Sono strane certe reazioni giubilanti della destra italiana all’elezione di Nicolas Sarkozy: ecco finalmente un Presidente francese che seppellisce l’Europa politica e la volontà di darle istituzioni sovranazionali, si sente proclamare. Ecco una nuova alleanza anglo-francese che al posto della vecchia idea d’Unione mette una nuova zona di libero scambio, nella quale gli Stati manterranno intatta la loro sovranità assoluta e la cui natura sarà atlantica e pro-americana. Giulio Tremonti guarda a quest’immaginaria rovina e sembra gioirne perché non la ritiene una rovina bensì un’opportunità. L’ex presidente del Senato Marcello Pera ha scritto su questo giornale che «morti il fascismo, il nazismo e, alla fine e per grazia di Dio, anche il comunismo, l’europeismo è l’ultimo (nel senso di più recente) rifugio ideologico dell’Europa, soprattutto quella di sinistra e soprattutto quella che, da sinistra, l’aveva sempre osteggiata quando era atlantica e voleva essere cristiana». Le destre italiane fanno proprio questo funebre canto sconnesso, e in Sarkozy vedono il loro nuovo messia.
Sbagliano radicalmente tuttavia, e in Francia solo Le Pen, oggi, potrebbe sottoscrivere a fatica una dottrina come quella di Pera. Giubilare per l’atlantismo anti-europeo pronto a insediarsi all’Eliseo vuol dire non conoscere Sarkozy, non conoscere la storia della destra francese, e ignorare infine la profonda mutazione avvenuta nel gollismo sotto la guida ferrea del neo eletto capo dello Stato. Naturalmente è possibile che Sarkozy ritorni sulle proprie idee, rinunci a quello che ha detto negli ultimi mesi e anni, metta da parte i consiglieri che l’assistono nell’elaborazione della politica europea. Involuzioni simili accadono spesso, in Francia e altrove. Nessuno può dire quel che accadrà, ma a giudicare da quel che è stato detto e scritto nella campagna elettorale si può dire che la diagnosi delle destre italiane è fuorviante per i seguenti motivi.
Primo: Sarkozy ha compiuto un cruciale passo avanti sulla strada dell’europeismo, durante la campagna e in occasione del duello televisivo con Ségolène Royal, sostenendo una tesi che per i gollisti è un’assoluta novità: se l’Unione europea non funziona questa la tesi è perché gli Stati nel processo di decisione impongono sistematicamente il voto all’unanimità anziché alla maggioranza, il che spiega la paralisi europea («Il diritto di veto è la regola più sicura per non trovare mai un compromesso e immobilizzare l’Europa», dice Sarkozy). Non è poca cosa. Accettare vaste estensioni del voto a maggioranza riduce il potere di veto, quindi la sovranità assoluta degli Stati-nazione. Sarkozy non lo dice, ma di fatto supera il compromesso di Lussemburgo, che De Gaulle impose nel 1966 alla Comunità reintroducendo il voto all’unanimità. L’abolizione dell’unanimità è proposta da Sarkozy per politiche tutt’altro che marginali: energia, immigrazione, sicurezza. Sono politiche che dovranno a suo parere divenire di competenza comunitaria, ed esser sottratte alle sovranità nazionali. Per politica estera e difesa non si giunge a tanto ma il neo Presidente favorisce le cooperazioni rafforzate: chi vuol creare una politica comune ha la facoltà di concordare trattati, e chi nell’Unione si oppone non potrà bloccare l’iniziativa. Anche in tal caso il veto è eliminato, e al suo posto subentra la cosiddetta clausola dell’astensione, detta anche opt out.
