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8 Novembre 2004

L´offensiva religiosa nel laico Occidente

Autore: Stefano Rodotà
Fonte: la Repubblica

Religione e natura come rifugio da un mondo senza cuore, come unica via per fondare certezze e recuperare identità perdute. Questo orientamento si diffonde, definisce posizioni politiche e vuole ispirare la legislazione. Sta nascendo uno scontro di civiltà all´interno dello stesso Occidente?
Se si apre un grande libro, quello dedicato nel 1935 da Paul Hazard alla “crisi della coscienza europea” tra Seicento e Settecento, si coglierà senza fatica (se non quella della lettura) il modo ricco e multiforme con il quale l´Europa tutta riprese la sua “recherche éternelle”, senza lasciarsi impaurire dal mondo, senza richiudersi in antiche certezze, cosciente che il solo appello alla Cristianità non poteva offrirle, come altre volte, la via d´uscita dalla crisi. “Che cos´è l´Europa?” ? si domanda alla fine Hazard. E dà una risposta che, oggi più che ieri, merita considerazione: “Un pensiero che mai si accontenta”. Non a caso aveva ricordato le istruzioni che uno scrittore secentesco, Trotti de la Chétardie, dava al “giovin signore”: “Se siete curioso, viaggiate”. Conoscenza degli altri, apertura continua degli orizzonti, come condizione della stessa sopravvivenza politica, culturale, morale. Su questa radice storica si fonda la sua ineliminabile laicità, alla quale ci richiamava ieri Eugenio Scalfari.
L´Europa sta di nuovo cercando se stessa, e manifesta l´intenzione di misurarsi con un “nuovo ordine delle cose” che gli schemi del passato non riescono più a contenere. Non può giovarle la pigrizia intellettuale, se vuole uscire dalla nuova crisi che la sua coscienza sta attraversando. Sì che, piaccia o no, l´ambizione di scrivere una Costituzione in tempi così incerti è un atto di coraggio, o almeno il segno di una consapevolezza. Più che un punto di partenza, il Trattato costituzionale è una sfida a se stessa di una Europa che non può pensarsi fuori del suo futuro.
Ma può un´Europa senz´anima e senza identità, senza valori forti, cimentarsi con questa sfida? Questa critica, tutta ideologica, non regge ad una prova dei fatti che proprio la lettura del Trattato costituzionale irrobustisce.


