2222
23 Marzo 2006

La debolezza dei poteri forti

Autore: Gianfranco Pasquino
Fonte: l'Unità

I poteri forti esistono e non sono affatto anonimi. Non sono neppure stupidi, ma qualche volta sbagliano (e, purtroppo, i loro errori li paghiamo tutti). Non possiamo avere dubbi: gli Usa (e il loro Presidente) sono un potere forte. Vale, dunque, la pena pagare l’omaggio di una visita, come ha fatto Berlusconi, per intascare un qualche capitale politico, spendibile, in termine di immagine, nella campagna elettorale.

In Italia, i poteri forti sono da sempre gli stessi: la Confindustria e il Vaticano. Anche loro hanno fatto e continuano a fare i loro errori. Il sostegno totale del presidente D’Amato a Berlusconi nel 2001, in particolare, ma non soltanto, nella furibonda battaglia contro l’art. 18, l’abbiamo pagato tutti, Berlusconi compreso, in termini di produttività e, alla fine, anche di mancata soluzione del problema della mobilità del lavoro. Adesso, i vertici di Confindustria hanno cambiato appena appena la linea e più prudentemente non si sono schierati.

Questo non schieramento è stato interpretato da Berlusconi come una deriva a favore di Prodi e, allora, il presidente del Consiglio ha pensato che tanto valeva contarsi in Confindustria dove, per sua scelta, ha sempre contato poco, e di spaccare la Confederazione o almeno i suoi vertici.

Non c’è dubbio che, per molte ragioni, alcune delle quali anche comprensibili, gli industriali non sono affatto inclini ad appoggiare un governo di centro-sinistra. La loro forza consiste nell’opporsi a scelte che non gradiscono.

Dunque, ha ragione Prodi: gli industriali potranno anche non votarlo, ma la sua disponibilità a concertare riuscirà probabilmente a condurre a buon esito i disegni di legge rilevanti concertati, non senza contraddizione, anche con i sindacati.

Berlusconi ha altre idee che non portano alla concertazione, ma, come gli industriali hanno capito, neppure a buone decisioni. Lui vuole impedire loro di concertare. Vedremo se con il suo mirabolante intervento ha convinto, non le loro viscere, che sono tutte con lui, ma le loro teste che ragionano (magari sbagliando) in termini di scelte economiche.

Il Cardinale Ruini si è, invece, un po’ montato la testa. Continua a pensare di avere vinto un referendum, mentre, al massimo, ha convinto, grazie all’aiuto della Casa delle Libertà e, purtroppo, della Margherita, un numero non elevato di elettori, probabilmente non tutti cattolici, al non voto: la più facile e meno costosa delle opzioni.

È tornato ad incoraggiare al non voto, intimando un po’ a tutti, ma soprattutto ai cattolici di non votare chi vorrebbe introdurre una diversa concezione di famiglia e vorrebbe lasciare, anche agli stessi cattolici, libertà di scelta in materia di procreazione, di vita e di morte.

«Cattolici», dice a chiarissime lettere il Cardinale Ruini, «ci sono dei partiti che non dovete votare». Personalmente, non credo che sia un’interferenza. Ruini è da tempo un attore della politica italiana che fa la sua parte.

Non mi stupisco neanche che nella Casa delle Libertà ci siano molti difensori, più o meno credenti e opportunisti, delle famiglie. Alcuni di quei leaders sono, infatti, in grado di rivendicare la difesa di più di una famiglia…

Quello che rende Ruini un potere forte non sono le divisioni composte da elettori cattolici, molti dei quali si sono già comportati e ancora si comporteranno in maniera difforme. È, invece, l’enorme battage pubblicitario che accompagna le sue dichiarazioni.

È, inoltre, l’ossequio, interessato a un pugno di voti, con il quale troppi politici italiani, ahimé, anche nel centrosinistra, rispondono al cardinale. Faccio alquanta fatica a pensare che l’elettorato cattolico, sicuramente non un blocco monolitico, ritenga di dovere votare tenendo conto esclusivamente delle tematiche indicate da Ruini (qualche tempo fa vi avremmo trovato anche la difesa della italianità/cattolicità delle banche).

La risposta alla politica di Ruini dovrebbe essere altrettanto politica. Ciascun partito presenta un programma molto più ampio delle tematiche cattoliche. Incidentalmente, qualcuno potrebbe rivendicare come valori: la libertà di scelta, il diritto a essere lasciato o aiutato a morire, la libertà di ricerca scientifica per i benefici che apporta a tutta la collettività.

Poi, in Parlamento, in un dibattito pubblico e trasparente, saranno i rappresentanti eletti, sciolti da ogni disciplina di partito, a spiegare il loro voto (non il loro non voto: dite «sì sì», «no no»). Confindustria e Vaticano facciano valere i loro forti poteri, ma in una democrazia, il potere giustamente più forte è quello dei cittadini che danno mandato ai loro partiti (purtroppo, con la proporzionale impura e spersonalizzata, fermamente voluta dalla Casa delle Libertà, sulla quale non abbiamo avuto il piacere di conoscere le posizioni di Ruini, non c’è più nessun mandato ai candidati) e alle coalizioni.

In un regime democratico, la politica è il potere forte che, come sanno i liberali praticanti, tenta di capire e esprimere l’interesse generale, di fare il bene comune, anche contro poteri forti comunque sempre particolaristici come la Confindustria e il Vaticano.