Secondo: Sarkozy non intende affossare la Costituzione ma salvarne le parti essenziali e cioè istituzionali. Il mini-trattato che vuol sottoporre a ratifica parlamentare (era l’unico candidato a non volere il referendum) in realtà non è affatto mini: esso include nella loro interezza la parte prima e seconda del progetto di costituzione (istituzioni e Carta dei diritti). La parte terza (politiche comuni) viene scartata, tranne le disposizioni legate al funzionamento delle istituzioni. Detto in parole semplici: nel mini-trattato si tratta di separare quel che è istituzionale, nel progetto originario, da quel che concerne le politiche comuni. Le vere costituzioni sono proprio questo: fissano le regole, non le politiche auspicate. Fu il governo inglese a introdurre questa confusione, nella Conferenza Intergovernativa. Il progetto dei convenzionali non conteneva la parte terza e a questo progetto si tornerebbe, che Londra osteggiava. Si verrebbe incontro anche agli elettori francesi, che secondo gli uomini di Sarkozy hanno detto no alle politiche comuni, non alle istituzioni. Il mini-trattato si chiamerà istituzionale ma somiglia a un abbozzo di costituzione.
Terzo: Sarkozy osteggia nuovi allargamenti, in particolare alla Turchia che non considera un paese europeo. La posizione può non essere condivisibile (la Turchia è un misto di Europa e Asia) ma i motivi addotti sono non poco convincenti: in assenza di istituzioni forti e di un’Europa politica, l’ingresso d’un paese così grande può essere distruttivo. Anche su questo punto le sue proposte non sono quelle di chi vuole una zona di libero scambio e ulteriori allargamenti, in Inghilterra e Polonia.
Quarto: i consiglieri di Sarkozy su queste questioni sono europeisti convinti, niente affatto atlantici o filo-britannici. Fra essi i deputati Alain Lamassoure e Pierre Lequiller, entrambi appartenenti al partito del capo dello Stato (UMP, Unione per un movimento popolare) e presenti nella Convenzione europea. Il mini-trattato di Sarkozy è stato elaborato da Pierre Lequiller, ed è uno dei documenti più europeisti scritti ultimamente in Francia. Forse sarà modificato, ma forse no. Sono consiglieri più arditi in materia europea del partito socialista: una conferma di quanto sia cambiato il gollismo francese. La maggioranza schiacciante dell’Ump ha votato sì al referendum del 29 maggio 2005, mentre il socialismo, che pure aveva solide radici europeiste, si è spaccato ed è regredito. Il principale consigliere di Ségolène Royal, Arnaud Montebourg, fu un capofila del fronte del No.
Quinto: la destra italiana sostiene che essendo Sarkozy un patriottico è di conseguenza un nazionalista, un antieuropeo, e un atlantico. Singolare sillogismo. Si dimentica che l’enfasi patriottica è diffusa in Francia, equamente divisa fra sinistra e destra. E si trascura una novità, apparsa in ambedue i campi durante la campagna. Sarkozy ripete
da tempo che la Francia non è più il modello che era, né in economia né nell’efficienza dello stato sociale né nei rapporti col mondo. Se c’era una cosa che l’accomunava a Ségolène, durante la campagna, era il continuo riferirsi a modelli non francesi: al modello britannico ma anche e prevalentemente ai modelli del Nord Europa, dove il rigore finanziario si combina oggi con la preservazione dello stato sociale. Sesto: l’Europa atlantica non è la meta cui aspira Sarkozy, nonostante molte accuse che gli sono rivolte da sinistra. Certo le sue relazioni con le amministrazioni Usa cambieranno: Parigi avrà un comportamento meno ombroso, chiuso.
Sarkozy condivide la scelta di non partecipare alla guerra in Iraq: la sua critica a Chirac riguarda il modo l’arroganza, l’isolazionismo inefficace che ha diminuito il ruolo della Francia e non la sostanza. Anche su altri temi Sarkozy si distanzia da Washington. La sua visione economica è più statalista dell’americana, anche se i propositi liberisti non mancano. Su due altri punti poi l’opposizione è netta. Il nuovo Presidente vuol ritirare i propri soldati dall’Afghanistan (dichiarazione del 26 aprile), e avversa l’inazione Usa sul clima. Questa, riassumendo un po’ schematicamente, la visione odierna di Sarkozy. Questi i fatti concreti con cui i governi italiani si misureranno. Chi per professione ignora i fatti potrà inventarsi un quadro diverso. Ma sarà un quadro inventato e che disinforma, utile a un partito forse, ma non all’Italia né all’Europa.