Sta per finire una legislatura nera e pesante per la giustizia. Il progetto controverso sull´ordinamento giudiziario è solo la nave ammiraglia di una flotta di maggioranza. Normalmente sparpagliata, essa ha alla fine trovato la sua compattezza solo nella rotta legislativa contro singoli processi, contro singoli giudici, contro l´idea stessa di magistratura indipendente.
In questi giorni ci sono gli ultimi fuochi per abbreviare i termini di prescrizione dei reati (in tempi di galoppante criminalità) e per portare comunque avanti il disegno di una organizzazione giudiziaria ostile ai giudici e incapace di utilità per i cittadini.
Ma essi sono stati preceduti da un sistematico bombardamento dei punti più sensibili del funzionamento giudiziario, sotto gli occhi allibiti delle Corti di giustizia europee, del Parlamento di Strasburgo, del Consiglio d´Europa. Sono stati menati colpi contro la legittimazione dei giudici, con la creazione di generici motivi di ricusazione.
E usata la legge per impedire la carriera di uno solo, con sconvolgimenti a catena dell´intero sistema degli incarichi. E ancora inferti colpi, perfino nell´emergenza terroristica, contro la nostra capacità di cooperazione giudiziaria in Europa: con gli scandalosi casi delle rogatorie internazionali (che ha provocato una sprezzante reazione del pacifico parlamento svizzero) e del mandato d´arresto europeo (che ci ha visto ultimi tra 25 Stati con inescusabile ritardo e con norme distorsive, ancora sotto valutazione del Consiglio e della Commissione europea).
Alla fine di una legislatura come questa il nuovo sciopero dei magistrati italiani significa allora molte più cose di quanto ne significasse prima. E lo stesso termine “sciopero” appare inadeguato ad esprimere il senso di una protesta che non è economica né politica.
Si tratta semmai di un comportamento più vicino ai concetti costituzionali di ostruzionismo e di resistenza: di difesa, insomma, di fronte agli eccessi e agli stravolgimenti del potere legislativo.
Proprio perché i giudici, alla fine, devono, secondo Costituzione, applicare l´apparato legislativo che viene fuori dal cumulo di tanti provvedimenti di rottura, è giusto e necessario, per la logica del nostro sistema di libertà, che essi trovino uno spazio extraprocessuale per dire le cose che nelle sentenze non possono dire.
Una presa di posizione collettiva, insomma, come un´azione civica o una class action, attraverso cui coloro che per primi sono danneggiati agiscono anche per avvertire tutti della generalità del danno, Una “manifestazione”, nel senso pieno costituzionale, per comunicare a tutta la comunità cittadina l´allarme per lo scompaginamento di quello che è il criterio fondamentale di ogni ordinamento democratico: la separazione dei poteri nel loro concreto e tipico esercizio: le leggi, le sentenze, i provvedimenti.
Paradossalmente, meglio di ogni altro, hanno avvertito la natura “diversa”, e per loro infinitamente più pericolosa, di questa protesta, proprio coloro che minacciano di denunciare penalmente i magistrati “scioperanti”. Riducendo il tutto ai termini “sindacali” dell´”interruzione del pubblico servizio”, a una banale controversia sulla assicurazione delle prestazioni urgenti ed essenziali, a roba, insomma, di regolamenti amministrativi e non di valori costituzionali, tutto, infatti, sarebbe immiserito e controllabile di fronte all´opinione pubblica.
Un tentativo che è fallimentare non solo per inconsistenza giuridica ma proprio per la monumentale contraddizione tra fatti e rimedi che è davanti a tutti. I fatti si riassumono crudamente nella condizione di non-giustizia in cui versa il nostro Paese.
I cittadini non hanno alcuna garanzia di vedere risolti in tempi ragionevoli (come vuole l´art. 111 della Costituzione) le loro controversie civili e neppure i processi penali in cui sono coinvolti (non sono bastati per Calogero Mannino dieci anni di odissea, abbiamo esemplarmente letto appena ieri…)
È una situazione che allontana imprese e investimenti stranieri e che è ben presente in ogni scenario italiano tracciato da banche e istituzioni internazionali. Al danno sociale interno si aggiunge così il danno economico dall´esterno.
