C´È QUALCOSA di impaurito e insieme di pauroso nella prima reazione di Silvio Berlusconi (lui è il Paese legale, la sinistra è il Paese parallelo e illegale) a una sconfitta elettorale che gli toglie la maggioranza in Italia, punisce il suo partito e segna l´inizio della fine della sua leadership.
Il premier che dovrebbe reggere lo Stato, governando, definisce l´opposizione come l´anti-Stato, l´imprenditore piduista giudica “occulto” il mondo della sinistra, l´uomo più ricco d´Italia sostiene che i poteri forti congiurano contro la Repubblica.
Siamo davanti a una deriva paranoide che imbarazza gli alleati e sconcerta i cittadini, perché ha perso ogni legame con la realtà. Ma segnala pubblicamente l´inizio di una fase drammatica, esistenziale prima e più che politica.
La sconfitta infatti rovescia nel dramma il titanismo del Cavaliere, in una stagione da “muoia Sansone con tutti i filistei” che durerà fino alle elezioni ed è cominciata proprio ieri. Con il berlusconismo che va giustamente a morire in televisione, là dove era nato undici anni fa.
Per capire con un solo colpo d´occhio la portata del terremoto elettorale, il suo cambio di clima e di stagione, bastava infatti collegarsi ieri sera con Ballarò. A sorpresa, non c´era La Loggia, tra gli ospiti concordati della trasmissione, insieme con il ministro Alemanno, D´Alema e Rutelli. Fuori programma, è apparso Berlusconi, con la scusa di dover sostituire La Loggia, come un qualsiasi tappabuchi. In realtà, ciò a cui abbiamo assistito non era un cambio di protagonista, ma un cambio completo di sceneggiatura, l´inizio di un altro film.
Trascinato dalla furia della sconfitta, incalzato dall´urgenza delle elezioni politiche tra un anno, isolato dalla perdita di fiducia degli alleati nei suoi confronti, Berlusconi ha deciso di farsi umano tra gli umani, rinunciando alla primazia e all´alterità di ogni sua comparsa televisiva, sedendosi per la prima volta da quando è sceso in campo in mezzo ai suoi competitori, e accettando un confronto cui era sempre sfuggito.
Più che una trovata propagandistica, o una necessità di marketing, è stato un disvelamento in pubblico. Il Cavaliere per la prima volta ha messo a nudo la sua essenza cultural-ideologica, la sua natura politica. Senza filtri di telecamere amiche, giornalisti dipendenti, riprese concordate, avversari prescelti, platee prefabbricate, scenari e sfondi costruiti per ingigantire – ovviamente in azzurro – la sacralità della leadership.
No: ieri per la prima volta nella storia del berlusconismo la leadership era nuda, protetta solo da una cartellina manageriale di appunti e ritagli. Lo spettacolo e la sostanza politica del dibattito non erano nemmeno nelle parole di Berlusconi. Ma nella sua necessità disperata di rincorrere insieme Fini, la sinistra e gli elettori, cambiando congiuntamente abitudini, stile, ruolo e status, in un´estetica politico-televisiva cui il Cavaliere non è abituato e che lo espone per la prima volta ad uno sguardo vero.
Da cui emerge, se così si può dire, un impasto imbarazzante di naivitè e aggressività, di dilettantismo e spirito guerriero, da parte di un leader che è abituato a parlare senza contraddittorio, senza interruzioni, senza domande in uno spazio amico e proprietario, e rivela addirittura imbarazzo nel sentirsi rileggere in pubblico, davanti agli avversari ridivenuti persone fisiche, le accuse che ha lanciato nel vuoto amichevole dei suoi mass media.
È una svolta senza precedenti, che riduce il sovrano allo stato laico, costringendolo a misurare dall´altra parte del tubo catodico la brutalità immediata del meccanismo televisivo, addirittura con Nichi Vendola che prende corpo alla pari sullo schermo, totem simbolico della sconfitta berlusconiana che annulla ogni gerarchia.
