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20 Aprile 2006

La favola della lira

Autore: Luigi Spaventa
Fonte: la Repubblica

In provincia le favole raccontate dai forestieri fanno sempre effetto. A quella narrata da un pur autorevole commentatore del Financial Times (a firma sua e non come opinione editoriale del giornale) la stampa e la televisione della nostra provincia hanno dedicato titoli di apertura e prime pagine: entro e non oltre il 2015, l´Italia, in crisi di competitività e guidata da un governo populista, abbandonerà l´euro e tornerà a una lira fortemente svalutata.


E, di fatto o di diritto, rinnegherà i suoi obblighi di debitore sovrano.

Di favola si tratta, e neppure troppo coerente nel suo svolgimento; ma, come sempre nelle favole, occorre chiedersi quale sia il granello di verità che la ispira.


Si può uscire dall´euro senza compiere il passo estremo di uscire dall´Unione denunciando il Trattato? Alla lettera, no. Il Trattato ha stabilito che tutti gli Stati i quali rispettino determinate condizioni entrino nella terza fase dell´unione monetaria, quella della moneta unica, salvo deroghe previste in appositi protocolli, come nel caso dell´Inghilterra e della Danimarca; dichiara irreversibile il passaggio alla terza fase; non prevede alcun meccanismo di recesso dall´unione monetaria, la quale, per i paesi ammessi, si configura pertanto come parte integrante del Trattato medesimo.


Naturalmente nulla v´è di assolutamente immutabile nella vita: anche i dettami di un trattato possono essere aggirati quando si manifesti una comune volontà politica per raggiungere un fine condiviso. Ma il fine deve essere, appunto, condiviso e la volontà comune: non basta che un´Italia “populista” decida, unilateralmente, di chiamarsi fuori dall´euro, pur senza abbandonare l´Unione Europea; né basta che gli altri soci decidano di espellere l´Italia.

Il fine della favoleggiata decisione italiana sarebbe quello di riguadagnare quote di mercato con una drastica svalutazione: non pare immaginabile che Francia, Germania e Spagna, nostre concorrenti sui mercati internazionali, consentano a questo avventuroso progetto senza sollevare eccezioni. Si può per contro configurare una situazione in cui gli altri soci dell´euro-area cerchino loro di obbligarci all´uscita?

Certo, se una serie di declassamenti da parte delle agenzie di rating portassero il merito di credito del debito italiano al di sotto del livello al quale la Banca Centrale Europea è disposta ad accettare i nostri titoli pubblici in contropartita delle sue operazioni di rifinanziamento, le condizioni di turbolenza finanziaria che ne deriverebbero provocherebbero difficoltà alla gestione della politica monetaria comune.

Ma non toccherebbe alla Banca Centrale decidere sull´espulsione di un paese: la decisione dovrebbe essere assunta a un livello politico, ove non solo si richiederebbe il nostro consenso, ma, soprattutto, si farebbero sentire gli altri interessi nazionali danneggiati dal ritorno di una lira debole.

“Né con te riesco a vivere, né senza di te”: questa trappola poteva essere la trama di una favola più credibile sui rapporti reciproci fra l´Italia e l´euro.


Ma la provincia italiana si è emozionata lo stesso, ancor più di quando, fra il 1995 e il 1996, il Financial Times avvertiva un giorno sì e l´altro pure che l´Italia non sarebbe mai entrata nell´euro: quasi che occorresse leggere un giornale straniero per rendersi conto che negli ultimi anni si è verificato un peggioramento strutturale delle condizioni di finanza pubblica, di cui il sintomo più grave e più rischioso è il rinnovato aumento, dopo un decennio di lento declino, del rapporto fra debito e prodotto nel 2005 e nel 2006.

L´emozione tuttavia può servire, se stimola le reazioni giuste. Per ora, tuttavia, le reazioni non sono quelle. La ex maggioranza, ora opposizione, usa il Financial Times per dire che la gravità della situazione sconsiglia la formazione di un governo con maggioranza risicata: sono gli stessi soggetti che avevano asserito che i numeri della legge finanziaria erano “numeri europei”. Un qualche deputato della ex opposizione, ora maggioranza, dice che per un paio d´anni non ci si deve occupare del debito, ma pensare ad altro (forse agli interessi che intanto si accumulano).


Ci si attende di meglio, e al più presto, dal prossimo Presidente del Consiglio. Chiarisca subito al paese che, euro o non euro, senza che servano inventari e commissioni, senza che ce lo dicano i giornali stranieri, la tendenza dei conti pubblici alimentata negli ultimi anni deve essere immediatamente corretta; e lo faccia subito. Altrimenti resteremo nella trappola.