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26 Aprile 2005

La democrazia fluida

Autore: Ilvo Diamanti
Fonte: la Repubblica

LA CRISI e la stessa formula usata per definire il nuovo governo: il Berlusconi-bis, inducono molti commentatori a evocare i riti e i linguaggi della prima Repubblica. Non è così. Un tempo, si ricorreva alle crisi e ai rimpasti per aggiornare gli equilibri “interni” alla coalizione.

I rapporti di forza tra i partiti o fra le correnti. Oggi, invece, la crisi riflette l´esigenza della coalizione di governo e dei partiti che ne fanno parte, di ricostruire il rapporto con la realtà “esterna”.

Per rimediare a una situazione che vede l´attuale maggioranza parlamentare ridotta a minoranza fra gli elettori. In vista delle prossime elezioni politiche. È qui la differenza. Ieri il sistema politico era bloccato, senza possibilità di alternanza.

Oggi, invece, la competizione elettorale è aperta. Fluida. Siamo in tempi di “democrazia fluida”. Perché “fluido” è l´andamento delle consultazioni, “fluido” il comportamento elettorale. Perché non ci sono più ideologie, paure, regole che possano “congelare” le scelte elettorali dentro i confini di uno schieramento.

Né stabilizzare la geografia politica del paese. Si tratta di un cambiamento profondo, consumato in pochi anni. Al punto che non ce ne siamo resi conto davvero. Cinque anni fa, alle soglie del nuovo millennio, la transizione sembrava finita.

Il centrodestra aveva, allora, conquistato la maggioranza delle regioni. E aveva vinto le elezioni politiche del 2001, con un risultato clamoroso, dal punto di vista dei seggi (molto più equilibrato sotto il profilo dei voti). Si pensava, allora, a una nuova era.

L´era di Berlusconi. Caratterizzata da una nuova stagione di “stabilità” elettorale, paragonabile alla prima Repubblica. D´altra parte, gli sconfinamenti da uno schieramento all´altro, fino ad allora, erano apparsi poco significativi.

Il successo di una coalizione dipendeva dall´ampiezza e dall´eterogeneità dei partiti che ne facevano parte molto più che dalla capacità di attrarre gli elettori dell´altro schieramento.

L´era-Berlusconi, invece, è stata scossa da una progressiva instabilità dei rapporti tra coalizioni, partiti ed elettori: sul piano territoriale e del comportamento di voto individuale. 1. È cambiato, profondamente, il paesaggio politico italiano, in pochi anni. Dal 2002 ad oggi si è votato in 87 province.

In partenza quelle amministrate dal centrosinistra erano 55. Oggi sono 65. E, fra le altre, 2 (Sondrio e Treviso) sono governate da una maggioranza monocolore leghista. Nell´ultimo anno (dal 2004 a oggi), poi, si è votato in quasi 300 comuni (297, per la precisione) con più di 15mila abitanti.

Prima delle consultazioni, il centrosinistra governava già in 189 comuni, oggi in 216. Quanto alle regioni, il dato è sotto gli occhi di tutti. Rispetto al 2000, i rapporti di forza tra coalizioni si sono rovesciati. Allora il centrosinistra governava nelle quattro regioni dell´Italia centrale, a tradizione di sinistra e, inoltre, in Campania e in Basilicata.

Oggi, invece, è maggioranza quasi dovunque: in 12 delle 15 regioni a statuto ordinario. Al centrodestra sono rimasti il Lombardo-Veneto e, inoltre, Sicilia e Molise (dove, però, non si è votato).

Fra le regioni a statuto speciale, il centrosinistra, nel frattempo, ha “conquistato” il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna e si è confermato nella provincia autonoma di Trento. Mentre in Val d´Aosta e in provincia di Bolzano governano forze autonomiste, sicuramente non amiche del governo.

Certo, le elezioni amministrative e regionali non sono “politiche”, ma assumono sempre significato “politico”. Soprattutto quelle regionali. Tanto che, in questa occasione, al pari del 2000, hanno prodotto una crisi di governo.

Nell´insieme, però, sottolineano come in pochi anni si sia delineato un nuovo paesaggio politico. Il voto alle elezioni europee dello scorso anno lo conferma. Anche se il confronto con le precedenti, del 1999, non lo rende del tutto evidente.

Nel 1999, infatti, il centrodestra aveva appena iniziato la sua “rincorsa” elettorale, che sarebbe proseguita alle regionali del 2000 per concludersi con il successo alle politiche del 2001.

Tuttavia, alle europee del 2004 il centrosinistra raggiunge il centrodestra. Per la prima volta, se si fa riferimento al voto proporzionale. Cresce del 3,2% rispetto alle europee del 1999 e dell´1,6% rispetto alle politiche del 2001. Mentre il centrodestra è stabile, rispetto al 1999, ma perde il 4% rispetto al 2001.

So che è faticoso seguire questa complessa sequenza di cifre. Ma recitarla restituisce bene, più di molti ragionamenti, l´immagine dell´instabilità del nostro tempo politico. In parte dettate dalle nuove regole elettorali “maggioritarie”, che impongono la logica delle alleanze e rendono esplicito il bilancio di chi vince e chi perde.

Tuttavia, questa instabilità riflette anche cambiamento più profondo, che scava nel rapporto fra elettori e politica e si traduce in una accresciuta “mobilità” degli elettori. Secondo l´Osservatorio Ispo, di Renato Mannheimer, alle recenti elezioni regionali il 20% degli elettori ha deciso per chi votare solo il giorno del voto.

Un altro 12% nella settimana precedente. Lo stesso Renato Mannheimer stima che il 20% degli elettori che alle politiche del 2001 avevano votato per il centrodestra, alle regionali abbiano scelto diversamente: preferendo metà il centrosinistra, l´altra metà l´astensione. Ipsos, a sua volta, indica nel 4% la quota del voto ceduto dal centrodestra al centrosinistra, solo parzialmente recuperato dai flussi in entrata (1% circa).

E, ancora l´Ipsos, nel descrivere il profilo sociale dei “transumanti” – pensionati, casalinghe, lavoratori autonomi – , ne coglie alcuni dei motivi mobilitanti: l´incertezza, la vulnerabilità sociale, la sfiducia nel presente e nel futuro. Siamo, dunque, entrati in una “democrazia fluida”.

Caratterizzata dalla crescente disponibilità degli elettori a “cambiare” voto. E dalla crescente incertezza nella decisione (da cui dipende la tendenza a dilazionare i tempi della scelta).

Una democrazia fluida: nella quale si può votare diversamente in diversi tipi di elezione: regionali, piuttosto che amministrative o politiche. Fra le diverse cause che hanno contribuito a questo “scongelamento” delle fedeltà politiche, ne indichiamo tre, particolarmente importanti, in occasione delle elezioni recenti.
1. La personalizzazione, che si è riprodotta a ogni livello. A partire dai contesti locali. Così che gli elettori si sono abituati a votare, oltre che per appartenenza, interesse o opinione, anche sulla base dell´identificazione con il leader. Luigi Di Gregorio, al proposito, ha parlato di “voto personalizzato e o populistico”.

2. La ripresa del voto di scambio, soprattutto nel Mezzogiorno, dove, come ha sottolineato Mauro Calise, il voto ai partiti coincide ormai quasi integralmente con il voto ai candidati consiglieri. Con percentuali di “preferenze espresse” oltre la soglia del 90%.

3. A livello più generale e “fondamentale”: il ridimensionamento di Berlusconi, della sua capacità di dividere e di aggregare. Di imporsi come metro e misura del nostro piccolo mondo. Di spaccare gli elettori in due: berlusconiani e/o comunisti.

Così, cambiare partito, ma anche coalizione, è divenuto meno difficile, meno drammatico, più normale; tanto più quanto più lo si pratica, senza drammi, a livello locale e regionale. Personalizzazione, voto di scambio, organizzazione, sberlusconizzazione: accentuano la “fluidità” degli elettori. Soprattutto dei meno politicizzati.

Gli elettori moderati di “centro”, naturalmente (come ama ripetere Giovanni Sartori); ma anche i “non allineati”, i più “esterni” rispetto all´alternativa fra destra e sinistra. I più sensibili al richiamo personalista e populista e, al tempo stesso, i più esposti all´incertezza economica e all´insicurezza sociale.

Il punto di svolta di questo processo si è realizzato nel 2004, quando la mobilità elettorale, alle europee, si è associata a un sensibile cambiamento dei governi locali, alle amministrative. Quest´anno, le elezioni regionali e la successiva crisi di governo l´hanno reso definitivo ed evidente.

Ma, soprattutto, hanno chiarito che dovremo abituarci a convivere con l´instabilità politica. Che non è un “vizio”, una anomalia, ma il “carattere costitutivo” di un mercato elettorale aperto e concorrenziale.

Il distintivo della “democrazia fluida”. Per questo, chi, nei risultati delle elezioni regionali, vede il segno di una vittoria annunciata, per il centrosinistra, probabilmente ha sbagliato occhiali. Usa lenti vecchie e consumate. È meglio che si affretti a cambiarli. Altrimenti rischia di perdersi. E di perdere.