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2 Luglio 2007

Kabul, strage di civili. L’ira di Parisi “Impariamo a mirare o asteniamoci”

Autore: Renato Caprile
Fonte: La Repubblica

Kabul – L’ennesima strage di
innocenti nel sud Afghanistan – stavolta le vittime sarebbero addirittura
un’ottantina – ormai rischia quasi di non far più notizia. C’è n’è una ogni due
giorni. La Nato come al solito si scusa, corregge al ribasso il bilancio dei
morti, ammette l’errore ma diabolicamente continua a ripeterlo. Ma il ministro
italiano della Difesa, Arturo Parisi, esprime una dura condanna per gli esiti
del nuovo raid: “Le inchieste non bastano più, è tempo di fatti. Tutto
quello che c’è da sapere lo sappiamo, i taliban sono degli assassini, ma noi
siamo lì per difendere il popolo afgano”.

E ancora: “Non farò mai mio
il principio per il quale “è meglio un amico morto che un nemico
vivo”. E lì l’amico è il popolo. Il mezzo non può contraddire il fine. O
impariamo a prendere la mira o è meglio che ci asteniamo dallo sparare. È
quello che abbiamo ripetuto nelle riunioni Nato a Bruxelles – conclude Parisi –
ed è quello che ripeterò oggi al segretario generale della Nato”.

Non è evidentemente servito a
nulla il “così non va” urlato nei giorni scorsi da un Karzai fuori di
sé. Le forze della Coalizione continuano come se niente fosse a martellare di
bombe la provincia meridionale di Helmand, quella a più alta densità talebana,
la stessa nella quale fu rapito Daniele Mastrogiacomo. Proiettili che dall’alto
hanno centrato anche stavolta l’obiettivo sbagliato – povere famiglie di
contadini – uccidendo decine di persone, donne e bambini compresi. Un massacro
che relega in secondo piano il fatto che nella stessa operazione abbiano perso
la vita anche una trentina di insorti.

Non ci siamo, dunque. Lo dicono
non solo un inascoltato Karzai, ma anche, sia pure a mezza voce, gran parte dei
diplomatici e perfino qualcuno tra i militari presenti a Kabul. I partiti di
sinistra che in Italia si sono sempre schierati contro la guerra chiedono ora
al governo di presentarsi a riferire in parlamento. Verdi, Prc e Comunisti
italiani esigono “l’intervento dell’esecutivo per porre termine alla
carneficina”.

Tre intensissime ore di fuoco
nella notte tra venerdì e sabato. Obiettivo il distretto di Gereshk, nella provincia
dell’Helmand, a poca distanza da un altro villaggio bombardato la settimana
scorsa, L’ineluttabile risposta a un agguato dei Taliban contro un convoglio
militare Isaf. Il resto sa di già visto. Gli insorti che si nascondono in mezzo
alla gente, le bombe che non fanno differenza tra buoni e cattivi e ammazzano
tutti. Secondo fonti locali sarebbero almeno un’ottantina le vittime civili – e
tra loro un gran numero di donne e bambini – oltre a 35 guerriglieri.

La Coalizione non nega la
possibilità che qualche innocente ci sia andato di mezzo, ma limita il numero
dei cosiddetti “effetti collaterali” a non più di una decina. A chi
credere, dunque? Il capo della polizia della provincia, Mohammad Hussein,
racconta che dopo l’agguato i Taliban si sono rifugiati nei villaggi della zona
di Hadebarad, facendoli diventare l’obiettivo dell’aviazione americana. Un
inferno di fuoco. Quanti morti? Hussein dice soltanto: “Troppi. In ogni
caso il bilancio delle vittime può solo crescere a mano a mano che proseguono
le ricerche”.

Subito dopo il raid, la gente
avrebbe cercato scampo allontanandosi con ogni mezzo: macchine, camion,
trattori, mentre gli aerei della Coalizione li falciavano ritenendoli nemici in
fuga. “Mi hanno riferito che hanno seppellito i corpi di 170 persone”
ha affermato uno degli anziani della jirga locale, Haji Zahir, intervistato da
un’agenzia di stampa internazionale.

Troppo sangue di chi non c’entra
niente, dunque, anche se sul numero effettivo dei morti c’è la solita guerra di
cifre. Secondo la Commissione indipendente afgana dei diritti dell’uomo
sarebbero più di 380 gli innocenti uccisi dall’inizio dell’anno nel corso di
operazioni alleate o di attacchi agli insorti. Nader Nadery, portavoce della
Commissione sottolinea che “dal momento che i Taliban si mischiano alla
popolazione per accentuare la pressione sulle forze internazionali, abbiamo
chiesto una limitazione delle operazioni aeree, ma non siamo stati
ascoltati”.

Karzai che oggi sarà a Roma per
l’apertura della Conferenza internazionale sulla Giustizia, prima di imbarcarsi
alla volta dell’Italia ha istituito una commissione d’inchiesta governativa.
Vuole vederci chiaro su cosa stia davvero accadendo in quel martoriato sud.

Secondo quanto riferisce il suo
portavoce, Karim Rahimi, responsabili dell’esecutivo e deputati di Helmand sono
stati “inviati” nel distretto di Gereshk, per fare luce
sull’accaduto. Sulla base dei risultati dell’inchiesta – conclude Rahimi –
saranno adottate le decisioni del caso. Frasi di circostanza, chiacchiere,
insomma. Karzai ha le mani legate, può legittimamente adirarsi, fare la voce
grossa con Nato, Isaf e perfino con i suoi amici americani, ma certamente non
può permettersi di metterli alla porta.

E allora, come si esce da questo
cul del sac? La verità è che non se ne esce se non si cambia approccio. Quello
che la Nato non sembra assolutamente avere intenzione di fare. I raid aerei
sono necessari – hanno ripetuto nei giorni scorsi i vertici dell’Alleanza
atlantica – visto che il numero dei nostri uomini sul terreno è largamente
insufficiente. Come dire, gli “effetti collaterali” ci sono e ci
saranno ancora. Possibile che non ci siano alternative a questa mattanza
indiscriminata? In fondo non è tutto marcio il sud. Certo ci sono gli
irriducibili del mullah Omar così come i duri e puri di al Qaeda, che vanno
neutralizzati, ma c’è anche gente con la quale un accordo alla fin fine lo si
potrebbe anche trovare.

L’unica certezza è che
continuando così si complica non solo la vita a Karzai, considerato dalla sua gente
il responsabile oggettivo, ma si fa solo il gioco di chi di giustizia, diritto
e democrazia, ciò di cui si inizia a discute oggi a Roma, non vuole nemmeno
sentire parlare.