Le parole contano. «Sono per
prendere sul serio quello che pensa Arturo Parisi, perché alla fine si
fa quello che dice lui…», suggeriva qualche giorno fa il
vicepresidente della Camera Fabio Mussi, segno che dopo l’onda anomala
delle primarie l’Unione riscopre il presidente federale della
Margherita. Parisi, ovvero un laboratorio viaggiante. Con Prodi inventò
l’Ulivo, per Prodi ha ideato la prima consultazione all’americana. Ha
fondato i Democratici e traghettato la Margherita nel centrosinistra.
Ha ispirato il listone dei riformisti e ora studia come trasformare
l’Ulivo nel partito democratico.
Un convegno della fondazione
Governareper, sulle colline di Bologna, ha svelato la fitta trama di
relazioni di cui il mondo parisiano, che non sempre coincide con quello
prodiano, è intessuto. Giovani docenti universitari, direttori di
riviste, perfino banchieri e militari, una fitta e laboriosa rete di
«cervelli» che produce studi e ricerche sulla storia, la strategia e le
prospettive dell’Ulivo. I pilastri dell’architettura parisiana
corrispondono alle tappe cruciali della sua, anomala, carriera
politica. L’università, innanzitutto, dove ha insegnato Sociologia dei
fenomeni politici a giovani e già mantenute promesse come Stefano
Ceccanti, professore straordinario di Diritto pubblico comparato a Roma
e Bologna.
Il secondo pilastro è Il Mulino, di cui è stato
vicepresidente nonché direttore dell’omonima rivista, ora guidata da
Edmondo Berselli. Il terzo l’istituto Cattaneo, che Parisi ha diretto
per vent’anni, il quarto la rivista dei padri dehoniani Il regno, dove
ha «reclutato» il caporedattore Gianfranco Brunelli. Il quinto pilastro
è la fondazione Governareper, la cui rivista è diretta da Rodolfo
Brancoli. Basta sfogliare il programma del convegno bolognese «Semi di
Ulivo», per seguire il filo di amicizie e contatti che senza
strombazzamenti disegna quella fitta rete di cui l’inventore delle
primarie è punto di riferimento naturale. Sette atelier, sette
relatori: il costituzionalista Leopoldo Elia, il giurista del Mulino
Gregorio Gitti, l’ambasciatore Ferdinando Salleo e poi Paolo Onofri,
docente di politica economica a Bologna, Fabrizio Onida, ordinario di
Economia internazionale alla Bocconi, Paolo Bosi, che insegna Scienza
delle finanze a Modena e Reggio Emilia e l’astrofisico Giovanni
Bignami. Tra i think-tank bolognesi che lo hanno visto protagonista
Parisi ha ingaggiato Salvatore Vassallo, ordinario di Scienza politica
a Bologna fanatico del sistema maggioritario e Filippo Andreatta,
redattore del Mulino e docente di Scienza politica e Relazioni
internazionali a Parma. Per governare questo universo Parisi si è
imposto poche, ma precise regole: niente gerarchie, reciproco rispetto,
autonomia, inventiva e libertà di critica. Qualcuno li chiama «Parisi
boys», ma a lui il termine piace poco. «Chiamiamoli interlocutori
privilegiati» suggerisce Andrea Armaro, che dagli anni dei Democratici
è per Parisi molto più di un portavoce. L’altro uomo ombra è Fausto
Recchia, assistente politico riservato ma sempre presente.
Difficile
distinguere le amicizie dai legami politici o anche solo intellettuali
e così è per il presidente di Banca Intesa Giovanni Bazoli o lo storico
Pietro Scoppola, caporedattore del Mulino dal 1974 al ’78. E intanto la
rete di Parisi continua a pescare: l’ultima «preda» l’ha segnalata
Francesco Cossiga spiegando il Nigergate come «un mini-golpe dei
generali prodiani», guidato da quel generale Giuseppe Cucchi che Parisi
non ha mai perso di vista, dai tempi della scuola militare della
Nunziatella.