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5 Ottobre 2005

La campagna d’ottobre di Silvio e la resistenza del Quirinale

Autore: Massimo Giannini
Fonte: la Repubblica

LA CASA comune degli italiani è la merce che Berlusconi è pronto a barattare per tenere in piedi la Casa delle Libertà. Come l´animale morente che sferra gli ultimi colpi di coda, così il centrodestra in declino assesta gli scossoni finali alla Costituzione. Di qui alla fine della legislatura, il lungo ciclo delle «leggi vergogna» si chiude con un terribile trittico: proporzionale, Salva-Previti, devolution.

Ognuna di queste sedicenti «riforme» è una picconata al nostro assetto costituzionale. Non può stupire che di fronte a questa definitiva campagna d´autunno del Polo sia di nuovo Ciampi a far sentire la sua voce. Il custode delle regole, il garante dell´unità nazionale, dice forte e chiaro che la Costituzione è un «atto fondante» della Repubblica. In mezzo secolo, nel suo «impianto generale», ha mostrato una «straordinaria validità».

Può essere modificata, certo. Ma non può e non deve essere stravolta. Non può e non deve essere svilita a banale partita di scambio, attraverso la quale una sola parte politica cerca di sopravvivere a se stessa, a scapito dell´interesse nazionale. Non può e non deve essere smontata pezzo per pezzo, per cercare di ricomporre le divisioni di una coalizione.

Senza un disegno organico. Senza un impianto coerente, da sottoporre nelle forme dovute al vaglio del Parlamento e dell´opinione pubblica. Le parole di Ciampi riflettono la sua preoccupazione istituzionale, ma amplificano anche un´inquietudine più generale per lo sbocco di questa eterna transizione italiana. Costretta dal Cavaliere a un triplice, pericolosissimo passaggio.


Il primo passaggio è quello del proporzionale. «La partita di fine legislatura», la chiama. Berlusconi ha bisogno di questa tagliola, per azzoppare Prodi e per attanagliare Casini nella morsa di un´alleanza nella quale tutti devono «sopravvivere o perire» insieme a lui. È una legge ordinaria. Il Parlamento è sovrano. In teoria Ciampi non dovrebbe intervenire, né in fase preventiva con la moral suasion, né in fase successiva con il diniego della promulgazione.

Eppure al presidente non può essere sfuggito quello che lo stesso Marco Follini, leader dell´Udc, ha ricordato ieri nella lettera inviata al Corriere della Sera. Oltre alla stupefacente sequela di incongruenze tecniche che hanno come unico scopo quello di ridurre lo scarto tra centrodestra e centrosinistra e di rendere il Paese ingovernabile se quest´ultimo vincesse le elezioni nel 2006, l´emendamento del Polo «determina un legame tra le liste e il candidato premier, trascurando che la Costituzione assegna al Capo dello Stato il dovere istituzionale di incaricare il primo ministro».


Sarebbe l´abc per qualunque assemblea legislativa. Non lo è per questa maggioranza. Provare per credere. Al quarto comma dell´articolo 1 del testo unificato ed emendato dal Polo, si legge che «i partiti o i gruppi politici organizzati depositano il programma elettorale e dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata per la carica di presidente del Consiglio dei Ministri.

I partiti o i gruppi politici organizzati tra loro collegati depositano lo stesso programma e dichiarano lo stesso nome e cognome della persona da loro indicata per la carica di presidente del Consiglio dei Ministri». È uno strappo grave. Finché la Costituzione non viene riscritta nelle forme di revisione «rinforzata» che la stessa Carta fondamentale prevede, il potere di scegliere e di nominare il primo ministro è nelle mani esclusive del Capo dello Stato.

L´articolo 92 non lascia margini di ambiguità: «Il presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i ministri». Insieme allo scioglimento delle Camere, questo è forse uno dei poteri più importanti del Quirinale. Ed è un potere formalmente ed esplicitamente disciplinato. Non è neanche una più semplice «consuetudine costituzionale», come quella delle consultazioni.


