Sulla scrivania del suo appartamentino balneare di Cervia, al terzo
piano di un condominio, accanto al computer e agli appunti di un
imminente libro «sulla devastazione della famiglia italiana», Ardigò ha
l´intervista a Repubblica di un vecchio amico e condiscepolo
dossettiano, Giuseppe Alberigo: la risposta alle critiche ecclesiali
contro la sua storia del Concilio Vaticano II. Allora, partiamo da qui.
Lei ricorda bene il Concilio, professore?
«Altroché. L´ho vissuto al fianco di Dossetti, ero all´Avvenire con
Raniero La Valle, fu la grande stagione della nostra vita, gravida di
enormi energie spirituali. Ci investì come un fiume in piena. Ricordo
come fosse ora quando il cardinal Lercaro, con tono entusiasta e
agitato, telefonò da Roma, alle tre di notte, a Dossetti che era il suo
segretario: “Stanno succedendo grandi cose, venga subito, ho bisogno
del suo aiuto “. Naturalmente Dossetti non aspettava altro».
Quindi fu svolta autentica, strappo, discontinuità?
«Si realizzò in quei mesi una tale concentrazione di intelligenze e
spiriti che non poteva non accadere qualcosa di profondamente nuovo.
Del resto papa Giovanni XXIII sapeva perfettamente cosa sarebbe
successo convocando a Roma i migliori teologi e i più fervidi uomini di
fede: sapeva che la Chiesa aveva bisogno di una scossa, e ne creò le
condizioni».
Ma oggi il cardinal Ruini sostiene che il Vaticano II rappresentò una «continuità nella tradizione»…
«Fu un momento di grande comunione ecclesiale e di grande ispirazione
divina, che cambiò profondamente il rapporto tra la Chiesa e il mondo.
Se ne accorse proprio Dossetti, che qualche anno prima aveva lasciato
il parlamento e la Dc spiegando a noi allievi costernati che l´unica
condizione per un radicale rinnovamento della politica era un radicale
rinnovamento della Chiesa. Quel rinnovamento ci fu, lasciò frutti, ma
più tardi fu riassorbito. Temo che anche questa rilettura normalizzante
del Concilio faccia parte del nuovo modo di interpretare il ruolo della
Chiesa nella società».
Come lo descriverebbe?
(Sospira) «Vede, ogni mattina io prego umilmente lo Spirito Santo
affinché induca il Papa e il cardinal Ruini a non perseverare nella
loro teologia razionalista…».
Razionalista papa Ratzinger?
«L´insistenza sul fatto che la “legge di natura”, più che la parola di
Dio, sia la bussola che deve orientare il comportamento sociale degli
uomini, compresi i credenti, finisce per confinare l´etica in una
dimensione naturalistica, dove tutte le norme morali necessarie
all´uomo sono reperibili nella sua ragione, e la trascendenza non trova
più posto».
La ragione è pur sempre un dono di Dio, le risponderebbe il suo arcivescovo Carlo Caffarra.
«Altro grande razionalista… Certo, la ragione viene da Dio, ma se poi è
solo l´uomo che la fa funzionare, è un Dio lontano, a cui non è
necessario ricorrere».
Insomma, la stessa Chiesa che propone ai laici di comportarsi “etsi Deus daretur” auspica una ragione che funziona come se Dio non esistesse?
«Rifiuto entrambi questi “come se”, perché mettono in discussione il
nucleo fondamentale della fede cristiana, ovvero il mistero della
Rivelazione. Escludono il ruolo della trascendenza nell´agire umano; e
questa, per una comunità di fedeli, mi sembra una rinuncia radicale,
impossibile. Vede, per noi mistici è importante la sicurezza, anche se
misteriosa, che ci offre la nostra Guida nella notte oscura».
Parla come un profeta, professore, lei che fa politica da una vita…
«Le leggo una frase di Dossetti: “La comunità dei credenti non può
seguire nessun anarchismo. Deve cercare la propria coesione non in un
qualsiasi progetto sociale ad essa specifico, ma solo nella Parola di
Dio. Come vede, tutto il contrario di un ricorso alla “legge naturale”
che relega Dio sullo sfondo».