Una svolta frutto della disperazione prodotta dal voto, dopo che per l´intera giornata dei risultati, lunedì, il Cavaliere era scomparso, mimetizzato dietro gli impegni invisibili del premier.
Nella notte, Gianfranco Fini aveva interrotto all´improvviso il rosario doloroso degli uomini di seconda fila, Cicchitto e La Loggia (preoccupati soltanto di negare, dissimulare, manipolare la disfatta e soprattutto di allontanarla dalla sacra immagine del premier), era andato in televisione, dove aveva ammesso la sconfitta e aveva aperto senza perifrasi la fase della resa dei conti nella destra.
Ma in questo gesto, che riempiva un vuoto, un silenzio, un deficit di responsabilità, si è avvertita ancor di più la supplenza di una leadership che parla di sé con la retorica eroica di sempre, mentre si sta sfarinando sotto gli occhi degli italiani.
In realtà si era capito negli ultimi mesi che il Cavaliere aveva “perso il tocco”, cioè i tempi e i toni della sua stessa musica politica, la capacità di entrare e uscire dalla contesa scompigliando, di fare campagna fingendo di governare e di governare battagliando: ma agendo sempre in un “altrove” rispetto al paesaggio tradizionale dei partiti italiani.
Drammatico, per il Grande Comunicatore, il contrappasso di giovedì sera, quando lui e il suo notaio televisivo hanno imposto alla Rai la servitù di un Porta a Porta registrato mentre gli schermi di tutto il mondo interrompevano i loro programmi per dare la notizia dell´inizio dell´agonia del Papa. Quel fuori-sincrono clamoroso e insistito (che ha costretto la Rai a prendere le distanze da ciò che trasmetteva con una scritta in sovrimpressione) è la misura e la prova di una parola divenuta afasica e di una politica autistica, nella convinzione che al leader basti comunque parlare agli italiani per redimerli dall´errore, convertirli e infine salvarli, portandoli a sé. Mentre gli italiani, nel frattempo, hanno già cambiato canale: o ascoltando, si sono convinti a votare contro.
Dietro la svolta non solo nella comunicazione berlusconiana, ma nell´immagine e nella stessa identità del premier, non ci sono solo le 11 regioni conquistate dalla sinistra, contro le due alla destra che confinano Forza Italia in un paesaggio leghista lombardoveneto. Ci sono due milioni di voti in più per l´Unione, due milioni di consensi (di cui ben 750mila in Lombardia) persi dalla destra, il crollo di Forza Italia dal 25 al 18 per cento in cinque anni, il passaggio in minoranza di tutta la Casa delle Libertà, che finisce al 45 per cento nel Paese.
C´è in questo risultato uniforme (il centrosinistra avanza in tutte le regioni, mentre la destra arretra ovunque, con un 13,8 per cento in meno rispetto al 2000) un giudizio evidente sul governo nazionale e sul suo premier: l´incapacità di affrontare i problemi del Paese e primo fra tutti il suo declino, l´incapacità di guidare la sua larghissima maggioranza trasformandola in una vera forza di cambiamento, l´incapacità di rinunciare a “riforme di scambio” che minano la Costituzione pur di risolvere gli equilibri interni alla destra.
Soprattutto, il voto testimonia un disincanto e certifica la fine di un incantamento. Il sogno a colori berlusconiano di un Paese senza regole spronato ad arricchirsi attraverso il soddisfacimento di ogni interesse particolare, in un disordine di condoni e di egoismi, si è ormai sgonfiato nella realtà della vita quotidiana delle famiglie: che si sentono più povere, avvertono il ripiegamento del Paese, sentono che il sistema è senza guida.
C´è però qualcosa di più, magari immateriale, ma sicuramente misurabile nel voto regionale. Il Paese è sfibrato da un clima da campagna elettorale permanente, con il Cavaliere che reagisce agli insuccessi e alla perdita di presa sulla società italiana alzando il livello dello scontro, sollecitando le emozioni più che la ragione dei cittadini, portando la battaglia nel campo della morale (il Bene contro il Male) per costruire un paesaggio virtuale che sostituisca il paesaggio reale dell´Italia, una sorta di iper-testo in cui contano solo le ideologie, gli anatemi, le scomuniche.
