27 Aprile 2005
L´ex arcivescovo di Milano: “Posizioni e accenti differenti sono necessari per svolgere il complesso compito della Chiesa”
Autore: Guido Anselmi
Fonte: la Repubblica
ROMA – La diversità ci unisce, dice il cardinale Carlo Maria Martini. È nella diversità, insegna il vangelo di Gesù, che troviamo il nostro fratello più amato. Martini parte di qui per raccontare il nuovo Papa, per spiegare il motivo per cui lui, considerato il capofila dei progressisti e principale “antagonista” del cardinale tedesco nel segreto della cappella Sistina, è diventato poi il grande elettore di Joseph Ratzinger.
L´arcivescovo emerito di Milano in questa intervista a “Repubblica” parla per la prima volta di Benedetto XVI. Pone una sola condizione: nessuna domanda su quanto è accaduto nel conclave e nessuna domanda su quella che è stata la sua candidatura al soglio pontificio.
Eminenza, abbiamo un nuovo Papa che è stato definito “guerriero della fede” e “uomo dei no”. Eppure molti ci avvertono che ci stupirà presto, discostandosi anche dalla sua storia personale e dottrinale. Sarà davvero così?«Sarà così. Sono certo che Benedetto XVI ci riserverà delle sorprese rispetto agli stereotipi con cui è stato definito un po´ troppo sbrigativamente».
Per quali motivi? «Anzitutto perché egli è stato sempre un uomo di grande umanità, cortesia e gentilezza, pronto all´ascolto anche di pareri differenti dal suo. Ne ho avuto l´esperienza quando per dieci anni sono stato membro della Congregazione della Fede, da lui presieduta.
Come scriveva lo stesso cardinal Ratzinger in un breve intervento per il mio quindicesimo anno di episcopato: “Nessuno si meraviglierà se dico che noi non siamo sempre stati dello stesso parere.
Per temperamento e per formazione siamo senza dubbio molto diversi l´uno dell´altro”. E dopo aver ricordato le ragioni di queste diversità concludeva: “In ogni caso, queste due posizioni non si escludono affatto, al contrario, esse si integrano e si completano a vicenda.
Posizioni e accenti differenti sono necessari per permetterci, a partire da aspetti diversi, di avvicinarsi al compito complesso della Chiesa in questo tempo e di tentare, più o meno, di svolgerlo”».
Si dice: un conto è fare il cardinale, un altro fare il Papa. Sarà così anche per Ratzinger?«La seconda ragione per aspettarci delle sorprese è proprio dovuta al fatto, anche da me un po´ sperimentato nel passaggio dall´insegnamento alle responsabilità pastorali, che un pastore è sempre nuovamente educato e formato dal suo popolo.
Infatti ne partecipa a fondo le ansie, le sofferenze, i desideri e le attese. Sono dunque certo che la grande responsabilità che grava sulle spalle del nuovo Papa lo renderà sempre più sensibile a tutti i problemi che si agitano nel cuore di credenti e non credenti e aprirà probabilmente per lui e per noi strade inconsuete».
Quando ha conosciuto personalmente Joseph Ratzinger e che cosa più lo ha colpito di lui? «Ho conosciuto da vicino Ratzinger nell´ottobre del 1980, quando, come vescovo da poco eletto, partecipavo per invito del Papa al Sinodo sulla famiglia, di cui il cardinale Ratzinger era relatore.
Ricordo in particolare che una mattina, verso la fine del sinodo, avrebbe dovuto presentare la relazione conclusiva. Con molta umiltà disse: “Abbiamo lavorato per buona parte della notte, ma poi, non riuscendo a preparare il testo, abbiamo deciso che era meglio andare a dormire; perciò non posso presentarvi quanto avete atteso”. Questa sincerità ci commosse tutti e accettammo di buon grado il ritardo».
Lei ha detto di lui: «La passione per la verità che Joseph Ratzinger ha testimoniato coerentemente in tutti questi anni, va intesa come risposta al debolismo della postmodernità». È un bel giudizio. Ma come può conciliarsi questa immagine di Ratzinger, eminenza, con le sue tesi che per semplicità possiamo definire progressiste?
«Mi pare che la migliore spiegazione sia stata data da Ratzinger stesso in quel breve scritto a me dedicato che ho appena ricordato. Egli diceva: “Le mie prime esperienze religiose risalgono al periodo in cui Romano Guardini riteneva a buon diritto una priorità assoluta il “distintivo cristiano”, l´Unterscheidung des Christlichen (così si intitolava una sua opera del 1935)”.
E, dopo aver descritto un periodo di maggiore pluralismo nell´immediato dopoguerra, Ratzinger continuava: “Tuttavia, dopo che a partire dal 1968 era sorto il pericolo di fondere l´escatologia con l´utopia, riducendo così la fede a una prassi di trasformazione del mondo, si rendeva nuovamente necessaria la ricerca del tratto distintivo del cristianesimo (Unterschedung des Christlichen), non per rinchiuderlo tra le mura del ghetto, ma per salvaguardare il suo dinamismo, che supera il tempo per giungere all´eterno”.
A confronto di ciò egli riconosce che la mia esperienza “nella formazione dei giovani sacerdoti provenienti da tutti i continenti fosse di altra natura: qui si rendevano maggiormente possibili forme diverse di mediazione, sintesi d´ampio respiro; si trattava di scandagliare le possibilità ancora inesplorate della realtà cattolica”».
