Se si legge con cura il pur striminzito programma elettorale della Casa
delle Libertà si scopre che l’unica proposta di copertura del suo costo,
ammontante alla ragguardevole cifra di 35 miliardi di euro e passa, è una
abnorme alienazione del patrimonio pubblico che, contrabbandata a riduzione del
debito dello Stato, in realtà lo amplierebbe a dismisura portando all’apogeo gli
esperimenti di «finanza creativa» tanto amati da Tremonti. Risulta, dunque,
doppiamente surreale l’aggressione all’Unione portata dai leader della Cdl sul
tema del finanziamento della riduzione del cuneo contributivo proposta da Romano
Prodi, un’aggressione rispetto alla quale non basta sottolineare la
irresponsabilità della campagna terroristica lanciata dalla destra sulla
tassazione dei titoli di Stato, la quale si configura come una vera e propria
turbativa di mercato. Ci troviamo, infatti, di fronte ad una operazione
mediatica spudorata.
Un’operazione messa in atto da chi ha portato il Paese di nuovo sull’orlo
del default, con la ripresa della crescita del debito e l’azzeramento
dell’avanzo primario, e ora presenta un programma elettorale che costa alcune
decine di miliardi di Euro indicando, nei fatti, un’unica sciagurata ipotesi di
copertura: alienare una quota elevatissima di patrimonio pubblico comprensiva di
importanti beni culturali, con l’obiettivo, fittizio, di ridurre il debito dello
Stato e, in realtà, mediante operazioni di finanza creativa da cui ricavare
margini di “spesa allegra”, di dilatarlo ulteriormente.
Leggiamo quanto testualmente scritto nel punto n. 5 del programma della
Cdl. Vi si ricava che la sola concreta copertura indicata è una gigantesca
operazione di debt-equity swap, l’altra proposta (e cioè la riduzione del 30%
dell’evasione fiscale) essendo assolutamente priva di credibilità, quando ad
avanzarla è chi ha ridotto appena dello 0,6% la pressione fiscale aumentando,
però, l’evasione con condoni – venti fattispecie diverse di una medesima
tipologia condonativa per il solo anno fiscale 2003! – e scudi fiscali,
attraverso i quali ai capitali portati illegalmente all’estero è stato
consentito di regolarizzarsi pagando un obolo del 2,5% e mantenendo l’anonimato
(la Germania ha fatto ricorso ad aliquote dal 25% in su ed ha imposto
l’abolizione dell’anonimato).
Lo schema di swap adottato dalla Cdl non è descritto nei dettagli, anche
per non allarmare ancor più le già tanto preoccupate – al di là del loro
caratteristico fair play diplomatico – autorità di Bruxelles, le quali non a
caso insistono sulla difficile realizzabilità di molte delle misure contenute
nell’ultima finanziaria, mentre, nell’attesa della cosiddetta Trimestrale di
cassa, si sa che basterà il ridimensionamento della crescita del Pil appurato
per il 2005 e il 2006 ad aggravare ulteriormente tutti gli indicatori di finanza
pubblica, a partire dal deficit rispetto al Pil, formalmente ad oltre il 4%,
effettivamente ben oltre il 5%. Nonostante la mancanza di dettagli – che pure un
confronto ragionato richiederebbe – si evince chiaramente che lo schema di swap
ricalca la proposta di privatizzazione del patrimonio pubblico formulata lo
scorso anno dal professor Giuseppe Guarino. L’idea è quella di conferire il
coacervo di tutti i beni mobili e immobili pubblici ad una Spa che avrebbe il
compito di valorizzare il patrimonio affidatole e collocare le proprie azioni
sui mercati finanziari, destinando il ricavato della vendita dei titoli a
riduzioni del debito. Tenuto conto che soltanto una parte limitata dei beni
conferiti sarebbe agevolmente alienabile, per gli altri (uffici pubblici, beni
culturali ecc.) si ricorrerebbe al lease back, cioè i beni verrebbero alienati
mantenendone però la disponibilità dietro pagamento di un canone da versare
all’acquirente. Ciò evidentemente creerebbe una possibilità di formazione di
debito pubblico “occulto”, a proposito della quale depongono sfavorevolmente i
numerosi episodi di cartolarizzazioni in cui è già avvenuto, nel quinquennio che
abbiamo alle spalle, che Fintecna (società interamente posseduta dal Tesoro)
fosse costretta a partecipare alle aste comperando, a condizioni assai poco
remunerative, tutto l’invenduto. Del resto, gli ammontari in gioco sono enormi,
benché ci sia da rilevare che la cifra indicata nel programma della Cdl, 700
miliardi, diverga in modo rilevante da quella suggerita da Guarino, 430
miliardi, cifra, a sua volta maggiore dell’avanzo patrimoniale stimato da
Patrimonio dello Stato s.p.a. in 387,2 miliardi, la quale include il 70% degli
immobili per usi governativi e collettivi e il 30% dei beni di valore culturale,
Colosseo compreso.
Se la evocazione della vendita del Colosseo ricorda il famoso film di Totò,
il dibattito che si è sviluppato sulla proposta Guarino ha messo ampiamente in
luce problematicità molto serie, sotto i profili finanziario, di governo
societario e di collocamento delle azioni. Lo schema Guarino fissa al 3% il
rendimento sui beni ceduti e riaffittati, cioè circa 0,7 punti in più del tasso
marginale della media degli strumenti di debito del Tesoro, il che vuol dire
che, nel lungo periodo, si rischia di creare, anche e soprattutto per questa
via, un debito maggiore di quello abbattuto. Si propone un’unica società con una
fortissima concentrazione di potere, poichè il megaconglomerato disporrebbe di
un patrimonio pari a 2,5 volte quello di tutto il sistema bancario italiano. Non
meno preoccupante è poi tutta la tematica del collocamento dei titoli sui
mercati finanziari, rispetto alla quale la ventilata moral suasion, che dovrebbe
iscriversi in una libera scelta di mercato, sconfina in una chiamata
patriottica: si inviterebbero, infatti, i risparmiatori a comprare le azioni
della società, anche rinunciando ad investimenti più remunerativi per salvare la
Patria. Tenuto conto che quasi il 50% del debito italiano è detenuto da
stranieri non interessati a motivazioni patriottiche, tale operazione per avere
successo dovrebbe configurarsi come una vera e propria conversione forzosa del
debito pubblico, con tutte le implicazioni negative che si possono
immaginare.
Naturalmente la Cdl ha ignorato del tutto questo dibattito ed ha assunto
l’idea del debt-equity swap come una medicina miracolosa capace di farci
scrollare di dosso senza sacrifici il fardello del nostro gigantesco debito. Si
tratta del canto del cigno della finanza creativa di Tremonti in cui si
sbaglierebbe, però, a vedere solo l’ennesimo vergognoso imbroglio delle destre.
C’e di più e di peggio: si conferma, infatti, la vocazione della destra a far
confluire in una miscela esplosiva «decisionismo centralistico» e
«neoliberismo», il primo volto a piegare a interessi privato-affaristici gli
strumenti statali, il secondo mirato ad imporre lo scambio di mercato come
criterio assoluto. Per questo anche su questi temi l’Unione deve passare
all’offensiva e dire con forza che, se le destre vincessero, con una simile
proposta verrebbe “bruciato” l’intero patrimonio pubblico, riprenderebbe fiato
il partito della spesa facile, l’Italia marcerebbe lungo una deriva di tipo
argentino.