27 Ottobre 2004
La favola del centro che fa vincere
Autore: Eugenio Scalfari
Fonte: la Repubblica
Un cannoneggiamento sistematico, un fuoco di batterie campali cui seguono raffiche di mitraglia in attesa che entrino in campo le truppe corazzate. Questa è l´impressione che si ricava dall´esame di alcuni importanti mezzi di comunicazione che da molte settimane hanno lanciato una vera e propria offensiva mediatica con un duplice e molto evidente obiettivo: delegittimare la sinistra italiana, anche quella riformista e anzi soprattutto quella riformista; spostare al centro la linea del centrosinistra martellando lo slogan che al centro si vince, nella prospettiva di farlo diventare senso comune (o luogo comune che dir si voglia).
A condurre questa operazione mediatica e politica si sono mobilitati Bruno Vespa, Giuliano Ferrara, Panorama, Il Giornale, Il riformista, e soprattutto il Corriere della Sera e 24 Ore. La sequenza del quotidiano milanese è addirittura impressionante: coinvolge Della Loggia, Ostellino e Panebianco (ai quali fa eco Battista dalle colonne della Stampa) ma poi lo stesso direttore Stefano Folli con un duplice intervento domenicale. Infine, tra tanta ressa, si fa luce Giovanni Sartori che assume in proprio lo slogan «al centro si vince» confortandolo e rafforzandolo con la sua indiscussa dottrina, sicché quelle che erano fino a quel momento legittime quanto discutibili opinioni diventano assiomi scientificamente provati. Renato Mannheimer valoroso esperto in sondaggi ci mette sopra il bollo della statistica e il cerchio è completo. La fanteria, cioè i cronisti e gli intervistatori, seguono a schiere compatte. I titolisti fanno il resto.
Personalmente non credo affatto che i direttori delle testate alle quali qui si accenna e gli articolisti delle medesime si consultino tra loro. Sono ormai nell´albo dei decani di questa professione e ne conosco bene gli usi e i costumi. Consultarsi non è d´uso, ciascuno è libero nelle proprie scelte all´interno di limiti liberamente accettati e segue quindi le proprie convinzioni in (quasi) perfetta autonomia.
Se dunque un fronte mediatico così vasto e composito batte e ribatte sullo stesso tema da giorni e suona la stessa musica, una ragione ci deve pur essere. E la ragione sta nel fatto che gli interessi di riferimento di questo settore mediatico sono largamente comuni. Il loro Dna ideologico è comune.
La parola “centro” viene ideologizzata come una sorta di numero aureo e ad essa si accompagna un´altra parola altrettanto aurea che è quella di “moderato”. Anche se il centro moderato è un´espressione assolutamente vaga e, almeno in Italia, di incertissima definizione. Un marchio di indifferenza politica o addirittura di non politica con tonalità di antipolitica. Di disimpegno. Di vocazione ad attingere a due o più forni. Insomma di sano () trasformismo.
Naturalmente liberale, ci mancherebbe.
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Si vince al centro, afferma con sicurezza il professor Sartori e invoca a proprio sostegno (ma non ce ne sarebbe alcun bisogno perché Vanni Sartori fa dottrina anche da solo) la dottrina “classica” di Anthony Downs che prevede la vittoria di chi, mantenendo compatto il proprio elettorato tradizionale, riesca a conquistare voti nello schieramento avversario e soprattutto in quel limbo intermedio tra le forze contrapposte.
Alla dottrina classica di Downs si oppone quella di Stanley Greenberg (che Sartori definisce una “dottrinuccia”) secondo la quale la vittoria è di chi «riesce a mobilitare il proprio elettorato stanando dalle tane i propri astenuti».
Non sono in grado di difendere la dottrinuccia di Greensberg perché per mia ignoranza non so nemmeno chi sia, ma personalmente condivido in pieno la sua tesi.