Il venditore di sogni è diventato, senza accorgersi della tragica inversione di ruolo, un suscitatore di incubi. Che poi deve inseguire, come ieri sera a Ballarò, dov´è stato a sua volta inseguito dalle accuse contro lo “Stato occulto” della sinistra e dei poteri forti lanciate nel pomeriggio a Panorama, nel recinto di famiglia.
L´apprendista stregone è costretto a portare il suo pentolone sui mercati, perché nessuno compra più i suoi incantesimi. Già ieri, con Alemanno esterrefatto al suo fianco, Rutelli e D´Alema che gli davano sulla voce come a un qualunque Cicchitto, Berlusconi parlava ormai come un leader d´opposizione, e lo straniamento italiano era completo.
Trascinato dalla furia della sconfitta, incalzato dall´urgenza delle elezioni politiche tra un anno, isolato dalla perdita di fiducia degli alleati nei suoi confronti, Berlusconi ha deciso di farsi umano tra gli umani, rinunciando alla primazia e all´alterità di ogni sua comparsa televisiva, sedendosi per la prima volta da quando è sceso in campo in mezzo ai suoi competitori, e accettando un confronto cui era sempre sfuggito.
Più che una trovata propagandistica, o una necessità di marketing, è stato un disvelamento in pubblico. Il Cavaliere per la prima volta ha messo a nudo la sua essenza cultural-ideologica, la sua natura politica. Senza filtri di telecamere amiche, giornalisti dipendenti, riprese concordate, avversari prescelti, platee prefabbricate, scenari e sfondi costruiti per ingigantire – ovviamente in azzurro – la sacralità della leadership.
No: ieri per la prima volta nella storia del berlusconismo la leadership era nuda, protetta solo da una cartellina manageriale di appunti e ritagli. Lo spettacolo e la sostanza politica del dibattito non erano nemmeno nelle parole di Berlusconi.
Ma nella sua necessità disperata di rincorrere insieme Fini, la sinistra e gli elettori, cambiando congiuntamente abitudini, stile, ruolo e status, in un´estetica politico-televisiva cui il Cavaliere non è abituato e che lo espone per la prima volta ad uno sguardo vero. Da cui emerge, se così si può dire, un impasto imbarazzante di naivitè e aggressività, di dilettantismo e spirito guerriero, da parte di un leader che è abituato a parlare senza contraddittorio, senza interruzioni, senza domande in uno spazio amico e proprietario, e rivela addirittura imbarazzo nel sentirsi rileggere in pubblico, davanti agli avversari ridivenuti persone fisiche, le accuse che ha lanciato nel vuoto amichevole dei suoi mass media.
È una svolta senza precedenti, che riduce il sovrano allo stato laico, costringendolo a misurare dall´altra parte del tubo catodico la brutalità immediata del meccanismo televisivo, addirittura con Nichi Vendola che prende corpo alla pari sullo schermo, totem simbolico della sconfitta berlusconiana che annulla ogni gerarchia.
Una svolta frutto della disperazione prodotta dal voto, dopo che per l´intera giornata dei risultati, lunedì, il Cavaliere era scomparso, mimetizzato dietro gli impegni invisibili del premier.
Nella notte, Gianfranco Fini aveva interrotto all´improvviso il rosario doloroso degli uomini di seconda fila, Cicchitto e La Loggia (preoccupati soltanto di negare, dissimulare, manipolare la disfatta e soprattutto di allontanarla dalla sacra immagine del premier), era andato in televisione, dove aveva ammesso la sconfitta e aveva aperto senza perifrasi la fase della resa dei conti nella destra.
Ma in questo gesto, che riempiva un vuoto, un silenzio, un deficit di responsabilità, si è avvertita ancor di più la supplenza di una leadership che parla di sé con la retorica eroica di sempre, mentre si sta sfarinando sotto gli occhi degli italiani.
