La sicurezza, che fondamentalmente consiste nel poter vivere la propria
vita quotidiana (e quindi dormire nella propria casa, camminare per la
strada, viaggiare, incontrare altre persone) senza sentirsi a rischio,
è il presupposto essenziale della libertà. Ma la tutela della sicurezza
comporta limitazioni della libertà, o quanto meno di alcune delle sue
principali estrinsecazioni. E´ un circolo vizioso, che negli ultimi
secoli ha cercato di spezzare la democrazia liberale, con il suo
assunto e con le regole che ne sono seguite: più si promuove e si
garantisce la libertà di tutti coloro che vivono insieme, più si
diminuiscono i nemici del regime comune e conseguentemente si
diminuiscono i rischi per la sicurezza. Gli organi di polizia,
vegliando contro la criminalità comune, veglieranno sulla libertà di
tutti gli altri.
Non è un sogno, al contrario ha dimostrato di
essere, in più paesi e in più periodi della nostra storia recente, una
realizzazione effettiva. E del resto, il confronto con i regimi
totalitari convalida l´assunto della democrazia liberale. Quei regimi,
infatti, sono ben consapevoli di tenere in implosione opposizioni
interne crescenti e proprio per questo ne prevengono e ne reprimono le
manifestazioni con limitazioni molto rigide delle libertà di tutti;
anche perché tutti possono essere, o divenire, dei loro nemici.
Nella stessa democrazia liberale, però, il confine della libertà
non è affatto nitido e non lo è per un retaggio mai rimosso, che risale
alla madre di tutte le democrazie, quella ateniese, nella quale i
diritti notoriamente valevano per i cittadini, ma non per i barbari.
Non dovrebbe essere così al nostro tempo, almeno da quando, con il più
rivoluzionario dei principi mai entrati nella storia, abbiamo
proclamato una tavola di diritti universali. E tuttavia, qualcosa, ed
anzi ben più di qualcosa, è rimasto, lasciando un grumo irrisolto nei
rapporti fra sicurezza e libertà anche nelle democrazie contemporanee.
La permanenza del grumo la si avverte proprio nelle situazioni nelle
quali la sicurezza appare a repentaglio, non per le “ordinarie”
scorrerie della ordinaria criminalità, ma per eventi o vicende di più
generale portata, che rivolgono la loro minaccia contro i pilastri
stessi del regime democratico: l´attacco bellico di uno Stato ostile,
moti eversivi interni e al limite lo stesso dilagare della criminalità
comune, oggi il terrorismo internazionale. In tali situazioni, non solo
si hanno restrizioni della libertà di tutti i cittadini, che essi sono
indotti ad accettare proprio perché ne avvertono la connessione con la
sicurezza a rischio (il coprifuoco, i controlli per salire su un aereo,
i blocchi stradali) ma restrizioni più intense sono riservate a coloro
che vengono ricondotti al “nemico”; e non soltanto a chi si manifesta
come tale, ma anche a chi si sospetta possa essere dalla sua parte (gli
italiani e i giapponesi chiusi negli Stati Uniti in campi di
concentramento durante la seconda guerra mondiale). E´ qui che il grumo
risalente alla antica distinzione fra cittadini e barbari si fa
cogliere nel modo più evidente. Ed è così che la contraddizione fra
sicurezza e libertà riemerge nella stessa democrazia liberale.
Come
arginarla? Gli addetti ai lavori sanno che gli argini sono costituiti
da due diversi principi, da un lato il principio di proporzionalità,
dall´altro l´irrinunciabile rispetto per taluni diritti fondamentali,
imposto da quella universalità degli stessi diritti, che ci distingue,
o ci dovrebbe distinguere, dagli antichi. Le restrizioni che possono
investire la generalità dei cittadini e quindi le potenziali vittime
degli attentati alla sicurezza, sono sufficientemente calibrate, e
quindi arginate, dal principio di proporzionalità, di cui gli stessi
cittadini, i loro rappresentanti elettivi e autorità ad hoc che
tutelano questa o quella libertà, sanno farsi interpreti e ascoltati
difensori. Vi sono così restrizioni alle quali, in parte in ragione
della criminalità, in parte crescente in ragione del terrorismo, ci
stiamo abituando, dalle telecamere che ci vedono in tanti momenti della
nostra vita privata, al divieto di portare forbicine in aereo, sino
alle impronte digitali, che una volta pensavamo riservate a coloro che,
fra noi, si trasformavano in “barbari” e che oggi cominciamo a vedere
come una tutela della nostra identità. Ve ne sono tuttavia altre sulle
quali il rispetto della proporzionalità è tutt´altro che pacifico.
L´Europa, e il suo Parlamento, hanno ritenuto che l´insieme dei dati
personali richiesti dagli Stati Uniti sui passeggeri in volo verso i
loro aeroporti andasse oltre misura. Al contrario la stessa Europa
sembra pronta ad andare oltre misura con il proposito di mettere sotto
controllo tutti i messaggi e-mail e sms, un proposito che appare oltre
misura, se non altro perché la gigantesca banca dati che ne uscirebbe
andrebbe oltre la nostra stessa capacità di farne un uso efficace.
Se ci chiediamo il perché di queste contraddizioni, ci accorgiamo
che esse si devono al fatto che le aree in cui si manifestano sono
prevalentemente quelle di confine, in cui chi propone la restrizione
non pensa all´impatto sulle potenziali vittime, ma vede coloro a cui la
restrizione è destinata esclusivamente come potenziali autori degli
attentati. Ed è qui che scatta la dicotomia cittadini/barbari: in
quanto concepita per gli “altri”, la restrizione tende per ciò stesso a
varcare i confini della proporzionalità, incontra, laddove viene
proposta, una dialettica meno accesa e l´unico vero argine dovrebbe
essere a quel punto il secondo di cui dicevo, e cioè l´universalità di
taluni, fondamentali diritti.
Ma qui il principio di universalità deve fare i conti con i
principi che nella storia hanno permesso di accantonarlo o sospenderlo.
Si dice infatti che non può esserci libertà per i nemici della libertà
e che la democrazia non può mettere a rischio se stessa, riconoscendo
libertà e diritti a chi la vuole distruggere. Nelle situazioni di
maggiore pericolo e di più diffusa paura, sono questi i principi più
popolari e diventa “anti-patriottico” metterne in discussione le
applicazioni più estreme, chiedere se sono davvero necessarie e se
valgono la lacerazione di diritti che le nostre Costituzioni
riconoscono a tutti. Il che è accaduto e accade in due direzioni: da
una parte nell´uso che viene fatto di restrizioni di per sé
ammissibili, dall´altra nella messa in campo di restrizioni che non
rispettano neppure lo zoccolo minimo dei diritti umani. Era forse
ammissibile che vi fossero negli Stati Uniti campi di concentramento
per cittadini degli stati nemici nella seconda guerra mondiale. Non fu
ammissibile che vi finissero tanti italiani e giapponesi più che leali
alla bandiera a stelle e strisce. E´ ammissibile che vi siano centri di
permanenza per immigrati su cui sono in corso accertamenti. Non è
ammissibile che valgano in essi condizioni di tipo carcerario. Non è in
nessun caso ammissibile, infine, che vi siano prigioni come Guantanamo,
dove sono negati gli stessi diritti che hanno i prigionieri di guerra,
in nome di una superiore immunità del Presidente degli Stati Uniti, che
non ha alcun fondamento nelle convenzioni internazionali e nella sua
stessa Costituzione.
Ma la forza del vecchio grumo è proprio qui. Il principio della
universalità dei diritti deve la sua grandezza al fatto che chi li
proclama non li riconosce soltanto a se stesso, ma li riconosce a
qualunque essere umano. Purtroppo però dentro di noi l´adesione a tale
principio è inversamente proporzionale alla paura che abbiamo per noi
stessi. Quanto più questa cresce, tanto meno siamo sensibili ai diritti
degli altri (ed entro certi limiti anche ai nostri). E allora? Non
dobbiamo difendere la nostra sicurezza? Guai se non lo facessimo. Ma
quando lo facciamo a scapito dei diritti di altri, non ci dimentichiamo
mai che anche noi siamo “gli altri degli altri”; e che come tali gli
altri ci vedono.