solito brandite con una certa animosità verso le culture altre, nei confronti del meticciato culturale, e contro quel “relativismo” che stempera le ragioni dell´identità culturale nell´indistinto della secolarizzazione).
Ma nello stesso tempo la Cdl sa esprimere anche un´anima prettamente confessionale, che tende programmaticamente ad assicurare alla chiesa politiche favorevoli ai suoi interessi, oltre che ai sempre più ribaditi principi del suo magistero. Non si capisce, in questo senso, dove sia finita la componente autenticamente laica del centrodestra, che pure dev´essere esistita, a suo tempo; sta di fatto che a tutta la Cdl riesce facilmente di presentarsi come lo schieramento che si fa paladino dei valori cattolici. E anzi agita la propria contiguità con la gerarchia come una risorsa da spendere senza esitazioni o dubbi sul mercato politico, nella convinzione che l´Italia profonda apprezzi, nel “cattolicesimo del cuore”, il sostegno esplicitamente offerto alla chiesa e dalla chiesa implicitamente richiesto.
Naturalmente si tratta di una strategia che deve essere duttile, prevedere avanzamenti e ritirate (e anche qualche “bel gesto” come quello esibito ieri dal premier, che ha troncato le polemiche sulla visita in Vaticano). Tuttavia il messaggio è chiaro: la Cdl, ora che anche la lega “celtica” ha riscoperto il valore delle radici cristiane, è una macchina compatta, i cui interessi vanno di pari passo con quelli vaticani.
Per quanto strumentale e pubblicitaria, è anche una strategia particolarmente insidiosa per il centrosinistra. Perché sotto il profilo politico-culturale l´Unione è drammaticamente più composita della Cdl. Si è già visto che l´arco dei possibili conflitti interni è ampio, dal referendum sulla procreazione assistita ai Pacs, e virtualmente esplosivo. L´Unione può chiedere a Romano Prodi di trovare una sintesi sulla politica economica; di esercitare una mediazione sulla politica estera; ma sugli argomenti che toccano il rapporto con la chiesa scattano meccanismi automatici, riflessi culturali che sembrano rifiutare il compromesso, fosse pure di semplice convenienza elettorale. Le polarità di questa divisione sono esemplificate da Rutelli e Pannella, ma essa attraversa tutto lo schieramento.
Dieci anni fa, l´Ulivo soffriva di un´analoga diffidenza da parte della gerarchia ecclesiastica. Ma l´esperienza prodiana era riuscita a mobilitare notevoli settori del cattolicesimo di base. Come fu detto, furono numerosi i parroci che fecero “catechismo elettorale”, e il centrosinistra vide lo schieramento a suo favore di larghe zone dell´associazionismo cattolico.
Oggi tutto questo sembra più difficile. La credibilità del centrosinistra nel 1996 era data non solo dalla figura di cattolico di Prodi, che pure in alcuni ambienti religiosi appariva un antidoto efficace rispetto all´individualismo “edonista” del Polo berlusconiano; la credibilità, per il mondo cattolico, era assicurata in gran parte dall´intenzione sociale impersonata dallo schieramento prodiano, cioè dalla volontà di modernizzare il paese senza forzature liberiste, nel rispetto delle compatibilità sociali, facendo sentire idee che riecheggiavano nella sostanza la dottrina sociale della chiesa.
In questo momento il messaggio dell´Unione assomiglia invece a una sommatoria di motivi, il cui filo conduttore culturale non è rintracciabile con immediatezza. Sul piano personale e ideale, la credibilità di Prodi nella base del mondo cattolico è probabilmente intatta. Ma è cambiato l´ambiente politico in cui il centrosinistra agisce: con il passaggio dal maggioritario al proporzionale si vede con chiarezza la diversità delle anime più che la coerenza dell´organismo.
Avrebbe certamente poco senso, a un mese dalle elezioni, tentare goffe dichiarazioni di fedeltà, o fare gesti infantili di acquiescenza. Ancora una volta, l´affidabilità del centrosinistra non è consegnata a un rigurgito bigotto: ciò che serve è un buon progetto per l´intero paese. Alla guerra di religione non si risponde con le genuflessioni, ma con una buona politica.
Anche nelle società “post-secolari”, come le ha definite Giuliano Amato, ciò che conta non è il conformismo o la corrività verso le autorità religiose, quanto la consapevolezza che si viene giudicati non per le parole ma per le opere.