Siamo molto al di là di quella «presidenzializzazione» della democrazia parlamentare, che nella tumultuosa stagione del berlusconismo si è subdolamente insinuata nel sistema. Fino a snaturarlo, e a renderlo quasi ingestibile. Al di là dell´inaccettabile approccio mono-partisan del Polo, Ciampi non può sottovalutare le insidie di una simile forzatura. Finirebbe per venirne vulnerata, in modo difficilmente riparabile, l´istituzione di garanzia che lui stesso rappresenta. Difficile dire, qui ed ora, se Ciampi possa o no rinviare la legge alle Camere, nel momento in cui fosse varata in questa versione. Ma la questione è aperta.

Il secondo passaggio è la legge Salva-Previti. Il senatore forzista, ex avvocato del Cavaliere, ha bisogno di questo grimaldello, per uscire a qualunque costo dal tunnel giudiziario dal quale cerca di fuggire ormai da dieci anni. Qui i dubbi del Colle sono profondi. Quel testo, così com´è, è una vera e propria «amnistia mascherata».

Se ancora ce ne fosse bisogno, l´opinione autorevolissima di un presidente emerito della Consulta spazza via tutte le residue perplessità: meritano dovuta attenzione – ha scritto Giovanni Conso sul Sole 24 Ore di ieri – «le questioni pregiudiziali per motivi di costituzionalità» già sollevate sulla ex Cirielli durante il dibattito in Senato.

«Segnalano difetti già da molte parti autorevolmente lamentati… che se non eliminati esporrebbero il provvedimento, in tutto o in parte, a sicuri rischi di incostituzionalità. E quel che è peggio, in caso di successivo accoglimento da parte della Corte costituzionale, porterebbero all´annullamento di tutte le decisioni giudiziarie che dovessero venire adottate sulla base di una o più delle nuove norme poi dichiarate illegittime». Anche in questo caso, il presidente della Repubblica ha fondate ragioni per schierarsi con forza a difesa delle regole.


La stessa cosa, in tempi e in modi diversi, si può dire per il terzo passaggio cruciale di questo avvelenato finale di legislatura. La devolution, legge di revisione costituzionale, andrà alla Camera il prossimo 20 ottobre. Sarà la terza lettura, delle quattro necessarie in base all´articolo 138, e prima del via libera al referendum popolare confermativo.

I tempi sono contingentati. La Lega ha bisogno di questo feticcio, da agitare a qualunque costo in campagna elettorale. Ciampi non ha titolo per fermarla. Ma ha mille ragioni per temere, di nuovo, lo scempio della Costituzione. Che resterebbe nel tempo, e durerebbe ben oltre il breve spazio di vita di questo centrodestra destabilizzato e destabilizzante.

Oggi il presidente non può che ripetere quello che va dicendo dal febbraio di un anno fa: «Una riforma così ampia, che non riguarda solo il Titolo V ma anche gran parte della Costituzione e organi fondamentali dell´architettura costituzionale della nostra Repubblica, a cominciare dal Senato, non può essere affidata solamente a una parte, sostenendo che ha i voti e la fa passare a tutti i costi…».


Siamo forse allo snodo più delicato e gravido di conseguenze di questo dirompente quinquennio berlusconiano. Il Cavaliere coltiva la disperata suggestione di forgiare la sua “nuova” maggioranza nel fuoco di una devastante battaglia politico-parlamentare. Se l´operazione non riesce, il premier agita lo spettro delle elezioni subito, confermando il suo patogeno analfabetismo costituzionale: di nuovo, chi decide sul voto anticipato non è il premier, ma il Capo dello Stato.

Se invece l´operazione riesce, al prezzo di una radicale militarizzazione della Cdl e di una definitiva giubilazione del nemico pubblico Follini, subito dopo tutto diventa possibile: dallo spaventoso assalto alla diligenza della Finanziaria al forzoso abbattimento della par condicio. Ancora una volta, per fortuna, gli strumenti utili a «disarmare» l´uomo di Arcore riposano nelle salde e sagge mani dell´uomo del Colle.