Non è invece un modo più laico di dialogare con la società civile?
«Il dialogo ha bisogno di rispetto, non di confusione dei ruoli. Ho
avuto la fortuna di conoscere Habermas, filosofo marxista, e concordo
col suo monito: la Chiesa non pretenda di occupare tutto il campo della
ragione, e i laici abbandonino il sogno di far fuori la presenza
spirituale della Chiesa nel mondo».
Un altro modo per dire: date a Cesare…
«Non è pensabile che l´agire del credente nella società si riduca a un
problema di formazione delle opinioni, di opzioni organizzative, e
magari di qualche scelta utilitaristica».
Pensa al modo in cui è stata condotta la battaglia astensionista al referendum?
«Penso che quella scelta, tecnicamente vittoriosa e molto festeggiata, presto o tardi si rivelerà molto più dannosa che utile».
Non crede sia stata l´unica scelta per una Chiesa che si sente minoritaria di fronte al laicismo “relativista”?
«Ma anch´io temo lo zapaterismo. Temo i danni che può fare
l´oltranzismo laicista alla famiglia, oggi in condizioni quasi
disperate. Non sto consigliando certo alla Chiesa di arrendersi, di
rinunciare ai propri valori».
Infatti difende ogni centimetro del
campo, con ogni mezzo. Molti avvistano una Chiesa sempre più invadente
nel campo delle scelte di vita degli individui: preferenze sessuali,
forme di vita familiare, opzioni genitoriali…
«Noto anch´io un interventismo sempre più pressante su specifici
aspetti della vita sociale. Ma non è l´interventismo in sé il pericolo
che vedo. Non trovo scandalo se la Chiesa testimonia la propria visione
del mondo e si batte perché diventi opinione generale. È suo diritto
farlo… ».
E´ suo diritto indicare valori o anche dettare, o contrastare, norme legislative?
«Le rispondo con un esempio: il riposo domenicale. È un precetto
religioso da rispettare, per i credenti; ma difendere il diritto al
riposo è anche una battaglia sindacale, un´esigenza sociale, un
contributo alla salute della famiglia: la coscienza cattolica non è
obbligata ad occuparsi solo della santificazione della festa».
Allora dove vede il pericolo?
«Nella volontà ormai esplicita delle gerarchie di scendere
direttamente, in prima persona, sul terreno politico più operativo,
quello dell´organizzazione, delle scelte tattiche, delle valutazioni di
convenienza e opportunità, del fine che giustifica i mezzi».
Insomma non le piace vedere i vescovi nei cortei contro una legge dello Stato, come in Spagna?
«La Chiesa è una comunità ricca di spiriti e di intelligenze, dal più
remoto convento di clausura alla più piccola associazione parrocchiale.
I vescovi dovrebbero avere fiducia in questo immenso patrimonio: se
scendono in campo direttamente, vuol dire che non ne hanno più».
Forse perché non c´è più un partito cattolico al quale delegare la direzione dell´agire pratico?
«Può essere, ma la Chiesa non può farsi partito politico senza
rischiare di dissolvere il proprio fondamento mistico. M´intenda bene:
io capisco Ruini, capisco Ratzinger, i problemi che devono affrontare
sono immensi, e i rischi di isolamento e di arretramento per la Chiesa
sono reali. Ma non è questa la strada per affrontarli».
Ce ne sono altre?
«Se c´è una cosa che mi addolora è la sensazione che Ruini non abbia
più stima nei laici credenti. Come se ci ritenesse tutti incapaci di
ricavare norme di comportamento personali e opzioni politiche positive
dai principi indicati dalla Chiesa. Noto con dispiacere che vescovi e
cardinali si fidano, lusingandoli, molto più dei cosiddetti “atei
devoti”, i Ferrara, le Fallaci, che dello spirito e della mente dei
credenti. L´unica speranza è che il laicato cattolico ricordi di
possedere un mandato, lo rivendichi e lo eserciti».