In realtà si era capito negli ultimi mesi che il Cavaliere aveva “perso il tocco”, cioè i tempi e i toni della sua stessa musica politica, la capacità di entrare e uscire dalla contesa scompigliando, di fare campagna fingendo di governare e di governare battagliando: ma agendo sempre in un “altrove” rispetto al paesaggio tradizionale dei partiti italiani.
Drammatico, per il Grande Comunicatore, il contrappasso di giovedì sera, quando lui e il suo notaio televisivo hanno imposto alla Rai la servitù di un Porta a Porta registrato mentre gli schermi di tutto il mondo interrompevano i loro programmi per dare la notizia dell´inizio dell´agonia del Papa.
Quel fuori-sincrono clamoroso e insistito (che ha costretto la Rai a prendere le distanze da ciò che trasmetteva con una scritta in sovrimpressione) è la misura e la prova di una parola divenuta afasica e di una politica autistica, nella convinzione che al leader basti comunque parlare agli italiani per redimerli dall´errore, convertirli e infine salvarli, portandoli a sé. Mentre gli italiani, nel frattempo, hanno già cambiato canale: o ascoltando, si sono convinti a votare contro.
Dietro la svolta non solo nella comunicazione berlusconiana, ma nell´immagine e nella stessa identità del premier, non ci sono solo le 11 regioni conquistate dalla sinistra, contro le due alla destra che confinano Forza Italia in un paesaggio leghista lombardoveneto.
Ci sono due milioni di voti in più per l´Unione, due milioni di consensi (di cui ben 750mila in Lombardia) persi dalla destra, il crollo di Forza Italia dal 25 al 18 per cento in cinque anni, il passaggio in minoranza di tutta la Casa delle Libertà, che finisce al 45 per cento nel Paese.
C´è in questo risultato uniforme (il centrosinistra avanza in tutte le regioni, mentre la destra arretra ovunque, con un 13,8 per cento in meno rispetto al 2000) un giudizio evidente sul governo nazionale e sul suo premier: l´incapacità di affrontare i problemi del Paese e primo fra tutti il suo declino, l´incapacità di guidare la sua larghissima maggioranza trasformandola in una vera forza di cambiamento, l´incapacità di rinunciare a “riforme di scambio” che minano la Costituzione pur di risolvere gli equilibri interni alla destra.
Soprattutto, il voto testimonia un disincanto e certifica la fine di un incantamento. Il sogno a colori berlusconiano di un Paese senza regole spronato ad arricchirsi attraverso il soddisfacimento di ogni interesse particolare, in un disordine di condoni e di egoismi, si è ormai sgonfiato nella realtà della vita quotidiana delle famiglie: che si sentono più povere, avvertono il ripiegamento del Paese, sentono che il sistema è senza guida.
C´è però qualcosa di più, magari immateriale, ma sicuramente misurabile nel voto regionale. Il Paese è sfibrato da un clima da campagna elettorale permanente, con il Cavaliere che reagisce agli insuccessi e alla perdita di presa sulla società italiana alzando il livello dello scontro, sollecitando le emozioni più che la ragione dei cittadini, portando la battaglia nel campo della morale (il Bene contro il Male) per costruire un paesaggio virtuale che sostituisca il paesaggio reale dell´Italia, una sorta di iper-testo in cui contano solo le ideologie, gli anatemi, le scomuniche.
Il venditore di sogni è diventato, senza accorgersi della tragica inversione di ruolo, un suscitatore di incubi. Che poi deve inseguire, come ieri sera a Ballarò, dov´è stato a sua volta inseguito dalle accuse contro lo “Stato occulto” della sinistra e dei poteri forti lanciate nel pomeriggio a Panorama, nel recinto di famiglia.
L´apprendista stregone è costretto a portare il suo pentolone sui mercati, perché nessuno compra più i suoi incantesimi. Già ieri, con Alemanno esterrefatto al suo fianco, Rutelli e D´Alema che gli davano sulla voce come a un qualunque Cicchitto, Berlusconi parlava ormai come un leader d´opposizione, e lo straniamento italiano era completo.