Sostiene Sartori che in America non ha mai vinto chi non ha fatto la corte ai voti del centro. Sarà pur vero, ma non nel caso di F. D. Roosevelt, che realizzò l´intervento pubblico in economia in un paese dove una tesi del genere era considerata l´equivalente d´una bestemmia, costruì attorno a quest´idea un vero e proprio blocco sociale composto da lavoratori, disoccupati, neri, minoranze povere, e con quello governò ininterrottamente dal ´32 al ´44, dodici anni ai quali seguì la presidenza Truman sostenuta dal medesimo blocco (vent´anni di seguito). Questo schieramento e questo blocco sociale tornarono a governare con continuità con la presidenza Kennedy e poi Johnson e Carter, per altri complessivi quindici anni.
Nessuno di questi, ch´io sappia, corteggiò l´elettorato centrista se non per quel tanto che tutti i candidati fanno per sedurre gli elettori di qualunque provenienza e cultura. Salvo un pazzo o un fanatico nessuno tratta a calci nei denti chi si accinge a votare. Il problema sta nel programma e quello sul quale vinsero i candidati democratici non fu certo indulgente verso i conservatori e i moderati di parte avversa, come non lo fu Clinton con le sue proposte sociali sulla sanità, sulla previdenza, sulla necessità di far nascere in Medio Oriente un vero Stato palestinese.
Questo per quanto riguarda il passato. Ma sull´America mi permetto di fare un´altra considerazione: negli Usa non esistono formazioni politiche a sinistra del partito democratico né a destra di quello repubblicano. Neppure in Gran Bretagna esiste una destra ultrà e una sinistra ultrà.
Proprio in questi giorni il candidato Kerry cerca di battere Bush non corteggiando i moderati ma piuttosto cercando di acquisire nei vari Stati in bilico determinate categorie sociali: i neri e i portoricani, le donne, i cacciatori, alcune Chiese protestanti, i giovani disoccupati, i lavoratori privi di “welfare”. Non so se riuscirà nell´intento in un paese che vede nonostante tutto in Bush il “commander in chief” d´una guerra di sicurezza imperiale. Ma è un fatto che il centro in quanto centro e i moderati in quanto moderati sono concetti del tutto evanescenti e neppure traducibili in categorie politiche.
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Ma occupiamoci di noi, dell´Italia.
Qui il centro e i moderati di centro sono esistiti, eccome, all´epoca del sistema proporzionale e del centrismo degasperiano che durò dal ´47 al ´55.
Poi arrivò Fanfani, che certo di centro non era. E Gronchi. E Moro. Il centrosinistra con Nenni e poi De Martino vicepresidenti del Consiglio.
Andreotti governò di volta in volta con Malagodi, con La Malfa, con la sinistra del suo partito e con l´appoggio parlamentare del Pci di Berlinguer.
Poi venne De Mita, dopo il quale comincia l´ultima fase (moderata) che prelude allo sfascio di Tangentopoli e al passaggio dalla proporzionale al bipolarismo.
Pongo anch´io una domanda: quanti sono e dove sono i moderati del Polo e della Casa delle libertà che vinsero nel 1994 e nel 2001 Non certo nel Msi e poi in Alleanza nazionale; non certo nella Lega. Nel partito di Follini, che vale oggi un 6 per cento nel suo insieme, ma non più del 4 se si tolgono dal conto le clientele siciliane che sono col piede sull´uscio.
Allora in Forza Italia Non direi proprio. Forza Italia nasce da una sorta di ribellione contro lo Stato burocratico, i famosi lacci e laccioli, la voglia del «fai da te», l´irruenza produttiva del Nord-Est in cerca di rappresentanza politica, delle partite Iva, della «questione settentrionale».