Ora, di fronte a questo diniego, di fatto, di giustizia, i rimedi del governo sono in un disegno ordinamentale ispirato da due sostanziali, errati pregiudizi. Il primo è che la colpa del disservizio giudiziario sarebbe solo dei magistrati.
Ad esso dovrebbe porsi rimedio ricorrendo a una sorta di outsourcing diffuso: ingresso e carriera dei giudici non più nelle mani dell´organo costituzionalmente preposto – il Consiglio superiore – ma in appalto ai giudizi di una scuola di magistratura e di una miriade di commissioni di concorso esterne ad esso. La giusta eliminazione degli automatismi di carriera diviene, così, costituzionalmente ingiusta quando la valutazione dei giudici è in tal modo “delocalizzata” per sede e per metodo.
Il secondo pregiudizio è che il ministro della giustizia dovrebbe diventare il vero organo di governo “politico” della magistratura. Non dunque la sola competenza alla “organizzazione e al funzionamento dei servizi relativi alla giustizia”.
Ma anche la competenza di un contropotere che può impugnare i provvedimenti del Consiglio superiore davanti al giudice amministrativo. E anche la competenza a definire davanti alle Camere gli “orientamenti” del governo in materia di giustizia, anno dopo anno.
Ognuno può vedere che una impostazione così ristretta a schemi di imposizione e sottomissione non supera uno solo dei mali della giustizia in Italia, non accorcerà di una sola ora un solo processo. Al contrario.
La verità è che l´ordinamento giudiziario non è cosa che può di per sé risolvere quel problema, insieme sociale e istituzionale. Sono necessari anche interventi sui codici mirati alla rapidità e alla semplificazione dei processi.
Sono necessari interventi sul valore di precedente delle decisioni della Corte di Cassazione per scoraggiare la litigiosità ripetitiva. È necessario, infine, anche per questa grande questione il “patto” tra istituzioni di cui parlava recentemente il Presidente della Camera.
Non si può continuare a tentare riforme istituzionali “contro”. Si deve ricercare, soprattutto qui, il metodo della concertazione, sia in parlamento sia con l´ordine giudiziario che dovrà, in ultima analisi, applicare quelle norme di organizzazione e anche di auto-organizzazione.
In questa logica di leale cooperazione istituzionale nessun argomento potrà essere tabù. Né le giuste correzioni a quell´automatismo di carriera, che ora privilegia i pigri e i non aggiornati contro i magistrati operosi e attenti alla evoluzione dei fatti e del diritto.
Né la composizione e le funzioni del Consiglio superiore da considerare più che organo di autogoverno, organo di garanzia, interna e esterna, per la magistratura. Né la “partecipazione diretta del popolo all´amministrazione della giustizia” (di cui parla l´art. 102 della Costituzione) nel senso anche di far valere le responsabilità dei giudici, attraverso ricorsi civici.
Con l´istituzione presso ogni corte d´appello di una specie di difensore civico per la valutazione e l´inoltro al Consiglio superiore dei reclami dei cittadini contro la malagiustizia.
La questione della giustizia è una grande questione nazionale ma è anche ora diventata “la” questione dei magistrati, da risolvere con il loro apporto, con la coscienza che è in gioco la loro credibilità e legittimazione popolare (“in nome del popolo”: art. 101 Cost…).
Oggi è il giorno della protesta. Con essa la vicenda dell´ordinamento giudiziario si carica di tutto il peso e il valore della generale difesa della Costituzione che oggi è necessaria su un largo fronte non separabile per settori.
Ma domani, al di là di questa legislatura perduta, sarà l´ora doverosa e severa della costruzione di quell´ordinamento “in conformità con la Costituzione” di cui hanno parlato i Padri Costituenti.