6 Settembre 2006
La destra afona
Autore: Luigi La Spina
Fonte: La Stampa
TUTTE le sconfitte provocano sbandamenti tra le truppe e una crisi tra i comandanti. Ma le mezze sconfitte sono ancora peggio. Perché è più difficile accettare un verdetto incerto fino all’ultimo minuto, non rimuginare sterilmente sulle occasioni sprecate per acciuffare una vittoria che era possibile, rassegnarsi a una rivincita non immediata.
E’ quello che sta capitando all’opposizione e al suo comandante supremo, Silvio Berlusconi. Così, il forfait dell’ex presidente del Consiglio al confronto con Rutelli, spiegato con un improvviso calo di voce, al di là della fondatezza della motivazione, è apparso come la metafora simbolica di una malattia sicuramente vera: l’afonia del centrodestra italiano.
Il ricordo di quanto avvenne dieci anni fa, all’epoca della prima vittoria di Prodi contro Berlusconi, dovrebbe suggerire una certa cautela. Anche allora ci fu un iniziale periodo di scompiglio e di confusione in quello schieramento. Si disse che il leader di «Forza Italia» non aveva voglia o non sapeva interpretare il ruolo dell’oppositore. Si affacciarono presunti e velleitari eredi. Passato un po’ di tempo, Berlusconi smentì le previsioni e deluse le attese degli improbabili successori. Intraprese una lunga «traversata nel deserto» e riconquistò Palazzo Chigi.
Il copione si ripeterà anche questa volta? L’imprevedibilità del protagonista è tale che è azzardato formulare pronostici. L’esperienza suggerisce, però, non solo che, a dispetto di Vico e dei suoi epigoni più moderni, la storia non ama le repliche, ma che questa volta, appunto, sono passati 10 anni e Berlusconi festeggerà tra pochi giorni il suo settantesimo compleanno.
Un’età che, vista la gerontocrazia imperante nella nostra classe politica, di per sé non potrebbe negargli tutto il tempo di preparare la riscossa, ma che appartiene a un personaggio assolutamente atipico rispetto alla tradizionale nostra nomenclatura, per biografia, per temperamento e stili di vita. Ecco perché coesistono, non sono in contraddizione tra loro e possono essere validamente sostenute due tesi sull’afonia di Berlusconi e, quindi, di tutto il centrodestra italiano.
La prima, che potremmo battezzare come «minimalista», spiega l’improvvisa crisi vocale berlusconiana come una comprensibile incertezza di comportamenti: la ridottissima maggioranza al Senato e le diversità politiche all’interno della coalizione prodiana potrebbero portare, nelle speranze degli sconfitti, a una crisi di governo tra qualche mese. In questo caso, si potrebbe aprire la strada per quella «breve intesa» tra i due schieramenti, preconizzata da Tremonti e da Bondi con varie definizioni, ma con l’identica sostanza: quella di un ministero di Salute pubblica.
Con il compito di attuare solo tre o quattro riforme fondamentali e, poi, portare a nuove elezioni. Questa prospettiva consiglierebbe Berlusconi a usare una certa cautela nell’attacco al centrosinistra, per non esasperare i contrasti, rendendola così impossibile. Se la durata del governo Prodi si prolungasse per tutta la legislatura, i toni dell’opposizione, invece, andrebbero induriti per preparare le condizioni di nuovo, drastico cambio di stagione politica.
Il dubbio strategico ci sarà anche nella mente di Berlusconi, ma la sua afonia settembrina non può essere giustificata solo da questo motivo. E’ possibile che, nel frastuono dei suggerimenti che gli fioccano in questi giorni dai suoi fan e dai suoi consiglieri, più o meno autorizzati a tale compito, si nasconda la consapevolezza di una vera e propria crisi di leadership nel centrodestra.
Omologare la personalità del leader di «Forza Italia» a quella degli altri protagonisti della nostra vita politica è un errore, come è un errore farlo per il suo partito e per i modi di quella fantomatica successione di cui tanto si parla e meno si vede. E’ difficile che Berlusconi, dopo l’ebbrezza delle pacche sulle spalle con Putin e con Bush e delle intimità esibite sul palcoscenico dei «grandi» della Terra, si accontenti di passare il suo tempo a escogitare trappole parlamentari per far cadere Prodi.
«Forza Italia» non è come la Dc, pronta a sopravvivere al carosello di qualsiasi nuovo leader, perché non è fortemente radicata sul territorio e non è strutturata come un vero partito di massa. Il sistema politico italiano, infine, non è più quello della prima Repubblica: non è più il partito che crea la leadership, ma è il contrario.
Questo vale non solo per Berlusconi, ma anche per altri protagonisti della seconda Repubblica. Basti citarne due: Prodi, alla ricerca del suo partito democratico e, nell’altro schieramento, Fini, alla ricerca, finora infruttuosa, di trovarne anche lui uno, vista la sua sempre più evidente estraneità rispetto ad An.
Ecco perché sarà impossibile, per chiunque, ereditare pacificamente il tesoro politico creato da Berlusconi, come un dono da lui graziosamente elargito o come il colpo di fortuna e di abilità di chi si è trovato, al momento giusto, nel posto giusto. Ci vorrebbe la proposta di una strategia politica diversa, di una ipotesi culturale e sociale alternativa a quella di Berlusconi per una nuova destra italiana.
Ci vorrebbe il coraggio di proporla con decisione e personalità. All’orizzonte, per ora, non si vede chi abbia voglia, capacità intellettuale e carisma politico per lanciarsi in una simile impresa. Del resto la destra, in Italia, ha sempre faticato a trovare un leader. E quando l’ha trovato, forse non era quello che la destra cercava.