Era molto più povera di valori l´Europa di ieri, quella dei trattati di Maastricht, Amsterdam, Nizza, che non riconosceva tra i proprio principi l´eguaglianza e la solidarietà, oggi affermati già nel Preambolo della Costituzione e nella Carta dei diritti fondamentali. Qui viene recuperato un aspetto essenziale dell´identità europea, nel quale si congiungono diritti individuali e legami sociali, qui si coglie il passaggio dall´Europa dei mercati a quella dei diritti, così smentendo anche il pregiudizio di chi si ostina a dire che la nuova Europa sarebbe segnata da una definitiva caduta nel liberismo. L´idea europea dei diritti, per la convivenza tra individualismo e solidarietà che esprime, costituisce ancor oggi il vaccino più forte contro ogni specie di fondamentalismo.
Ancor meno sostenibile è la tesi che descrive una costituzione insensibile ai valori della persona. E´ vero l´esatto contrario. Non v´è testo costituzionale che affermi con tanta nettezza “il ruolo centrale della persona”, posta dall´Unione “al centro della sua azione”, riconosciuta nella sua inviolabile dignità. Giunge così a compimento una vera “costituzionalizzazione della persona”, tutelata anche contro i nuovi rischi dell´innovazione scientifica e tecnologica dai primi articoli della Carta.
Tutto questo vale poco o nulla solo perché non si è voluto dare rilievo esplicito alle “radici cristiane” dell´Europa? Ma questo sarebbe un peccato che accomuna gli autori della Costituzione e della Carta dei diritti ai grandi padri dell´Europa, i cattolici De Gasperi e Adenauer tra gli altri, che, quando nel 1950 si scrisse il Preambolo della Convenzione europea dei diritti dell´uomo, fecero con sobrietà riferimento solo al “patrimonio comune d´ideali e tradizioni politiche”. La stessa consapevolezza che aveva indotto il cattolico Giorgio La Pira, nell´Assemblea costituente, a non insistere su un suo emendamento, che avrebbe voluto premettere al testo costituzionale del 1948 la formula “In nome di Dio il popolo italiano si dà la presente Costituzione”.
Proviamo a considerare due delle conseguenze che avrebbe prodotto un esplicito riferimento alle radici cristiane. Poiché in molti paesi il Trattato sarà sottoposto a referendum popolare, non v´è dubbio che anche questo aspetto sarebbe divenuto argomento di polemica. Qualche anno fa, Oscar Luigi Scalfaro giudicò un atto di “enorme saggezza” l´aver evitato che su questo tema vi fossero divisioni quando si scrisse la nostra Costituzione. Non si può “far votare su Dio”, aggiunse. La costituzione europea non è indifferente alle “eredità religiose”, ricordate fin dal Preambolo. Stabilisce, anzi, la necessità di “un dialogo aperto, trasparente e regolare” con le chiese. Ha voluto saggiamente evitare che il fattore religioso tornasse ad essere elemento di un conflitto: in questo è, in modo lungimirante, laica.
Se, poi, le radici cristiane fossero state elevate a principio costitutivo dell´identità europea, questo avrebbe imposto una ricostruzione dell´intero sistema costituzionale europeo anche in questa chiave. Avrebbe così ricevuto legittimazione l´atteggiamento della Chiesa che sottolinea con forza crescente il dovere dei parlamentari cattolici di subordinare i loro comportamenti alle direttive della dottrina. Da obbligo di fede per alcuni questo sarebbe divenuto, per tutti, obbligo istituzionale. Ogni decisione ritenuta in contrasto con la radice cristiana dell´Unione sarebbe stata sospetta di illegittimità.
Oggi si enfatizzano i timori del relativismo, di un´Europa non ancorata a valori forti e perciò indebolita nella competizione tra culture e disarmata davanti alla potenza della tecnica, per invocare la religione come elemento costitutivo dell´identità e vedere nella natura l´unico baluardo contro la “manipolazione” dell´umano. Ma l´imposizione autoritaria di valori non condivisi diviene sempre un pericoloso moltiplicatore di conflitti.
La verità è che si stanno confrontando due idee di Europa e della sua costruzione. In una si esprime insicurezza, fragilità e, spaventati, non ci si rifà alla storia, ma ci si aggrappa al passato, ritrovando nella tradizione religiosa l´unico fondamento. Nell´altra, storia e futuro si congiungono e si apprestano strumenti “prospettici”. Una costituzione è lo strumento laico di produzione di valori forti e condivisi, adeguati ai tempi che vivremo.
Più che pensare in termini di “identità”, dobbiamo pensare alla “sfera pubblica europea”, la cui nascita era stata annunciata da Juergen Habermas nei giorni in cui l´Europa era attraversata dalle manifestazioni contro la guerra all´Iraq, e che oggi si materializza nelle stesse accese polemiche sul Trattato costituzionale e sulle scelte del Parlamento europeo. Sfera pubblica europea vuol dire creazione di un comune spazio pubblico di confronto, dove le diversità che ancora segnano profondamente l´Europa possano riconoscersi reciprocamente, rendendo possibile il rafforzarsi dei valori già individuati dal Trattato costituzionale, tutt´altro che deboli, e la progressiva adozione di politiche comuni.
Ma sembra che la discussione, la regola laica del libero confronto, spaventino. Così, prigionieri dei timori, anche giustificati, destati dall´innovazione scientifica e tecnologica, si propone una sorta di alleanza tra natura e religione, identificata quest´ultima come presidio di leggi naturali che la volontà di potenza dell´uomo mai dovrebbe violare.
E´ una posizione debole sotto il profilo culturale, destinata ad accrescere il rischio di “scontri tra assoluti”, e quindi socialmente dirompente e politicamente perdente. La vicenda della legge italiana sulla procreazione medicalmente assistita è istruttiva. E´ il caso di una legislazione ideologica, che pretendeva anche di imporre un modello imitativo della natura, e che non ha retto alla prova della realtà. Non è stata solo contestata politicamente. Si è rivelata per molti versi inapplicabile e, attraverso il “turismo procreativo”, è stata subito delegittimata.
La propensione a ricorrere alle tecniche proibizioniste si rafforza quando l´innovazione scientifica fa nascere il timore di una “manipolazione” della natura umana. Si propone così di imporre in ogni caso il rispetto della “lotteria genetica”, di garantire che sia soltanto il caso a governare l´intero processo procreativo, di riconoscere come diritto fondamentale quello ad “ereditare un patrimonio genetico non manipolato”. Ma, invocando questo diritto, e in nome della lotteria genetica, si dovrebbe vietare una terapia genica che elimini il rischio di trasmissione da madre a figlia della propensione a sviluppare il cancro al seno? La più severa legge in materia, quella tedesca sulla tutela degli embrioni, ammette la scelta del sesso per evitare la nascita di bambini con determinate malattie genetiche, con un effetto di rassicurazione che riduce il ricorso all´aborto.
Le forzature ideologiche e le impostazioni astratte non facilitano l´analisi della realtà e la stessa previsione di limiti, dove si rivelano necessari, perché siamo di fronte ad innovazioni che incidono sull´antropologia profonda del genere umano. Anche qui, però, non teniamo gli occhi rivolti al passato. Rendiamoci conto, ad esempio, che imporre il rispetto del “caso”, là dove è stato cancellato dalla scienza, non significa ricostituire “lo stato di natura”, bensì disciplinare in modo socialmente nuovo la libertà e le relazioni tra le persone.
Vi è una curiosa versione della fine della storia in questo disperato bisogno di approdo definitivo sui lidi della religione e della natura. Ma non si può cancellare la relazione tra natura e storia, tra natura e cultura. Né l´Europa nuova, né un mondo più umano, possono nascere da una regressione culturale.