Con nutrite clientele sudiste. Con la grande moda del nuovismo. Con il sogno dell´Eldorado dietro l´angolo. Il fisco nemico pubblico numero uno. Il sommerso. Si tratta di moderati o di estremisti di centro Molti votavano a sinistra fino al ´96. Potrebbero ritornarci ma non sono centristi. A Bologna infatti sono ritornati. Con Cofferati. Illy è un moderato eletto con voti moderati o un imprenditore capace sostenuto dal centrosinistra A Milano la provincia è stata conquistata dal segretario locale dei ds; nel collegio di Bossi ha vinto l´ex presidente della Rai e girotondino, Zaccaria. A Napoli il Polo ha perso il collegio in gran parte per i voti raccolti dalla Mussolini.
Voti moderati, amico Sartori
Tu citi a sostegno della tua tesi le tabelle di Mannheimer, dove i voti da conquistare starebbero tutti al centro. Infatti Mannheimer questo dice nel testo e così titola il Corriere della Sera su otto colonne. Ma leggi bene le tabelle che sorreggono con i numeri il testo. Esse quantificano al 28 per cento gli “incerti” di centro, al 23 gli incerti di centrosinistra, al 10 quelli di sinistra. Mannheimer, chissà perché, ha dimenticato la sua tabella e ha opposto il 28 dei centristi incerti al 10 degli incerti di sinistra. Ha completamente dimenticato e cancellato quel 23 di incerti che si dichiarano di centrosinistra.
Fate la somma: agli incerti di centro si contrappone un 33 per cento di centrosinistra e sinistra che vanno possibilmente recuperati dalla coalizione per cui hanno già votato. Vedi bene, amico Sartori: non basta leggere i testi e i titoli quando le cifre dicono il contrario.
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Mi stupisce soprattutto il direttore del Corriere della Sera per il titolo del suo articolo di domenica scorsa: “Classe dirigente cercasi subito”. Avete capito bene Subito, non c´è un minuto da perdere. Perché una classe dirigente non c´è. A destra, scrive Folli, c´è Berlusconi che bene o male governa da tre anni; gli elettori lo giudicheranno per quanto ha fatto e non fatto. Ma al centrosinistra non c´è nessuno. Sì, c´è Prodi. Ma Prodi da solo non funziona.
Bisogna affiancarlo e ci vuole una squadra. Soprattutto per governare l´economia. Prodi non basta. Ma perché Perché no.
Ci sarebbe anche Fassino. Anche Bersani. Anche Visco. Anche Enrico Letta.
Vengo anch´io. No, tu no. Ma perché Perché no. Sembra Enzo Jannacci.
Quel nome Folli lo vuole subito. Da Prodi. Un grande tecnico. Un uomo fuori dai partiti. Come Ciampi nel ´96.
Faccio osservare che Ciampi andò al Tesoro per scelta di Prodi fatta dopo le elezioni e vincendo le resistenze dello stesso Ciampi. Ma Folli lo vuole conoscere subito quel nome, a venti mesi dal voto. Ma perché Perché Prodi da solo è bollito e i centristi con lui solo non marciano. E neppure il Corriere della Sera è disposto a marciare.
Guardate l´America: lì i grandi giornali, i giornali indipendenti, hanno preso posizione netta sui candidati. Il Washington Post, il New York Times, i giornali di Boston e di Los Angeles sono per Kerry. Altri di altri Stati e città per Bush. Ma nessuno ha chiesto ai due candidati chi nomineranno segretario di Stato e segretario della Difesa e neppure Consigliere del Presidente. Ma qui, perdinci, ci sono i moderati. Senza quel nome non si muoveranno.
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A me tutto questo sembra un po´ grottesco. Capirei di più se i giornali sedicenti liberali scrivessero che qualora Berlusconi si candidasse come “premier” alle elezioni restando azionista di riferimento del gruppo Fininvest-Mediaset, la sua candidatura dovrebbe essere impedita dal pensiero e dall´azione liberale e dalla legge. In questo caso direi anch´io a Berlusconi, come Jannacci e come Folli, “no, tu no”. Questa sarebbe una battaglia liberale. E se ci fossero veri moderati dovrebbero sostenerla con vigore. Ma ci sono.