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7 Dicembre 2005

L´Italia che vuole reagire al declino

Autore: Anthony Giddens
Fonte: la Repubblica

L´Italia è un paese bello da visitare. E indubbiamente per molti è bello viverci, dato che sembra venire incontro praticamente a ogni desiderio: città e borghi di incomparabile bellezza, campagne meravigliose, cucina eccellente quasi ovunque, e dalle Alpi alle Sicilia, una grande varietà di paesaggi.

Nel suo ultimo numero, la rivista Economist pubblica un lungo articolo sulle prospettive del paese in campo economico. Secondo gli autori, pure concordi sulle attrattive dell´Italia, le previsioni economiche per il suo immediato futuro sono poco meno che infauste.

Dietro lo charme della superficie coverebbe uno scenario potenzialmente rovinoso. La crescita dell´Italia è la più bassa dell´Ue, il suo tasso di natalità è sceso a livelli preoccupanti e il debito dello stato è gigantesco.

Ormai solo alcune delle sue industrie riescono ad essere competitive sul mercato globale, e poche sono le grandi società che hanno lasciato il segno sulla scena mondiale.

Le sue aziende sono per la maggior parte piccole o medie; le università, sovraffollate, non ottengono finanziamenti sufficienti. E nonostante gli investimenti di molti miliardi di euro, lo sviluppo del sud non decolla.

Una recente inchiesta sulla competitività ha assegnato all´Italia un umiliante 47° posto, prima del Botswana. D´altra parte, dopo l´avvento dell´euro l´Italia non ha più potuto ricorrere al collaudato espediente della svalutazione per rimediare ai deludenti risultati economici.

Il paese rischierebbe, sempre secondo l´Economist, la sorte toccata a Venezia, un tempo potente città-stato, che ha finito per ritrovarsi umiliata politicamente ed economicamente, tanto da essere ormai ridotta al ruolo di attrazione per i turisti, o di reliquia storica.

Sarà davvero questa la sorte che incombe sull´intero paese? Alla valutazione dell´Economist fanno eco altre voci. Questa settimana la rivista Time pubblica un articolo intitolato «Twilight in Italy» (crepuscolo in Italia).

Le piccole imprese del Nord, che un tempo costituivano la forza propulsiva dell´economia italiana, oggi vacillano a fronte dell´aggressiva concorrenza della Cina e di altri paesi in via di sviluppo.

L´articolo prende ad esempio l´industria del mobile, un settore a basso livello tecnologico. I fabbricanti cinesi sono in grado di produrre mobili paragonabili per qualità a quelli italiani, a prezzi incomparabilmente più bassi.

In passato, i mobilifici italiani esportavano in altri paesi dell´Ue, tra cui la Germania, che oggi importa mobili dalla Cina.

I piccoli fabbricanti non hanno la capacità di innovare la propria immagine, né di ricuperare posizioni di mercato.

L´industria del mobile ­ conclude il Time ­ è una metafora delle prospettive cui rischia di andare incontro l´industria italiana nel suo complesso. Leggo queste infauste previsioni mentre lascio Londra in aereo per intervenire alla conferenza programmatica del partito dei Democratici della sinistra.

Un consesso che ha dato una reale dimostrazione della nuova unità del centrosinistra, non solo per l´intervento di Piero Fassino ma anche per quelli di Giuliano Amato, Massimo D´Alema, e ovviamente Romano Prodi.

La coalizione di centrosinistra ha buone probabilità di tornare al potere. Ma in tal caso, c´è da chiedersi se erediterà un Paese in condizioni di declino tanto avanzato da non consentire un´inversione di tendenza.

E se una coalizione di sei partiti troverà il coraggio di prendere decisioni rigorose e difficili. L´Economist risponde con un sì alla prima domanda, e con un no alla seconda.

Non senza motivo, poiché i problemi dell´Italia sono seri e reali. E c´è oltre tutto il precedente della disgregazione della prima coalizione dell´Ulivo.

Ma a mio parere, a queste due domande si possono dare risposte più ottimistiche. L´Italia è un Paese dotato di una considerevole reattività, e assai meno riluttante al cambiamento di quanto tradizionalmente si creda.

Se avrà la leadership e la volontà necessarie, il centrosinistra potrà trovare la capacità di promuovere il cambiamento nelle forme più appropriate.

Peraltro, è a Romano Prodi e alla coalizione dell´Ulivo che l´Italia deve il suo ingresso nell´area dell´euro, quando molti osservatori non lo avrebbero ritenuto possibile.

E benché oggi qualche critico tenda ad imputare alla moneta unica una parte dei problemi del Paese, l´euro costituisce di fatto la base di ogni futura riforma socio-economica, precisamente perché esclude il ricorso a «soluzioni» fondate sulla svalutazione.

A mio parere, la coalizione deve dimostrarsi capace di assumere la guida del Paese non solo sul piano politico ed economico, ma anche su quello morale.

Non è infatti accettabile che in democrazia un leader politico sia proprietario di gran parte dei media, né che cambi la costituzione del Paese per fini puramente opportunistici.

Questo, l´Economist ha avuto il coraggio di dirlo fin dall´inizio dell´attuale regime, sfidando anche la minaccia di sanzioni legali.

Non meno importante è il fallimento della leadership economica di Berlusconi. Giunto al potere come imprenditore prestato alla politica, con la sedicente capacità di rigenerare l´economia italiana, ha invece presieduto al suo accelerato declino.

La coalizione di centrosinistra dovrebbe seguire l´esempio del New Labour in Gran Bretagna almeno su un punto, conferendo il primato alla crescita economica e alla creazione di posti di lavoro.

In questo campo non servono discorsi astratti, ma misure politiche di reale efficacia. Il centrosinistra non deve eludere l´esigenza di creare un contesto economico favorevole alle attività imprenditoriali.

E´ stato questo il criterio adottato dai partiti di centrosinistra europei che possono vantare i risultati migliori: quelli scandinavi.

Sono paesi ad alto livello di tassazione, che tuttavia hanno abbassato le aliquote a carico delle imprese; e dall´inizio degli anni 1990 ai primi anni 2000 la loro crescita annua è stata in media del 2,6%, cioè poco meno di quella degli Stati Uniti.

Ora, se da un lato questi Paesi hanno liberalizzato le condizioni in cui operano sia le piccole che le grandi imprese, hanno investito al tempo stesso nei settori trainanti della crescita a lungo termine: istruzione, tecnologia, Ict.

Queste politiche, lungi dall´essere ostili alla giustizia sociale, costituiscono anzi i mezzi necessari per la sua promozione.

Sostenere le imprese non vuol dire necessariamente lasciare che la nostra vita sia dominata dai mercati.

Il punto cruciale sta nell´individuare le soluzioni politiche in grado di incoraggiare la competitività economica, promuovendo al tempo stesso la giustizia sociale.

Soluzioni di questo tipo sicuramente esistono. Ad esempio, nel Regno Unito il working tax credit ha consentito a molti emarginati di tornare nel mondo del lavoro, e ha ridotto drasticamente il tasso di povertà.

E´ crepuscolo in Italia? Può darsi. Ma non dimentichiamo che, alla fine, dopo ogni crepuscolo sorge una nuova alba. Traduzione di Elisabetta Horvat.