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23 Aprile 2006

La favola del Paese diviso

Autore: Ilvo Diamanti
Fonte: la Repubblica

SIAMO un Paese diviso. Lo sentiamo ripetere, puntualmente, in mezzo a ogni discorso sulla politica italiana. Prima e ancor più dopo le elezioni del 10 aprile. Che ci hanno restituito, appunto, un Paese diviso. Molto più di prima.

Due Italie contrapposte. Una contro l´altra armata. Una “guerra civile a bassa intensità”, l´ha definita Edmondo Berselli sull´Espresso. Tuttavia, la divisione astiosa a cui assistiamo oggi non è il riflesso dell´identità e della cultura del Paese.

(Le diversità – sociali, territoriali, culturali – per l´Italia rappresentano uno specifico nazionale. Un valore). È una costruzione politica. Il frutto avvelenato di un modello di rappresentanza e di competizione politica che traduce le differenze in fratture.

E ostacola chiunque tenti di ridurle. La divisione politica dell´Italia, peraltro, oggi è evidente. Ma anche più complessa di quanto appaia, in superficie.

Al Senato, il centrodestra avanti di poco, nel voto. Ma indietro, di un paio di seggi. Alla Camera: l´Unione ha conquistato una larga maggioranza di deputati, grazie al premio previsto dalla legge.

Ma, sul piano elettorale, ha superato la CdL di un soffio. Lo 0,1%. Meno di venticinquemila voti. La CdL e il suo leader, Silvio Berlusconi, per questo, oggi negano legittimità alla vittoria di Prodi.

Dimenticando che cinque anni fa al centrodestra era andato meglio. Ma non di tanto. Visto che nel maggioritario aveva prevalso per 45% a 44%.

Dunque, dell´1%, ovvero 400.000 voti in più. Certo, nel proporzionale la CdL si era affermata con un divario molto più ampio: 50% a 35%.

Complice la maggiore capacità, del centrodestra, di canalizzare consensi attraverso i singoli partiti (i cui voti, nel maggioritario, stentano a sommarsi).

E, ancor più, il mancato accordo con Rifondazione Comunista (5%) e con la Lista Di Pietro (4%). Oggi, quel divario appare completamente colmato.

In seguito all´allargamento della coalizione di centrosinistra alla Lista Di Pietro, a Rifondazione. E ai Radicali (che nelle precedenti elezioni correvano da soli). Ma anche grazie a una maggiore capacità complessiva di attrazione.

Perché, se valutiamo il risultato ottenuto dalle liste dell´Unione alle recenti elezioni rispetto a quelle del 2001, si rileva una crescita di oltre un milione e mezzo di voti.

Mentre le liste della Cdl mostrano, a loro volta, un certo incremento, ma in misura più limitata: circa 400 mila voti. Entrambe le coalizioni – ma soprattutto l´Unione – hanno attinto, in questa elezione, dall´espansione dei voti validi e dal prosciugarsi delle “terze forze” (che nelle precedenti elezioni occupavano uno spazio significativo: 10-15%).

Determinato, soprattutto, dall´ingresso nelle coalizioni principali dei partiti che, in passato, ne erano rimasti fuori (la Lega, Rifondazione, la Lista Di Pietro, i Radicali).

Ma anche dalla spinta bipolare degli elettori. Così, l´esito delle elezioni degli ultimi dieci anni, più che da profondi cambiamenti politici, sociali e di valore, pare condizionato dalle alleanze e dalle scissioni fra partiti.

Nel 1996 la vittoria del centrosinistra è, in realtà, una sconfitta del Polo delle Libertà, battuto dalla Lega nel Nord. Nel 2001, il successo di Berlusconi, che riunisce Polo e Lega nella CdL, è agevolato dalla divisione fra i partiti dell´Ulivo, Rifondazione e Lista Di Pietro.

Oggi, infine, le due grandi coalizioni, Unione e CdL, hanno aggregato praticamente tutto quel che era possibile. Tutti i partiti, tutte le liste.

Anche le più marginali, localiste (ed estremiste). Così, l´esito delle elezioni in Italia, dopo la fine della prima Repubblica, appare il risultato di una complessa opera di rammendo.

Che lascia, visibili, le cuciture e i rappezzi. Ma che restituisce un´Italia riunita e divisa. In due pezzi sostanzialmente uguali. Anche il conteggio delle province, in base alla coalizione vincente, (Bolzano e Aosta escluse) concorre a rafforzare questa immagine.

Visto che in 54 prevale il centrosinistra e in altrettante il centrodestra. Insomma: pareggio assoluto. Che sottende una stabilità di lunga durata.

Visto che le differenze di voto fra una provincia e l´altra, in questa consultazione, sono statisticamente spiegate, per oltre l´80%, dal risultato elettorale del 1996.

Non solo la sinistra, da sempre insediata nelle regioni dell´Italia centrale; anche Fi, il partito mediatico e personale, dal 1994 alle ultime, recenti elezioni hanno mantenuto la medesima geografia elettorale.

Stessi punti di forza e di debolezza. In altri termini: nonostante negli ultimi quindici anni tutto o quasi, nella politica, e molto, nella società, sia cambiato, gran parte dei cittadini continua a votare riproducendo antiche tradizioni locali.

Per cui, nell´insieme, si osserva una grande continuità elettorale. Quasi senza flussi da una coalizione all´altra. Semmai, gli elettori, quando si sentono delusi, sfiduciati, insoddisfatti, preferiscono non votare.

Per cui la campagna elettorale, il massiccio ricorso ai media e alle tecniche di marketing elettorale: non servono a proporre, informare, convincere, convertire, invertire, sovvertire.

Perché gli elettori difficilmente cambiano opinione. Se hanno un´opinione. Raramente cambiano partito per cui votare. Se hanno un partito. E quasi mai cambiano schieramento. Gli unici elettori incerti e instabili sono i “non allineati”.

Quelli che fra sinistra e destra si chiamano fuori. “Quelli che la politica gli fa schifo”. Quelli che non si occupano di politica. Mai. Per cui è la politica che deve occuparsi di loro, direttamente.

Per smuoverli. Le campagne elettorali, il tam tam mediatico, l´uso delle tecniche di mercato, per questo, sono rivolte e indirizzate, anzitutto e soprattutto, a loro.

Che a sinistra, comunque, non voterebbero mai. Le campagne elettorali. Servono a scuoterli. A spiegare loro che il “nemico” è alle porte. Come nel 1948. Non possono astenersi. Devono votare.

Le campagne elettorali. Servono a superare le differenze interne a ogni coalizione. Affermando divisioni esterne, più forti e profonde.

Che “costringano” gli alleati, piccoli e grandi, a restare uniti. Che inducano gli elettori a votare: per rifiuto e per paura, se non per amore e per passione.

Così si spiega la recente, martellante, campagna elettorale di Berlusconi. Che ha mobilitato gli immobili. Ha scosso gli apatici e i delusi. Diviso l´Italia in due. Amici e nemici. Ha galvanizzato i suoi. Ma anche gli avversari. Quelli di sinistra.

Così, la quota di persone interessata alla politica, nel corso della campagna elettorale, è cresciuta in misura enorme. Dal 36%, in gennaio, al 48% registrato nelle settimane prima delle elezioni (Indagini Demos-Eurisko).

Anche e soprattutto in questo modo si spiega la grande partecipazione al voto. Superiore all´83%. Trainata da una campagna elettorale mediatica astiosa, risentita, allarmista.

Che ha riportato alle urne gli elettori di centrodestra che, dopo il 2001, avevano smesso di votare: per delusione.

Non tutti, però, visto che alle elezioni del 2001, a parità di elettori (operando la sottrazione statistica dalle liste di quasi due milioni di italiani all´estero), i votanti erano stati non l´81%, come si è soliti sostenere, ma addirittura l´85% (secondo le elaborazioni del politologo Antonio Agosta).

Per cui, presumibilmente, l´inseguimento, lanciato da Berlusconi, ha raggiunto quasi tutti i suoi “elettori delusi”. Ma, appunto, quasi. Non tutti. (Gli sono sfuggiti, in particolare, frazioni di elettori del Sud).

Da ciò l´idea, già espressa, che questa “guerra civile a bassa intensità” sia, soprattutto, una costruzione politica. Non il riflesso di fratture che attraversano cultura e società.

D´altronde, fra i cittadini, la domanda di condivisione e di simboli comuni è estesa. Come testimonia l´eccezionale grado di fiducia di cui gode il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi.

Come dimostra il fatto che la maggioranza dei cittadini – al di là delle differenze di voto – vorrebbe che le due coalizioni trovassero l´accordo sulle questioni istituzionali e politiche più importanti.

Pur avversando l´idea di “grandi coalizioni”. Questo Paese: dove la partecipazione al voto corrisponde a una sorta di chiamata alle armi.

Non è così cattivo e “diviso”, come suggerisce l´immagine dello specchio politico in cui esso si riflette. Ma, sicuramente, rischia di diventarlo presto.