Buona coscienza e competenza sono altre qualità che lei ha riconosciuto qualche anno fa, se ricordiamo bene nel 1997, al cardinale oggi Papa. In queste cose, ha aggiunto, Ratzinger ci è di modello e di stimolo. Perché? «Come dice la prima lettera a Timoteo, “la carità sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera”.
Queste tre sorgenti della carità vanno riconosciute alla personalità del nuovo Papa. Il culto della competenza poi gli è connaturale per la sua formazione di professore tedesco, che esige la più ampia e solida informazione su quanto si deve trattare. Possiamo perciò augurarci che queste virtù facciano scuola nella Chiesa e anche nella società».
Siamo passati da un Papa eletto a 58 anni a un Papa di 78. È stata davvero, come sostengono molti osservatori, una scelta di transizione? «Non tanto una scelta di transizione quanto il desiderio di avere, dopo un pontificato lungo, uno un po´ più breve. Questa regola si è osservata anche nel passato».
I primi interventi di Benedetto XVI autorizzano a pensare che, rispetto a Giovanni Paolo II, ci siano innovazioni? «Non vedo innovazioni nel suo primo messaggio, che del resto era stato probabilmente già preparato in antecedenza nelle sue grandi linee dagli uffici competenti, data la ristrettezza del tempo a disposizione per il nuovo Papa, piuttosto la riconferma delle grandi linee di apertura del pontificato di Giovanni Paolo II. E questo è certamente un segnale positivo».
Perché Benedetto XVI ha fatto subito un forte accenno alla necessità di proseguire e rafforzare il dialogo con gli ebrei? «Il cardinale Ratzinger è stato molto attento, e sempre più in questi ultimi anni, al dialogo con gli ebrei, che considera essenziale per la Chiesa. Non mi stupisco dunque della tempestività con cui ha scritto al rabbino Di Segni indicando questa volontà di dialogare».
Una delle parole che più si sono lette e sentite in queste settimane è “collegialità”, come se si avvertisse il bisogno di un nuovo rapporto tra Papa, curia e vescovi. Quanto è forte questa esigenza nel vertice allargato della Chiesa?«È una richiesta sempre più forte in tutta la Chiesa e sono certo che il nuovo Papa la prenderà molto sul serio e con efficacia».
In realtà le questioni urgenti della Chiesa sono molte: dall´ecumenismo al dialogo interreligioso, ai rapporti con il mondo moderno. Troppa rigidità non rischia di aggravare le fratture e di allargare le distanze?
«Sono sicuro che il nuovo Papa non sarà rigido, ma ascolterà e rifletterà con libertà di cuore e apertura di mente. Egli è certamente, come tutti noi, preoccupato di non annacquare il vangelo. Vogliamo tutti un vangelo forte e coraggioso, che proprio perché tale non deve avere paura delle novità».
Lei parla di novità. Qui sta il punto. Non crede che la Chiesa stia perdendo la sfida con una società che corre come un atleta mentre lei è ferma ai blocchi di partenza? «Chiesa e società si stanno muovendo, anche se, è vero, a ritmi diseguali e non omogenei. Ma la Chiesa ha in mano le chiavi del cuore dell´uomo e non perderà il treno della storia».
Che cosa risponde a chi sottolinea che in talune circostanze la Chiesa riempie le piazze mentre le cattedrali rimangono desolatamente vuote? «Può darsi che anche la Chiesa possa rimanere un po´ succube del primato dell´audience.
Tuttavia la mia esperienza di vescovo in una grande città moderna non mi ha fatto trovare chiese vuote, ma cattedrali piene di migliaia di giovani desiderosi non di superficialità, ma di ascolto profondo della Parola di Dio».
Quali sono le cause principali della crisi del cattolicesimo e dove invece la Chiesa appare più vitale e caritatevole? «L´unico motivo di crisi nella Chiesa è la debolezza della fede e della speranza. Gesù stesso si era domandato: “Ma il Figlio dell´uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. Gesù sa che noi siamo deboli e sottoposti alla tentazione. Anche per questo ha pregato per Pietro, perché non venga meno la sua fede e perché sappia confermare i fratelli».
Benedetto XVI è un nome che sembra scelto anche in onore della pace, quasi un´invocazione alla pace, una promessa. «La sfida della Chiesa per la pace durerà finché la pace sarà minacciata dall´egoismo umano e dalle complessità della storia. Per questo è un buon segno il nome di Benedetto per il nuovo Papa».
Cardinale Martini, che cosa le ha insegnato, se possiamo dire così, questa esperienza: la morte di Wojtyla, l´amore che ha abbracciato l´uomo e il pastore, il Conclave, la straordinaria attenzione con la quale è stato seguito da tutti i giornali e le televisioni del mondo?
«Sto ancora riflettendo su tutti questi eventi che ci hanno colpito profondamente e faccio fatica a fare una sintesi, perché sono stati molti e grandissimi. Ma certamente è emersa l´ansia di senso e il desiderio di guida spirituale che percorre tutte le persone e le situazioni umane».
Eminenza, ora lei tornerà a Gerusalemme e riprenderà i suoi studi biblici. Quale desiderio porta nel cuore? «Uno solo. Ho nel cuore il sogno di Isaia: “Per amore di Gerusalemme non mi darò pace, finché non sorga come stella la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come una lampada. Allora tutti i popoli vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria”